Imparare dal passato per prevedere gli sviluppi dell’attuale cambiamento climatico

La paleoecologia ha fornito preziose conoscenze di base sulla storia della vita sulla Terra. E questa  particolare specializzazione scientifica può aiutarci molto a capire cosa dobbiamo aspettarci nel prossimo e nel remoto futuro perquanto riguarda i cambiamenti climatici, soprattutto quelli sostanziali con conseguenze a volte catastrofiche. Così come è già successo in almeno una dozzina di volte dall’inizio dello sviluppo di forme primitive, a volte “cordate”, cioè dal periodo Cambriano, circa 580 milioni di anni fa.  Ci viene in aiuto, in questo senso uno studio famoso di origine russa risalente ai primi anni del nostro millennio, preciso e documentato ( 95 ): “Se, fino a poco tempo fa, gli sforzi dei ricercatori nel campo della geologia storica erano diretti verso una fredda descrizione storica dei fatti  (con ripristino delle condizioni del passato geologico), negli ultimi anni è emerso con crescente certezza un nuovo aspetto della scienza in esame, basato su un’analisi dello sviluppo della superficie terrestre, il suo profilo geografico nel passato – per cercare di prevedere i cambiamenti nel prossimo futuro, che è così importante per valutare la possibile natura e portata dei cambiamenti nell’ambiente naturale che ci circonda.
Facciamo un esempio per spiegare questa idea. Come è noto, negli ultimi due decenni, il livello del Mar Caspio è già salito di 2 m, il che ha portato all’allagamento parziale di numerosi insediamenti sulla sua costa. C’è anche il riscaldamento globale, lo scioglimento dei ghiacci nelle regioni polari e nelle montagne e l’innalzamento del livello del mare, che ci confermano la velocità dei rivolgimenti in atto..
Un’analisi dei dati della geologia storica mostra che tali cambiamenti sono avvenuti anche nel passato geologico ed erano di natura oscillatoria, ciclica, sebbene recentemente siano stati complicati/appesantiti da un fattore aggiuntivo e sempre crescente dell’attività umana. Tuttavia, il materiale storico e geologico consente, con un certo grado di approssimazione, di stimare la possibile portata di tali fluttuazioni. Nell’esempio sopra con il Mar Caspio, si può giungere alla conclusione che è improbabile che l’ampiezza delle fluttuazioni del suo livello superi i 2-3 m, ma anche questo valore dovrà essere preso in considerazione in futuro, proprio perchè le variazioni sono veloci e i tempi di assorbimento degli ecosistemi nel loro complesso, molto più lenti”.

Questo tipo di studi possono anche fornire conoscenze sostanziali alle sfide della società come, per l’appunto,  il cambiamento climatico. La prospettiva a lungo termine degli impatti dei cambiamenti climatici sui sistemi naturali è sia un punto cardine su cui impegnarsi,  sia un ostacolo o una fonte di frantendimenti, se non si opera in modo veramente scientifico. Un servizio importante per gli ecosistemi e  per gli organismi in vista di politiche di insieme, come quelle di responsabilità del  l’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC).

Tutti sanno che il clima sta cambiando, che la neve non c’è più, se non in alta montagna che il mare se non ribolle poco ci manca e… che i dati scientifici non sbagliano. Lo sanno tutti, ma – tranquillamente – se ne infischiano. O, almeno, a infischiarsene è una parte della popolazione…quella che sa di poter andare comunque in alta montagna per la neve santa o che avrà a disposizione – sempre e comunque – calette deliziose in cui correnti fredde sottomarine daranno l’impressione di essere tornati ai tempi di “miss muretto” di Alassio. Cioè…si comincia ad aver l’impressione che chi pensa di essere ai tempi di Fred Bongusto con tanto di “rotonda sul mare”, amichetta in bikini, aria condizionata a palla e serata al “Pirata”, se lo potrà ancora permettere…pagando (e tanto). Per gli altri, per la maggioranza, il mare è da vedere col binocolo dopo un viaggio in auto elettrica di piccola cilindrata a ottanta all’ora massimo… perché “non si deve inquinare”…. Cioè , per essere ancora più chiari, per la gestione dei dieci / dodici miliardi di picco di popolamento terrestre previsti per i prossimi duecento anni, un milione circa vivranno come sempre, gli altri…si arrangeranno. E una delle ragioni che permetteranno a quel milione di privilegiati di continuare a vivere “come sempre” sarà l’’arma dell’emergenza climatica, della nuova/vecchia affezione che non si vuol vedere e che non si vuole accettare. Il problema, per loro, è che – però – l’emergenza climatica esiste…è vera ed è il risultato di un cambiamento termico e di un rimescolamento di materiali vari, avvenuto in tempi troppo brevi.  E i “tempi”…. come ci insegna la “paleoecologia” contano.

Riconsiderare il passato per comprendere il presente

Esperimenti ripetuti sugli impatti dei cambiamenti climatici senza disturbi antropogenici, vale a dire “a prescindere” dalla presenza umana, ci confermano che il trend è negativo  e in continua crescita. Tra l’altro, i lunghi tempi su cui vengono solitamente valutati i cambiamenti paleoecologici esulano dalle analisi inquinate dalla politica di parte . Sulla base dell’esperienza diretta fatta dall’autorevole IPCC e di un’analisi quantitativa della letteratura citata, si può sostenere che le differenze riscontrabili sui lunghi periodi siano un problema minore rispetto all’inquadramento e alle segnalazioni spesso imprecise, che vengono prodotte. Comunque, dando per scontato che resteranno alcune difficoltà di comprensione di fondo, la paleoecologia può essere importante proprio perché prende di mira gli impatti del cambiamento climatico in modo più diretto e si concentra sulle dimensioni degli effetti e sulla rilevanza per le proiezioni, in particolare su scenari di cambiamento climatico di fascia alta.

D’altra parte gli effetti del cambiamento climatico stanno aumentando in tutti i sistemi ( 1 – 3 ) e, proprio per questo, una sintesi rigorosa di tutte le discipline scientifiche sarebbe fondamentale per comprendere i climi passati e futuri, i loro impatti sui sistemi umani e naturali e le possibilità di adattamento e mitigazione. Grazie al suo privilegiato punto di osservazione la paleoecologia ha molto da offrire, fornendo anche spunti e analisi allo stesso Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici (IPCC).

In particolare, la paleoecologia consente una valutazione sistematica degli impatti passati del cambiamento climatico, permettendoci di trovare generalità delle risposte passate al cambiamento climatico, che possono essere inserite in proiezioni. Ad esempio, gli studi sulla documentazione fossile “più recente” degli ultimi millenni nel campo della “paleobiologia della conservazione” potrebbero essere utilizzati per valutare le risposte biotiche ai più recenti episodi di riscaldamento climatico ( 4 – 6 ) . Allo stesso modo, la risoluzione temporale relativamente alta della documentazione fossile quaternaria (grosso modo dell’ultimo milione di anni)  ha prodotto documenti significativi  sui cambiamenti di gamma, comprese le estinzioni locali e i cambiamenti del bioma ( 7 – 9 ) come pure per il “ricambio della comunità” ( 10 –12 ) determinato dalla variabilità climatica durante i cicli glaciale-interglaciale.

L’esame della documentazione fossile più antica fornisce una prospettiva ancora più significativa riguardo  gli intervalli passati fra  sconvolgimenti climatici che non hanno eguali nella documentazione del tempo prossimo, in particolare per il periodo che va dal Pleistocene all’Olocene preistorico, cioè gli ultimi 2,58 milioni di anni. Infatti, gli antichi eventi ipertermici, brevi episodi (in senso geologico) di massiccio riscaldamento climatico, sono dovuti alle emissioni di gas serra (indotte da eruzioni vulcaniche)così come rispetto alle origini dei  cambiamenti climatici moderni ( 13 – 14 ). Si tratta, quindi, di situazioni potenzialmente più rappresentative degli scenari che potremmo affrontare nel prossimo futuro in un quadro di forte antropizzazione.  Mentre prima il cambiamento climatico era in gran parte guidato dai cicli orbitali ( 15) o da fenomeni naturali, spalmati su tempi lunghi, ciò che preoccupa di più è la velocità del cambiamento che non dà la possibilità ad esseri viventi (e anche ad ambienti solitamente stabili) di evolversi con i tempi giusti della resilienza.

Il “modello del tempo profondo” è quello più adatto a valutare il potenziale del cambiamento climatico legato a  eventi di estinzione di massa, che è una delle tematiche urgenti da affrontare viste le conseguenze sempre più inquietanti delle attuali alterazioni ( 16 ) .

Anche se i dati paleoclimatici sulle prove fisiche del cambiamento climatico sono stati a lungo incorporati nei rapporti di valutazione (AR) dell’IPCC del gruppo di lavoro (WG) I, i risultati paleoecologici riguardanti le risposte biotiche ai cambiamenti climatici sono raramente considerati dall’IPCC o da altri nuclei analitici certificati. Una di queste è la piattaforma intergovernativa di politica scientifica sulla biodiversità e i servizi ecosistemici (IPBES). E’ risaputo che, pur non essendo completamente impiegata e sfruttata come disciplina( 17 – 19), la paleoecologia non sfrutta attualmente il suo potenziale utile a  fornire informazioni rilevanti  sugli impatti dei cambiamenti climatici. A nostro avviso, questo potenziale irrealizzato è dovuto solo in parte al fattore più comunemente citato: i tempi molto più lunghi considerati in paleoecologia rispetto a quelli considerati rilevanti per gli ambientalisti e i responsabili politici. Come è stato ampiamente discusso nella letteratura sulla scienza della conservazione (ad esempio, rif. 20 – 22 ) , suggeriamo che anche la ricerca paleoecologica diventi  prioritaria e ben comunicata in modo da contribuire in modo sostanziale alla mancanza di rilevanza politica .

Abbiamo l’ardire, su CittaFutura on line, di riepilgare le linee guida utili a rendere piè significativo un lavoro di analisi diaceronica, oltre che sincronica. . Due autori di questo documento (WK e NBR) sono stati coinvolti nell’ultimo IPCC AR del WG II, che è stato pubblicato nel febbraio 2022 ( 3 ). In tal modo, con il loro lavoro e quello di altri si è offerta una prospettiva del WG II altrimenti meno pregrante. Queste linee guida si basano sull’esperienza personale del primo autore e su un’indagine sistematica di documenti paleoecologici confrontando quelli che sono stati citati nel Quinto rapporto di valutazione dell’IPCC (AR5) ( 1 ) con quelli che non sono stati considerati pur avendo il cambiamento climatico un postodi assoluto rilievo.

L’IPCC

L’IPCC è un gruppo scientifico che agisce per conto delle Nazioni Unite e quindi ha un mandato politico oltre che di carattere scientifico. Sebbene sia forse il comitato scientifico più interdisciplinare del pianeta, il compito dell’IPCC è valutare la ricerca, non condurre ricerche originali. I membri dell’IPCC dipendono quindi dalle Università, dalle Fondazioni e dai Centri Studi abilitati a svolgere questa difficile funzione di valutazione, ne sono al tempo stesso emanazione ed esaminatori, visto che dovranno valutare gli studi delle medesime istituzioni.

Le IPCC AR sono prodotte da tre gruppi di lavoro. Il WG II, incentrato sugli impatti osservati e previsti del cambiamento climatico, le vulnerabilità e le opzioni di adattamento, è la sede naturale per i contributi paleoecologici all’IPCC. I dati paleoclimatici che considerano i dati paleontologici/paleoecologici sono valutati in WG I ( 15 ), ma le informazioni sulla biodiversità, che sono il risultato di molti studi incrociati, sono incluse solo nel WG II. Il recente AR del WG II ( 3 ) si è concentrato più fortemente rispetto ai precedenti rapporti sulle interazioni tra cambiamento climatico, ecosistemi e società umana. E questo è un bene , perché finalmente, a partire dal 2010 circa , si è finanziata una ricerca di livello non solo di immagine.

La riaffermazione che il cambiamento climatico e la perdita di biodiversità sono strettamente intrecciati ( 23 ) offre un nuovo slancio alla paleoecologia per contribuire a questa discussione. Con l’opportunità di studiare le dinamiche ecologiche ed evolutive durante i cambiamenti climatici del passato, la paleoecologia ha il potenziale per contribuire alle proiezioni degli impatti climatici in diversi scenari possibili, considerando le probabili conseguenze per gli ecosistemi, per la salute e per l’economia ( 24 ). Allo stesso modo, i cambiamenti climatici nella documentazione geologica possono aiutare a mettere a punto il ruolo dei fenomeni ciclici di lunga, media e breve durata, già più volte identificati e che possono ripresentarsi con effetti simili anche dopo centinaia di migliaia di anni ( 25 ).

Pertanto una valutazione dell’IPCC è fondamentalmente diversa da una revisione in quanto la letteratura pertinente non viene semplicemente esaminata e discussa, ma valutata in modo “semiquantitativo”: ogni affermazione sostanziale nei rapporti dell’IPCC deve essere associata a una dichiarazione di probabilità o “confidenza” quindi  di effettiva concretizzazione nello svolgimento dei fenomeni. Il “linguaggio di fiducia” dell’IPCC può essere difficile da comprendere ( 26 ), ma è comunque necessario per mantenere gli standard scientifici e aumentarne la rilevanza politica.

Le dichiarazioni chiave che emergono dai singoli capitoli dei rapporti dell’IPCC sono incluse nel sommario per i responsabili politici (SPM), ma solo dopo la revisione del governo di volta in volta coinvolto e solo dopo intense negoziazioni. Per dirla in modo chiaro, l’intero scopo delle lunghissime relazioni di valutazione è quello di fornire la base scientifica per l’SPM, cioè per chi dovrà esprimere pareri vincolanti.

Pertanto, è sconcertante che l’unica affermazione SPM paleocorrelata nel precedente ciclo di valutazione, AR5,  sia stata la seguente: “Mentre solo poche recenti estinzioni di specie sono state finora attribuite al cambiamento climatico (confidenza elevata), il cambiamento climatico globale naturale si sviluppa a tassi più lenti rispetto agli attuali cambiamenti climatici antropogenici che hanno causato cambiamenti significativi negli ecosistemi ed estinzioni di specie negli ultimi  anni ( confidenza elevata )” ( 1 ).

Questa affermazione non è nemmeno del tutto accurata, anche se sostanzialmente veritiera.

Ci sono difficoltà nel confrontare i tassi di cambiamento climatico su scale temporali, a causa dei tassi artificialmente costretti in intervalli di tempo più lunghi di osservazione ( 27). Potrebbe essere che i tassi di riscaldamento fossero effettivamente più lenti durante gli ipertermali del passato, ma la fiducia nelle stime di tassi più lenti è bassa date le drammatiche conseguenze di alcuni antichi eventi ipertermali come la crisi della fine del Permiano, ultimo periodo del Paleozoico (28 ) . La mancanza di contributi paleoecologici è particolarmente degna di nota perché il WG II è riuscito a riempire due volumi in AR5 (piuttosto che uno solo, come nell’attuale ciclo di valutazione, AR6) e ha coinvolto due paleontologi/paleoecologi che hanno contribuito in modo sostanziale sia all’ambiente terrestre ( 29 ) che a quello oceanico ( 30 ).

L’SPM dell’attuale ciclo di valutazione ( 31 ) non è migliore: il riferimento alle osservazioni passate viene fatto due volte ma non c’è un solo riferimento esplicito all’evoluzione e alla tempistica delle crisi.

Contributi rilevanti per la politica dallo studio degli ipertermici del passato

Gli “eventi ipertermici” sono qui definiti come episodi geologicamente brevi di riscaldamento sostanziale, vale a dire “un intervallo di tempo geologicamente limitato in cui la temperatura media globale è aumentata significativamente al di sopra dello sfondo”. In questo contesto, “geologicamente vincolato” ci si riferisce a un intervallo di tempo più piccolo di un’  “era geologica” (un’unità di tempo che copre comunemente diversi milioni di anni) e “sfondo” si traduce in un intervallo di tempo della lunghezza di uno “stadio” geologico o più lungo (“piano”) . Foster et al. ( 13) fornivano punti in comune più specifici degli ipertermali come durate iniziali inferiori a 100 mila anni, una durata totale inferiore a 2 milioni di anni, un’escursione negativa degli isotopi di carbonio, una riduzione del contenuto di ossigeno, l’acidificazione degli oceani e un aumento del ciclo idrologico e erosione continentale.

Poiché non tutte queste circostanze sono evidenti da tutti gli eventi di riscaldamento passati che ci sono noti, ci concentriamo sugli stessi sei eventi ipertermici negli ultimi 300 milioni di anni che sono stati definiti da Foster et al. ( 13 ) ( Fig. 1 ).

Prendendo gli eventi ipertermici del passato come laboratori naturali, la paleoecologia può contribuire a conoscenze rilevanti per la politica lungo quattro percorsi principali.

Fig. 1.

A ) Anomalie di temperatura (differenza di temperatura dal periodo preindustriale [dal 1850 al 1900]; curva arancione solida) derivate da modelli climatici (da 300 a 66 milioni di anni fa; Ma)

( 89 , 90 ) e da dati proxy di acque profonde (da 66 a 0,1 milioni anni fa) ( 91 ). I picchi di temperatura al di sotto delle barre grigie indicano ipertermali ben noti con anomalie di temperatura derivate da dati proxy sensibili alla temperatura ( Dataset S1 ). Le barre di errore indicano incertezze negli eventi di picco di riscaldamento (intervalli in letteratura). Abbreviazioni del periodo geologico: P: Permiano, Tr: Triassico, J: Giurassico, K: Cretaceo, Pg: Paleogene, Ng: Neogene. ( B ) Anomalie di temperatura secondo gli scenari del percorso socioeconomico condiviso (SSP) ( 15 ). ( C ) Risposte biologiche a eventi di riscaldamento rapido (ipertermali) negli ultimi 300 milioni di anni ( 92 ).

Abbreviazioni ipertermali: TOAE: Toarcian Oceanic Anossic Event, OAE: Oceanic Anossic Event, PETM: Paleocene-Eocene Thermal Maximum.

Affrontare lo scetticismo climatico.

Gli scettici del clima spesso si affidano all’argomentazione secondo cui il clima è in continua evoluzione e l’attuale tendenza al riscaldamento non è quindi allarmante. La paleoecologia può fornire informazioni sugli effetti catastrofici dell’antico cambiamento climatico e sulle temperature critiche alle quali potrebbero verificarsi punti di non ritorno negli ecosistemi. Ad esempio, una recente analisi ha rivelato che un cambiamento nella temperatura globale media di 5,2 °C o più tra gli stadi geologici (“piani”) ha provocato eventi di estinzione di massa ( 32 ). Questo rappresenta il tipo di informazioni quantitative pertinenti ricercate dall’IPCC. In effetti, l’IPCC ha incorporato queste informazioni per fare una dichiarazione di fiducia: “Paleorecords indicano che a livelli estremi di riscaldamento globale (> 5,2 ° C), può verificarsi l’estinzione di massa delle specie marine ( confidenza media )” ( 33). Aumentare la fiducia in questa affermazione e quantificare il costo previsto dell’estinzione a vari gradi di riscaldamento dovrebbe essere un’alta priorità della ricerca. Altri punti critici potrebbero anche essere definiti con dati fossili , cioè con dati desumibili dall’ecologia delle ere geologiche precedenti la nostra.

Definire i limiti dell’adattamento naturale.

I limiti all’adattamento naturale sono fondamentali per prevedere le conseguenze del cambiamento climatico non solo in termini di tassi ma anche in termini di “magnitudo”. La maggior parte dei contributi paleoecologici supporta già il conservatorismo di nicchia rispetto alle tolleranze climatiche ( 34 , 35 ) e all’affinità dell’habitat ( 36 , 37 ). Suggeriscono inoltre che è improbabile che l’adattamento naturale sia in grado di tenere il passo con il rapido cambiamento climatico, sebbene né i tassi di adattamento né i tassi di cambiamento climatico possano essere confrontati direttamente attraverso le scale temporali ( 27 , 38).

Esiste una relazione negativa tra intervalli di tempo di osservazione e tassi osservati, probabilmente perché i tassi di cambiamento climatico e di evoluzione non sono monotoni, ma la probabilità di ristagni transitori o addirittura di inversioni aumenta nel tempo (27) . Pertanto, i tentativi di confrontare i tassi di adattamento nel tempo profondo con i tassi di riscaldamento previsti ( 39 ) sono per natura imperfetti. Detto questo, il tasso relativo di forzatura climatica e risposta ecologica può ancora essere “informativo” se analizzato su una risoluzione temporale comparabile ( 25 ). E “informativo” significa “essere utile per l’assunzione di provvedimenti a seguito di indagini scientifiche attendibili”.

Nonostante le discrepanze nei tassi, la paleoecologia può ancora fornire preziose informazioni sull’efficacia dell’adattamento in caso di rapidi cambiamenti climatici.

E’ da tenere presente, inoltre, che ogni estinzione nella documentazione fossile segnala un adattamento fallito. Durante gli eventi ipertermici, la spiegazione più semplice  è che un fattore di stress legato al riscaldamento era responsabile dell’estinzione ( 40 ). L’estinzione globale di una specie è spesso preceduta da estinzioni di popolazioni regionali (estirpazioni) e tali estirpazioni sono parte integrante degli spostamenti di areale ( 41 ).

Insieme ai cambiamenti fenologici, i cambiamenti di “gamma latitudinale e altitudinale” sono la risposta più ampiamente documentata della vita / degli ambienti ai cambiamenti climatici attuali ( 42 ) e del recente passato ( 7 , 43). Non è chiaramente definito se i cambiamenti di portata facciano parte dell’adattamento climatico o indichino un mancato adattamento; tuttavia, le “estirpazioni” significano ovviamente un mancato adattamento ai cambiamenti ambientali locali. In tal senso, i range shift potrebbero essere usati per tracciare modelli di adattamento. Sfortunatamente, i cambiamenti di gamma sono molto difficili da tracciare nel tempo profondo (il record più antico è del Pleistocene;  circa 2,58 milioni di anni fa) a causa di problemi di campionamento ( 44 , 45 ). A livello delle singole specie, solo le estinzioni globali segnalano il superamento dei limiti di adattamento.

Qualsiasi aspetto della perdita di prestazioni, come i cambiamenti nell’abbondanza, può anche essere visto come un limite di adattamento nel senso dell’IPCC: “il cambiamento del clima in cui l’adattamento non è in grado di prevenire impatti dannosi e ulteriori rischi” ( 46 ) . Misurare i cambiamenti di abbondanza all’interno delle popolazioni è impegnativo sia nella documentazione fossile vicina che in quella profonda ma, come caso estremo di perdita di abbondanza, il fallimento di interi ecosistemi può essere facilmente rilevato.

Ad esempio, il collasso di antiche barriere coralline e di alcuni biomi vegetali è stato correttamente associato a eventi ipertermici ( 45 , 47 ).

La riduzione delle dimensioni corporee può anche essere vista come una strategia adattativa contro il riscaldamento e livelli elevati di CO2 ( 48 ) . Le valutazioni delle riduzioni delle dimensioni corporee dovute ai cambiamenti climatici sono comuni nella letteratura paleontologica (ad esempio, rif. 49-52 ), sebbene il collegamento esplicito all’adattamento sia raro ( 53 ) . Quantificare l’interazione tra spostamenti di portata, dimensioni del corpo ed estinzione sarebbe un percorso  utile per la ricerca futura.

Imparare dal passato per prevedere gli sviluppi dell’attuale cambiamento climatico.

Identificare le vulnerabilità ai cambiamenti climatici tra i sistemi è uno degli obiettivi chiave dell’IPCC WG II. La “vulnerabilità” dei sistemi è definita come la propensione ad essere influenzata negativamente dai cambiamenti climatici e dipende dall’esposizione ai rischi climatici, dall’intensità dei fenomeni  e dalla capacità di adattamento di organismi e sistemi. La maggior parte degli studi paleoecologici sui cambiamenti climatici si concentra su alcuni aspetti della “vulnerabilità” (ad esempio, rif. 54 – 58 ). La paleontologia (insieme alla paleoecologia, più legata ai cambi ambientali generali)  può chiarire quali specie (animali e vegetali) ed ecosistemi siano più vulnerabili ai cambiamenti climatici passati ( Fig. 1 ) cercando di identificare punti in comune che consentano la proiezione di tali modelli nel futuro.

Anche i modelli geografici dell’estinzione indotta dal clima nei reperti fossili possono contribuire alle proiezioni dei rischi climatici.

Ad esempio Penne et al. ( 55 ) ha combinato l’osservazione dell’aumento del numero di estinzioni alle alte latitudini contemporanea alla  riduzione delle estinzioni ai tropici con tecniche di modellazione per rivelare che la combinazione di riscaldamento e ipossia (diminuzione della parte ossigeno in atmosfera) potrebbe spiegare  la biogeografia dell’estinzione di massa della fine del Permiano. Una diminuzione di ossigeno (ora al 21 per cento medio in atmosfera ma con punte del 29 per cento nel periodo Carbonifero, immediatamente precedente al Permiano con copertura forestale generalizzata (specie di gimnosperme) e con esempi di gigantismo animale  attribuiti ad un altro impatto epocale (tipo quello del famoso meteorite di Ixchulub della interruzione K-Pg (Cretaceo/Paleogene). Un altro meteorite che potrebbe essere caduto nel nord dell’Australia attuale a fine era Paleozoica (appunto tra Permiano e Triassico)  ( 94 ) . Con la conseguenza di minore irraggiamento solare, bassissima fotosintesi, eliminazione di migliaia di specie animali e vegetali “sensibili” e la susseguente apertura di una nuova fase.

La capacità predittiva di questa scoperta è, tuttavia, compromessa dall’osservazione che la selettività di “estinzione latitudinale” varia tra gli ipertermali ( 59 ) cioè nelle fasi di forte innalzamento della temperatura. Ad esempio, l’ipertermale della fine del Triassico mostra una selettività di estinzione latitudinale opposta a quella di fine era Primaria o del periodo tardo Cretaceo: il rischio di estinzione era sostanzialmente maggiore nei tropici rispetto a quelli extratropici ( 59 , 60). Proprio lì sta il concetto di “latitudinale”, nel provocare eventi estremi in una sola fascia, pur estesa, parallela all’equatore di allora. Con la conseguenza, per la “media” estinzione di fine Triassico del mantenimento di biomi stabili in climi più temperati e freddi contemporaneamete a forti cambiamenti nella fascia tropico-equatoriale tardo Triassico. Onestamente, per rispetto ai principi scientifici di fondo dell’analisi ragionata, sono necessari approcci più completi per valutare i modelli geografici di vulnerabilità per spiegare queste differenze. Soprattutto bisogna avere ben chiara la diversa configurazione delle terre emerse in quei particolari momenti geologici. Laurasia e Gondwana uniti in un unico supercontinente a fine paleozoico, con equatore in linea con le aree che saranno poi quelle (fra le altre) della nostra cara Europa attuale

 

Gli approcci basati sui tratti sono molto promettenti per l’identificazione delle vulnerabilità ( 6 ). Ad esempio, una valutazione basata sui tratti del rischio di estinzione dei coralli della barriera corallina, utilizzando tecniche di apprendimento automatico e calibrata rispetto alle estinzioni di coralli osservate nel Plio-Pleistocene caraibico ( 61 ), ha prodotto una mappa più realistica rispetto a una precedente valutazione del rischio di estinzione dei coralli , che si basava in gran parte sulla perdita di aree di barriera corallina come surrogato delle tendenze della popolazione ( 62 ). Come già stabilito in studi paleoecologici, la vulnerabilità delle barriere coralline allo stress termico non è necessariamente indicativa di un elevato rischio di estinzione dei coralli ( 47). Uno studio ha anche suggerito che in mare , i taxa fotosimbiotici, che scavano o nuotano attivamente, e i taxa con dimensioni corporee maggiori, erano i primi ad essere particolarmente inclini all’estinzione negli eventi ipertermici (63 ) . Valutare quali tratti sono particolarmente sensibili agli eventi ipertermici rispetto alle estinzioni di massa di fondo e non ipertermiche è la chiave per identificare vulnerabilità specifiche ( 57 ) 

Miglioramento dell’attribuzione.

L’attribuzione dell’attuale cambiamento ecologico all’aumento dei gas serra è condizionata da quanto effettivamente pesa il contributo “umano”( 64 ).

Un punto di forza spesso citato della paleoecologia è che può fornire spiegazioni utili ad interpretare le risposte degli ecosistemi a fattori di stress abiotici senza il “rumore” degli impatti umani diretti come la distruzione dell’habitat, lo sfruttamento eccessivo e l’inquinamento ( 4 – 6 , 57 , 65).

La registrazione di modelli non antropogenicamente distorti è davvero uno dei principali punti di forza del paleoecologo. Gli antichi ipertermali sono privi di impatti antropogenici ed, inoltre,  l’interazione dei driver abiotici è difficile da condizionare. Ad esempio, il vulcanismo della serie di eruzioni siberiane che si pensa abbia causato l’estinzione di massa della fine del Permiano (…non ci si è ancora messi d’accordo nel mondo scientifico se questo è stato l’unico fattore  scatenante oppure se si è trattato di una concausa  con il contemporaneo meteorite australiano) non solo ha rilasciato gas serra ma anche alogeni, che potrebbero aver amplificato il bilancio dell’estinzione ( 28 , 66 ). L’attribuzione al cambiamento di temperatura è facilitata nella documentazione fossile del tempo prossimo, suggerendo lievi effetti dei cambiamenti climatici ( 5 , 11 ), ma ancora una volta il cambiamento climatico del tempo prossimo è stato in gran parte forzato dai cicli astronomici piuttosto che dai gas serra ( 15). Perché anche di questi fenomeni bisogna tenere conto, visto che hanno anche loro importanza.

Analisi quantitative che vanno dalla semplice correlazione a test più complessi di causalità ( 67 ) miglioreranno il rigore dell’attribuzione su scale temporali.

Ostacoli

Diversi contributi paleoecologici sopra citati sono stati inclusi nelle AR dell’IPCC. Ci sono molte altre pubblicazioni  del settore, che non sono state prese in considerazione dall’IPCC, anche se si concentrano sul cambiamento climatico. Si tratta del solito capro espiatorio per la mancata considerazione dei contributi paleoecologici nella letteratura specifica,  invece  rilevante è la grande differenza nella scala temporale in cui vengono esplorati i modelli ( 17 , 18). La scala temporale è davvero un grosso problema, come abbiamo evidenziato sopra, quando ci riferiamo ai tassi di cambiamento. Tuttavia, la scala è meno problematica quando le magnitudini sono prese nella dovuta considerazione. Ad esempio, l’ordine di classificazione della sensibilità ai fattori di stress legati al clima tra i gruppi di animali negli studi sperimentali è positivamente correlato con l’ordine di classificazione dei tassi medi di estinzione nella documentazione sui fossili ( 68 ). Inoltre, le tempistiche sono un problema minore nella registrazione near-time, in cui i tassi di cambiamento sono affrontabili ( 25 ). Ipotizziamo che, oltre all’ostacolo di scala, ci siano due ostacoli poco considerati ma ugualmente importanti: 1) la mancanza di una ricerca mirata e 2) la comunicazione incongruente dei risultati.

Riguardo al punto 1, la letteratura di settore è ricca di interventi che documentano modelli e processi di estinzione. Tuttavia, le pubblicazioni spesso prendono di mira i rischi generali di estinzione piuttosto che i rischi specifici del cambiamento climatico. Pertanto, non possono essere utilizzati per ipotizzare il futuro della biodiversità combinato con  il cambiamento climatico. Ad esempio Finnegan et al. ( 65 ) hanno definito linee di base per il rischio di estinzione nell’oceano moderno sulla base dei modelli di estinzione del Neogene. I modelli sono stati calibrati basandosi su  estinzioni che si verificano durante una tendenza al raffreddamento a lungo termine, che potrebbe compromettere la loro applicazione per le proiezioni durante il riscaldamento climatico ( 69 ). Allo stesso modo, molte pubblicazioni valutano la selettività delle estinzioni in eventi di fondo e di estinzione di massa senza collegarsi a cause specifiche (ad esempio, rif. 70-73). Per essere specifici del cambiamento climatico, la dicotomia di ipertermali e non ipertermali può essere più utile della dicotomia, ad esempio, di “estinzione di massa” ed “estinzioni di fondo” (ad esempio, riferimenti 74 e 75 ).

La maggior parte dei paleoecologi non produce dati con l’obiettivo finale di vedere il proprio lavoro utilizzato per decisioni politiche, ma per effettuare analisi di ricerca pure o di documentazione di particolari ambienti in evoluzione.. Tuttavia, molti discutono i loro risultati nel contesto del cambiamento climatico moderno, forse nel tentativo di rimanere interessanti per finanziatori e riviste. Ciò crea un disallineamento nella pertinenza fra le  informazioni generate dai paleoecologi e le informazioni necessarie per i documenti rilevanti per le politiche, è spesso una prosaica questione di accesso ai finanziamenti. Meglio chiudersi nelle torri d’avorio della ricerca pure, piuttosto che provare ad utilizzare strumenti scientifici di livello per arrivare a proposte condivise e plausibili. o. L’avvio di progetti di ricerca con rilevanza politica e organizzazioni come l’IPCC aiuterebbe certamente ad allineare i risultati della ricerca con le esigenze politiche e giustificherebbe il finanziamento per la paleo ecologia ( 20 , 22 ).

Riguardo al secondo punto, è utile ricordare che il difetto più importante nella maggior parte dei contributi paleontologici/paleoecologici  è probabilmente il modo in cui vengono riportati i risultati. I problemi di segnalazione sono forse meglio illustrati con l’estinzione di massa della fine del Permiano come esempio. Mentre non mancano le pubblicazioni paleoecologiche che sottolineano la relazione tra il riscaldamento globale e l’estinzione, con diverse discussioni sui potenziali confronti/similitudini al riscaldamento del 21° secolo (ad esempio, rif. 76 e 77 ). Di fatto  è molto difficile estrarre da questa letteratura anche i più elementari dati  che potrebbero essere utilizzati dall’IPCC come il bilancio delle estinzioni, i cambiamenti ecologici e i loro collegamenti con il riscaldamento globale.

I tassi di estinzione dell’estinzione di massa della fine del Permiano sono stati quantificati a diversi livelli tassonomici utilizzando diverse fonti di dati e tecniche.

I tassi di estinzione marina a livello di specie variano tra l’81 e il 96%. Un esame della letteratura suggerisce che i numeri dal 90 al 95% sono percentualmente più presenti rispetto ai numeri inferiori, sebbene le stime più elevate risalgano agli anni ’70 ( 78 ) e Stanley ( 79 ) sostenesse in modo convincente che il tasso di estinzione effettivo fosse più vicino a 81%.

La continua segnalazione dei numeri più alti può riflettere una ripetizione acritica di numeri più vecchi o la preferenza umana per il dramma. Indipendentemente da ciò, l’attuale crisi climatica, per quanto acuta possa essere, dovrebbe essere valutata sulla base delle stime migliori piuttosto che più drammatiche dei reperti fossili.

Il bilancio dell’estinzione delle piante è ancora più controverso. Una recente pubblicazione ha accennato a gravi pregiudizi nella documentazione sui fossili vegetali al confine Permiano-Triassico e ha concluso che non vi era alcuna estinzione di massa delle piante a livello di genere ( 80 ). Tuttavia, affinché i dati siano utili per l’IPCC, è necessaria una combinazione di dati, parametri e numeri a  livello di specie, poiché l’IPCC non fa riferimento ai generi.

Sulla base di queste osservazioni e ispirati da un approccio simile per rafforzare la fiducia nella scienza dell’impatto dei cambiamenti climatici ( 81 ), abbiamo sviluppato un sistema di punteggio per le pubblicazioni e calcolato un punteggio di rilevanza ( RS ) per una serie di riferimenti citati o non citati dall’IPCC ( Materiali e Metodi ).

I risultati sono chiari ( Fig. 2 ). La moderna letteratura ecologica citata nei nelle parti di analisi degli ecosistemi  terrestri e oceanici dell’IPCC AR5 ( 29 , 30 ) ha ottenuto i risultati più alti ( RS mediana = 8) ma non significativamente più alta della letteratura “paleo” citata ( RS mediana = 7; test di Wilcoxon, W = 2133,5; P= 0,259). Tuttavia, la letteratura paleontologica/paleoecologica  citata ha ottenuto un punteggio enormemente più alto di un sottoinsieme casuale della letteratura paleo non citata, che aveva anche “cambiamento climatico” come parola chiave (RS mediana = 4, W = 5354,5, P = 4,254e-11). La letteratura citata aveva una portata spaziale più ampia e tendeva a concentrarsi maggiormente sui modelli storici e del tempo prossimo rispetto a quelli del tempo profondo ( Fig. 3 ). Tuttavia, il 37% delle citazioni dell’IPCC con riferimento al passato si riferisce a documenti paleontologici del tempo profondo (cioè quello più lontano da noi), suggerendo che una parte sostanziale della letteratura paleontologica potrebbe diventare rilevante per l’IPCC.

La RS della letteratura in tempo reale citata dall’IPCC (mediana 8) è solo marginalmente maggiore della RS della letteratura del tempo profondo ( RS mediana = 7, W = 353, P = 0,35). E il modello è persino inverso per il sottoinsieme casuale non citato, con un punteggio RS in tempo profondo più alto di RS in tempo prossimo (mediana 8 e 7, rispettivamente, W = 1.255, P = 0,057).

 

 

 

 

 

 

 

(A ) Punteggi di pertinenza dei riferimenti citati in due pubblicazioni dell’IPCC AR5 con un focus sugli impatti ecologici del cambiamento climatico ( 29 , 30 ) e un sottoinsieme casuale della letteratura paleo con un focus sul cambiamento climatico (da Web of Science; WoS).

I punteggi dei dati moderni e paleo non sono statisticamente distinguibili, mentre il sottoinsieme casuale è sostanzialmente inferiore (vedere il testo per le statistiche). ( B ) Percentuali di pubblicazioni paleontologiche IPCC AR5 e WoS, che ottengono punteggi nelle rispettive categorie. Ad esempio, il 42% di tutte le pubblicazioni paleontologiche citate dall’IPCC fornisce una rilevanza diretta per la previsione degli impatti dei cambiamenti climatici, mentre questa rilevanza è mostrata solo nel 6% del sottoinsieme casuale non citato di WoS. 

 

L’ambito delle pubblicazioni varia profondamente tra le pubblicazioni paleoecologiche citate dall’IPCC e quelle non citate. ( A ) Ambito spaziale. ( B ) Ambito temporale. Le percentuali sono fornite per le pubblicazioni IPCC e WoS. Ad esempio, il 63% delle pubblicazioni si riferisce a dati paleo e storici vicini al tempo, mentre il 37% si riferisce al record del tempo profondo pre-Pleistocene.

L’IPCC e i responsabili delle politiche si basano sulla segnalazione quantitativa delle dimensioni dell’effetto piuttosto che sui test di significatività ottenuti attraverso test statistici (ad esempio, valori P ). Dichiarazioni utili per l’IPCC includono gli effetti osservati su un organismo o sistema, stabilito un certo livello di riscaldamento o forniscono un confronto quantificabile tra organismi o sistemi: anomalia della temperatura) del riscaldamento globale” o “le specie nel gruppo Y (un clade o un gruppo funzionale) erano in media più vulnerabili al riscaldamento rispetto alle specie nel gruppo Z (un altro o tutti gli altri cladi o gruppi) secondo ES (una misura dell’effetto misurare).”

La comunicazione dei risultati utilizzando tali affermazioni è solitamente carente nella letteratura paleoecologica. Nolan et al. ( 10 ) forniscono un esempio di buona pratica per riportare i dati paleontologici. Forniscono prove quantitative empiriche per i cambiamenti compositivi e strutturali della vegetazione a diversi livelli di riscaldamento regionale. Tuttavia, l’abstract fa solo affermazioni qualitative sulla sensibilità degli ecosistemi terrestri al riscaldamento climatico e l’eccellente studio è stato citato solo una volta in un capitolo regionale del WG II ( 82).

 

L’inquadramento delle pubblicazioni per quanto riguarda i titoli e gli abstract contribuisce alla loro omissione nei rapporti dell’IPCC. Molte pubblicazioni si concentrano su un luogo specifico o un gruppo di fossili e menzionano il cambiamento climatico solo di sfuggita, piuttosto che presentarlo in modo prominente nel titolo. Inquadrare le pubblicazioni per evidenziare gli impatti del cambiamento climatico migliora la probabilità che vengano trovate e incorporate nell’IPCC ( Fig. 2 ). E questo, a volte, cozza con gli obiettivi immediati di chi scrive che, evidentemente, non ha come “goal” primario quello di fare una esegesi climatica comparata.

Due pubblicazioni possono mostrare la struttura e il reporting ideali per l’uso in questioni politiche. Come è tipico per l’IPCC, nel processo di scrittura, gli autori principali non solo identificano le lacune della ricerca, ma mirano anche a colmare tali lacune con nuove approfondimenti.  Ad esempio Warren et al. ( 83 ) ha colmato una lacuna di conoscenza riguardante la differenza degli effetti tra 1,5 °C e magnitudo superiori del riscaldamento globale sulla biodiversità terrestre modellando e quantificando gli effetti del riscaldamento previsto sulla biodiversità regionale.

I risultati di questo documento sono stati inclusi nell’SPM della relazione speciale sugli impatti del riscaldamento globale di 1,5 °C ( 84 ). Allo stesso modo, gli autori del documento trasversale sugli hotspot di biodiversità in AR6 ( 85) si rese conto che gli impatti del cambiamento climatico su queste regioni non erano ancora stati documentati nella letteratura scientifica e pubblicò un documento mirato incentrato sui rischi di estinzione previsti in tali aree ( 86 ).

La scoperta chiave di questo documento, un aumento di circa 10 volte del rischio di estinzione delle specie endemiche con un aumento da <1,5 a 3 °C di riscaldamento, è stata inclusa anche nell’SPM ( 31). Poiché queste pubblicazioni sono state adattate per l’IPCC, servono a mostrare le migliori pratiche per eventuali interventi / provvedimenti successivi. Entrambi i documenti sono strutturati per fornire specificamente dati sulle risposte ecologiche al riscaldamento in diversi scenari. Quantificano accuratamente queste risposte e i numeri chiave sono riportati nell’abstract. Inoltre, la distribuzione spaziale dei rischi è mostrata nelle mappe globali e le incertezze sono chiaramente segnalate.

Osservazioni conclusive

Esistono limiti alla risoluzione spaziotemporale dei dati paleontologici. Ad esempio, la media temporale nella maggior parte delle rocce sedimentarie limita la risoluzione temporale che la paleoecologia può raggiungere ( 87). Tuttavia, questa limitazione non compromette necessariamente la possibilità di fornire contributi rilevanti per le politiche lungo i quattro percorsi sopra indicati. Il contributo della paleontologia alla ricerca sull’impatto climatico rilevante per le politiche può essere aumentato da una ricerca più mirata, da questioni di ridimensionamento considerate in modo esplicito e in particolare da una migliore inquadratura e segnalazione. I potenziali contributi della paleontologia / paleobotanica / paleoecologia alla conservazione e alla politica climatica sono molti; tuttavia, gran parte di quel potenziale rimane non realizzato e tutti i rami della “paleo” possono diventare più rilevanti attraverso una revisione dei parametri di condotta e finalità degli studi, per allinearsi meglio con le esigenze dei professionisti e dei responsabili politici ( 6 , 88 ).

Materiali e metodi

Valutazione delle pratiche di segnalazione delle pubblicazioni.

Abbiamo sviluppato un quadro per valutare le pubblicazioni nell’IPCC AR5 (capitoli 4 e 6 del WG II) ( 29 , 30 ) con un focus storico o paleontologico. Ci concentriamo su AR5, perché era più completo del recente AR6 ( 3) e perché nessuno dei presenti autori è stato coinvolto in tale relazione; in tal modo evitiamo il conflitto di interessi. Il nostro framework ha lo scopo non solo di valutare le pubblicazioni, ma anche di fornire linee guida per i paleontologi quando riportano i risultati in uno studio relativo ai cambiamenti climatici. Abbiamo sviluppato un sistema di punteggio che valuta e assegna specificamente a una pubblicazione un punteggio, denominato punteggio di pertinenza, basato sulla presenza di informazioni rilevanti come l’inquadramento dell’articolo, l’ambito tassonomico dello studio (una o più classi), la segnalazione di dati quantitativi dimensioni degli effetti, chiara attribuzione ai cambiamenti climatici e rilevanza dello studio per la previsione degli impatti climatici futuri sulla biodiversità ( Appendice SI , Tabella S1). Questa valutazione non sta valutando la qualità della pubblicazione, ma piuttosto la misura in cui può essere rilevante per gli organismi politici come l’IPCC. L’ RS massimo di 11 descrive una pubblicazione che fornisce conclusioni basate sull’evidenza (attraverso valutazioni statistiche e altre valutazioni quantitative) su come una gamma di organismi risponde ai cambiamenti climatici e fornisce informazioni cruciali (sotto forma di dimensioni degli effetti, tassi o proporzioni) sull’entità della risposta data una certa quantità di riscaldamento o si riferisce a scenari del prossimo futuro.

Abbiamo valutato le pubblicazioni che utilizzavano dati a lungo termine (più di 30 anni e fino a milioni di anni) e le abbiamo classificate in base alla loro portata temporale . Gli articoli paleontologici sono stati classificati come del tempo prossimo (Pleistocene-Olocene; meno di 2,58 milioni di anni fa) o del tempo profondo (più antico del Pleistocene; maggiore di 2,58 milioni di anni fa). Abbiamo incluso solo documenti che avevano un contesto di biodiversità. Abbiamo anche confrontato i documenti paleontologici inclusi nell’AR5 con un sottoinsieme di quelli non citati nell’AR. Abbiamo estratto un elenco casuale di 100 pubblicazioni pubblicate tra il 2003 e il 2013 dal Web of Science. L’elenco è stato tratto da un download di riferimenti utilizzando i termini di ricerca “(paleontologia OR paleobiologia OR paleontologia OR paleobiologia OR paleoecologia OR paleoecologia) AND cambiamento climatico” .

Disponibilità di dati, materiali e software

I dati e il codice riportati in questo articolo sono stati depositati presso Zenodo ( https://doi.org/10.5281/zenodo.7236301 ) ( 93 ).

 

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in geologia e biologia per gli studenti universitari”
Editoria Università di Mosca 2005 . Autori R.R. Gabdullin, I. V. Ielvin, A. V. Ivanov.

 

 

 

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