Giornalisti e coronavirus: come informare in modo responsabile

Riteniamo di fare cosa gradita pubblicando l'articolo comparso su Le Scienze sulla necessità di una corretta informazione.

di Bill Hanage e Marc Lipsitch/Scientific American

In una situazione delicata come quella attuale, i giornalisti dovrebbero seguire alcune semplici raccomandazioni per fornire informazioni corrette, attingendo a diverse fonti d’informazione e distinguendo tra fatti accertati, valutazioni qualificate di esperti e speculazioni. Senza farsi condizionare dal ritmo incalzante delle “ultime notizie”

La profusione di informazioni che continua ad emergere sulla crescente epidemia di COVID-19 rappresenta una sfida sia per i giornalisti sia per gli scienziati con cui parlano quando fanno ricerche per i loro articoli. Un buon reportage e una buona scienza devono distinguere le fonti di informazione legittime dall’infinita sequela di voci, mezze verità, promozioni di rimedi da ciarlatani motivate da interessi economici e propaganda a sfondo politico.

Nel tenere traccia dell’epidemia, ci siamo resi conto di quanto è difficile questa vigilanza anche per gli scienziati e i giornalisti più energici e motivati, data la quantità di informazioni disponibili sia da fonti tradizionali (autorità sanitarie pubbliche, riviste) sia da quelle nuove (preprint, blog).

Per aiutare in questo sforzo, pensiamo che il giornalismo debba distinguere almeno tre livelli di informazione:
(A) ciò che sappiamo essere vero; (B) ciò che pensiamo sia vero: l’insieme delle valutazioni basate su fatti che dipendono anche dall’inferenza, dall’estrapolazione o da un’interpretazione competente di fatti che riflettono il punto di vista di un individuo su ciò che è più probabile che stia accadendo; e (C) opinioni e speculazioni.

Nella categoria A ci sono fatti accertati, come il fatto che l’infezione è causata da un beta-coronavirus; che le sequenze iniziali del genoma virale del virus erano molto simili; e che la trasmissione da essere umano a essere umano avviene con elevata frequenza, insieme al numero di casi segnalati in varie località, e simili. Molteplici linee di evidenza, compresi gli studi scientifici sottoposti a peer-review e i rapporti delle autorità sanitarie pubbliche, suffragano questi elementi come fatti reali.

Nella categoria B si trova la stragrande maggioranza di ciò che vorremmo sapere sull’epidemia, ma che non sappiamo perché non esistono dati sistematici sul numero reale di casi in ogni località; l’entità della trasmissione nelle comunità al di fuori della Cina o la frazione di casi che si diffondono senza essere rilevati; la vera proporzione di infezioni lievi, asintomatiche o subcliniche; e la frequenza di trasmissione dei casi presintomatici.

Su questi argomenti, gli esperti possono fornire opinioni qualificate, sulla base della loro conoscenza di altre malattie infettive; dedurre le conseguenze dai dati disponibili (per esempio, possono dedurre i casi importati in un paese che non sono segnalati dalle differenze dei casi importati segnalati in paesi con  volumi simili di viaggi dalle aree infette); o forse trarre conclusioni da informazioni di cui hanno sentito parlare e di cui si fidano, ma che non sono ancora state rese pubbliche. Questa categoria comprende le proiezioni della probabile traiettoria a lungo termine dell’epidemia. Queste opinioni beneficiano del giudizio qualificato degli scienziati che le esprimono e sono degne di essere segnalate, ma devono essere distinte dai fatti concreti.

Nella categoria C ci sono molte altre questioni per cui le prove attuali sono estremamente limitate, per esempio l’effetto dell’estrema distanza sociale sul rallentamento dell’epidemia. Ci sono anche questioni che non saranno mai veramente risolte dai dati, come quelle relative alle motivazioni dei governi e delle autorità sanitarie. Non è che questi argomenti non abbiano importanza. È solo che non sono accessibili alla scienza in questo momento e potrebbero non esserlo mai.

Facendo del loro meglio, scienziati e giornalisti stanno cercando di fare un po’ le stesse cose: fornire informazioni accurate interpretandole, ma con un pubblico e con tempi diversi.

Oltre a ricordare i tre diversi tipi di informazioni che gli scienziati possono comunicare, in che altro modo possono assicurarsi di fare bene questo lavoro? Pensiamo che possano essere d’aiuto alcune raccomandazioni.

1. Cercare fonti di informazione diverse. Poiché nessuno ha assimilato tutto sullo stato dell’epidemia, esperti diversi sapranno cose diverse e vedranno falle differenti nel nostro ragionamento. Questo consiglio vale per gli scienziati come per i giornalisti: i migliori scienziati consulteranno i colleghi e chiederanno loro di trovare i punti deboli nel lavoro degli scienziati prima di condividere il lavoro in modo più ampio, soprattutto in un contesto come questo, dove la rappresentatività e l’accuratezza dei dati sono necessariamente incerte.

2. Rallentare un po’. Abbiamo tutti una scadenza da rispettare per evitare di essere anticipati da altri. Qualcuno su Twitter ha recentemente fatto notare che i dati relativi a questa epidemia che sono stati lasciati decantare per qualche giorno sono molto più affidabili degli ultimi “dati” appena usciti, che possono essere errati o non rappresentativi, e quindi fuorvianti. Dobbiamo bilanciare questa cautela con la necessità di condividere tempestivamente il nostro lavoro. In effetti, le categorie appena menzionate dei fatti accertati, delle valutazioni qualificate e delle speculazioni sono fluide, e dato il ritmo incalzante delle informazioni sull’epidemia, a una domanda a cui oggi si può rispondere solo con le valutazioni qualificate si potrà forse rispondere domani con un fatto accertato.

3. E’ importante distinguere tra qualcosa che accade o meno e qualcosa che sta accadendo con una certa frequenza. Un buon esempio è la questione della trasmissione presintomatica. Se si verifica frequentemente, renderà meno efficaci le misure di controllo sulle persone malate (isolamento, trattamento e ricerca di contatti). È molto probabile che la trasmissione presintomatica avvenga con una certa frequenza, ma al momento le prove sono molto limitate. Emergenze come questa portano a una pressione estrema sia sugli scienziati sia sui giornalisti affinché siano i primi ad avere notizie. E ci sono incentivi perversi derivanti dalla ricerca continua dell’attenzione in cui viviamo, esacerbata dai social media, che possono fornire gratificazioni a breve termine a chi è disposto ad accettare standard più bassi. Un’informazione accurata dovrebbe essere consapevole di questo rischio, cercare di evitare di contribuirvi e correggere rapidamente le menzogne quando diventano chiare. Abbiamo la responsabilità comune di proteggere la salute pubblica. Il virus non segue notizie e non si preoccupa di Twitter.

(L’originale di questo articolo è stato pubblicato su “Scientific American” il 23 febbraio 2020. Traduzione ed editing a cura di Le Scienze. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati.)

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