Cinquanta anni di declino

Mi piace rifuggire dai bizantinismi e dai romanismi tipici della politica italiana.

Veniamo ai fatti, parliamo di cicli storici.

Lo sappiamo bene, durante gli anni ‘50 e ‘60 del secolo scorso c’è stato un grande boom economico, che è entrato in tutti gli aspetti della realtà. Poi, dopo il fondamentale ‘68 degli studenti ed il ‘69 degli operai, si è aperto un decennio che sembrava aprire grandi prospettive (con lo Statuto dei lavoratori).

Ma così non è stato. Gli anni di piombo, col terrorismo di estrema sinistra, di estrema destra e degli apparati dello stato, ha portato ad un sostanziale blocco di tutte le grandi prospettive industriali e commerciali.

Con tutto ciò, esisteva nei governi di allora un Ministero della Programmazione che poteva dare un minimo di assestamento e di previsioni a quello che sarebbe stato il futuro del paese.

Sembrava che il continuo processo scientifico potesse comunque migliorare la situazione del paese.

Mentre DC e PCI si affrontavano in un duello all’ultimo sangue (quello di Moro) per affermare la loro supremazia, il Paese iniziava ad andare alla deriva.

Negli anni ‘80 non c’è stato quel colpo di coda che potesse riportare l’Italia in una posizione dinamica, di sviluppo, ma al contrario ci si è avviati quasi inevitabilmente verso la stagione di Tangentopoli.

Gli ultimi trenta anni poi, un continuo battibecco, politico e parlamentare, tra una Destra ammantata di “valori” berlusconiani ed una Sinistra sempre più mal definita, ben rappresentata dalla figura parrocchiale di Prodi.

Ed oggi? Un governo diretto da chi giura sulla Repubblica, spergiurando, poiché tale Repubblica va contro le proprie basi ideologiche, ammesso che di basi si possa parlare in questo periodo così confuso.

E mentre grandi gruppi francesi saccheggiano gloriosi nomi italiani, fondi americani ed in seguito cinesi si apprestano ad impadronirsi definitivamente del timone, mentre da Roma un gruppetto di desperados si affanna a proclamare un’autonomia che non esiste.

Certo, si può dire che negli anni ‘50 e ‘60 del secolo scorso quella forza dinamica sia stata scomposta, forse ingiusta, ma è certo che il confronto con la palude di oggi fa cascare le braccia.

Che fare? Forse l’unica risorsa è quella di ricordare e incorniciare le parole d’ordine, pronunciate nel 1945, da chi scendeva dalle montagne, per riuscire a combattere il Capitalismo di oggi che non guarda in faccia nessuno (se non se stesso allo specchio) ed ha provocato finora sei milioni di poveri.

Viator

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