Declino dell’ordine liberale?

Datemi un parlamento e un re, e il regno della proprietà privata, e avremo un ordine, quello che un tempo si chiamava liberale e che oggi definiamo democrazia. In questo si può sintetizzare il nostro attuale sistema di ‘reggimento’ nel quale siamo coinvolti senza più averne piena coscienza, senza vederne mai i confini. Nata la attuale vita istituzionale dalle rivoluzioni inglesi del seicento, estese allo intero mondo grazie all’impero britannico e poi americano, col dominio sui mari del mondo, oggi ne osserviamo sgomenti le crisi e i contorcimenti interrogandoci su un declino forse inesorabile.

Che altro può mai essere quella devastante crisi che ridicolizza la repubblica gollista francese, infanga il parlamentarismo di Westminster e dilania le solide tradizioni del presidenzialismo americano se non una discesa inevitabile di una ‘epoca’ un tempo dominante nella vita di ognuno. Come ha giustamente sostenuto l’ ex parlamentare Quagliarello in un recente articolo sull’Huffington post, se interpreto il più intimo significato dello scritto, nessuna ingegneria istituzionale, nessun reticolo perfetto di norme costituzionali, potrà mai far rivivere un’ epoca e i suoi significati se vi è distacco tra ciò che si dice e ciò che si fa, se non vi è consenso a reggere un tale regime e lo spirito di certi istituti. Vi è uno spazio incolmabile fra morale e eticità oggi, avrebbe così detto il vecchio Hegel, a significare che il consenso alle istituzioni manca quando i cittadini sentono tramontare una morale e confusamente cercano una nuova etica che ispiri un nuovo stato e nuove leggi. E’ il motore del cambiamento, nostro malgrado.

Uno spavaldo rampollo della nobiltà squattrinata inglese ha gettato nel caos un paese che è ancora oggi un faro e un modello per la democrazia occidentale. Come è stato possibile?

Eppure a Cameron non serviva il referendum sulla Brexit, aveva già esposto il suo programma nelle elezioni da lui vinte, e successivamente aveva raggiunto un accordo che era ampiamente soddisfacente per le libertà di commercio inglesi. Tuttavia il primo ministro britannico ha cercato una legittimazione ulteriore al nuovo compromesso. Quando si cerca troppo spesso il rapporto diretto col popolo e si crede che solo il rapporto diretto tra leader e masse risolva tutto, si scopre improvvisamente che tutto si ingarbuglia, le questioni si annodano e non sciolgono, il potere cerca il bagno di folla freneticamente perché non ha soluzioni ai problemi e teme privatamente di aver perso un consenso di cui mena vanto pubblicamente.

Simile è il declino del presidenzialismo francese. Qui è Gaetano Quagliarello che nel sopra citato articolo analizza il declino di una forma istituzionale che tendeva alla ‘monarchia repubblicana’, al rapporto diretto capo – masse, e che funzionava finché vi è stato il grande carisma di De Gaulle, oppure ha retto nella fase in cui i grandi partiti hanno interpretato e calzato il vestito presidenziale dando forma razionale al sistema. Oggi, è stato il Re pera Macron ha far cadere le ultime illusioni presidenzialiste, dove ormai un potere privo di carisma e di consenso reale non giustifica più un potere così ampio e insindacabile concentrato in poche mani. Conclude Quagliarello che senza la forza della politica e la capacità di raccogliere consenso non vi è nessuna ingegneria istituzionale che garantisca la stabilità politica e la funzionalità della democrazia.

Infine gli Stati Uniti. Ci si concentra molto sulla figura eccentrica del presidente della ultradestra americana Donald Trump, ma non ci si sofferma affatto sulla spaccatura etnica e sociale interna agli ‘States’ che mina la convivenza civile del paese, e alle fratture interne alle élite al potere che rende sempre più inadeguato il ruolo del presidente come rappresentante della nazione intera e la sua intangibilità politica. La delegittimazione del presidente in carica, tramite campagne stampa denigratorie e scandalistiche, metodo inaugurato dalla destra americana contro i Clinton, indebolisce le istituzioni rappresentative liberali e la loro capacità di mantenere il paese unito e di non farlo precipitare nel caos di nuove guerre etniche e regionali.

Gli esempi sopra riportati ci descrivono di un sistema in crisi, di un ordine, quello liberale, che fa fatica ad essere trainante per il mondo Occidentale. Tuttavia, dobbiamo inquadrare meglio le caratteristiche della crisi che attanagliano le forze liberali. Infatti, non è solo il principio della alleanza internazionale e di omogeneità del mondo Occidentale che è in questione, ma è in declino la stabilità delle società liberali che si basavano sulla prosperità di un ceto medio che perde status sociale e benessere economico. E’ l’ istituzione centrale di ogni società liberale, la proprietà privata,  che posta come unico principio regolatore della società rende oggi così fragile la convivenza civile e la solidità del tessuto democratico fino al determinarsi di rivolte di massa. Il diritto internazionale è ridicolizzato, per contro, da coloro che dovevano essere i suoi stessi difensori; ( si pensi a come hanno reso impotente l’ONU presidenti USA come Clinton e Busch). I diritti democratici di libertà di stampa e di opinione sono spesso inesigibili. E’ di tutta evidenza, purtroppo, che la crisi dell’ordine liberale pare non spingere verso sinistra ma gonfia le vele di una montante marea nazionalista e al ritorno del pensiero religioso e del sacro dentro il campo della politica.

Si tratta di comprendere, a questo punto, quanto sia profonda la caduta dell’ordine liberale e se ciò sia un male temporaneo e se vi sono rimedi alla malattia, e se tali rimedi il pensiero liberale ha in serbo per potersi curare. E’ forse troppo pretendere di dare risposta definitiva a tali quesiti nel breve spazio di un articolo. Sono però, e questo va certamente segnalato come centro ordinatore di una riflessione più compiuta, inequivocabili i segnali di sfaldamento progressivo del legame fra le ragioni del potere economico e le ragioni del diritto liberale che dovrebbero sorreggere lo stato democratico.

Che l’ individualismo proprietario stia minacciando l’ opera del liberalismo politico pare talmente evidente che il silenzio su ciò da parte degli intellettuali liberali stessi è molto più che assordante.

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