Donne

In questo paese, l’Italia, c’è una sorta di mania per le mode.

Non intendo le mode dei grandi stilisti, dei grandi couturier alla Armani, alla Versace o alla Trussardi.

Magari si trattasse di uno di questi, che portano lustro e soldi.

No, non si tratta di questo, la moda di cui parlo è come un fluido che attraversa il Paese, ma non ne definisce bene i contorni.

Moda è stato il fascismo negli anni ‘20 del secolo scorso, una moda all’inizio italiana e poi diffusa ovunque, con gli effetti che ben conosciamo.

Moda è stato l’atlantismo del secondo dopoguerra, che ci ha portato ad una sorta di servaggio verso gli Stati Uniti d’America per tanti anni, con la benedizione democristiana e cristiana, i cui rigurgiti durano anche oggi.

Adesso, da alcuni anni, c’è la moda di eleggere donne alle posizioni eminenti dello Stato o in Europa, senza che in realtà, almeno in Italia, la situazione sociale, economica e politica per le donne sia realmente migliorata.

Abbiamo una serie di nomi che sembrano denotare influenza e quindi potere, ad esempio Giorgia Meloni, che diviene presidente del Consiglio, la Schlein che diventa segretaria del principale partito di opposizione e poi, sul teatro europeo, Ursula Von Der Leyen, presidente della Commissione Europea, la Metsola, presidente del Parlamento europeo, e titolo particolarmente importante la Lagarde, presidente della Banca Europea.

Sembrerebbe quindi concentrarsi nelle mani di queste donne un grande potere decisionale, un potere che le pone particolarmente in condizione autorevole rispetto alla consueta pre-potenza maschile.

Ma è veramente così? Bisogna fare alcuni distinguo, io ritengo che questo comparire delle donne a cariche molto importanti sia spesso di facciata, nel senso che non fanno molto per distinguersi dai loro predecessori uomini, anzi ne riprendono modi e tratti.

Sulla Meloni non mi dilungherei troppo, visto il filo ereditario che la collega ad una ideologia centenaria che lei non ha mai rifiutato, la Schlein, brava retore, ma poco convincente capo partito, vorrebbe riallacciarsi alle figure femminili che veramente dettero un tratto notevole al movimento socialista di fine ‘800 inizio ‘900, come la Balabanoff ed altre combattive compagne.

Ursula e la Metsola sono dei burocrati della scuola di Bruxelles e quindi non troppo convincenti di per sé, mentre la Lagarde soffre sicuramente dell’ombra lunga di Mario Draghi, questi sì considerato da molti un tecnico competente.

Direte forse che ho una memoria troppo lunga, ma a me sembra che la grande occasione di un vero femminismo progressivo in Italia ci sia stata a metà degli anni ‘70, quando esistevano tutte le possibilità e poi tale esplosione giusta e necessaria sia stata ridimensionata, posta sotto silenzio per decenni, fino a riapparire, in questi ultimi anni, sotto la forma di una moltiplicazione di figure femminili presenti dappertutto, come se la visibilità odierna fosse la risposta ad una situazione di sottomissione e servaggio durata troppo a lungo.

Ma il vedere tante donne sugli schermi, una volta tanto, non per mostrare le proprie forme, ma per esporre i loro problemi ed assumere poteri decisionali, è condizione necessaria e sufficiente?

Io ritengo che, mettendo da parte quote rosa o il 50% di posti, per quanto riguarda organizzazioni politiche o board aziendali, la meteora che ci può condurre verso una reale efficienza dei risultati, dipende soltanto da tre parole, titoli, merito, competenza, e che queste doti appartengano a donne o uomini, la cosa è del tutto ininfluente.

Quindi, mi dispiace dirlo, ma vorrei essere realista, la strada del riscatto è ancora lunga.

Viator

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