La caporetto americana

Non è la fine di una guerra, e tantomeno una tregua concordata. Col passare dei giorni – delle ore – il ritiro degli americani da Kabul si sta trasformando in una fuga, e rischia di diventare una rotta. Trascinando l’intero Occidente in una debacle di proporzioni storiche. L’ultima stima degli afghani che per anni hanno collaborato con gli Usa e sono stati abbandonati a se stessi parla di quasi trecentomila persone. Altro che Dunkerque! C’è l’intera elite di una nazione che rischia di essere decapitata, certo politicamente se non – speriamo – fisicamente. E senza la minima idea di quali potranno essere i nuovi equilibri geopolitici di un’area che è stata la culla del terrorismo internazionale. E che gli eventi drammatici di ieri mostrano che può tornare ad esserlo.

Certo, Biden ha le sue attenuanti. A lui è toccato spegnere la luce dopo che i suoi predecessori avevano creato – e perpetrato – una situazione ingestibile. Però, ha avuto tutto il tempo per evitare il cortocircuito con cui si sta incendiando il paese. E comunque, resterà appiccicato a lui – come scrive in un’editoriale durissimo il New York Times – il marchio infamante di un tradimento senza precedenti dei valori di cui l’America ha fatto la sua bandiera ideologica. Il prezzo che sta già pagando, con un crollo verticale nei sondaggi, è altissimo e rischia di rilanciare Trump e i repubblicani. Che – a dispetto delle proprie responsabilità nell’avere siglato l’accordo scellerato – avranno buon gioco a rivendicare di voler riscattare l’onore americano. Accanto all’incubo internazionale si è aperto, per la Casa Bianca, un fronte interno non meno esplosivo. Il clima d’opinione sta bruscamente cambiando direzione, mettendo a rischio la traballante maggioranza dei democratici in Congresso.

In queste condizioni, restare fermo sulle proprie posizioni può trasformarsi in un calvario. Nessuno è in grado di prevedere che piega prenderà il caos del magma afghano. La controffensiva dell’Isis è appena iniziata, e, quali che siano i veri propositi della leadership talebana, non sembrano esserci le condizioni militari ed economiche per un controllo pacifico del territorio. L’unica certezza è che la spirale drammatica degli eventi verrà vista – a torto o a ragione – come diretta responsabilità di Biden. Può reggere il presidente, e quanto a lungo?

Cambiare corso. È questa la richiesta che sta salendo sempre più autorevole da settori influenti dell’establishment. Sia sul piano militare, rifiutandosi di evacuare tra cinque giorni l’ultimo contingente di 5000 soldati che hanno reso almeno operativo l’aeroporto. Sia sul piano dell’iniziativa diplomatica. L’irremovibile determinazione di Biden a rispettare la scadenza capestro del 31 ha costretto le potenze europee a una corsa disperata per salvare gli ultimi connazionali, abbandonando al proprio destino, dopo vent’anni di cooperazione pacifica, migliaia di famiglie amiche. Ma il danno strategico rischia di diventare ben peggiore. Draghi era stato lucido e tempestivo a chiedere che lo scacchiere decisionale venisse allargato a Russia e Cina, per evitare di trasformare il nostro isolamento morale in un cul de sac politico. Quanto ancora Biden potrà pensare di imporre ai propri alleati le sue scelte senza sbocco, e futuro?

Quali che siano stati i calcoli dietro la linea seguita fino ad oggi, si è trattato di calcoli sbagliati. Sbagliato è stato il calcolo – decisivo per il presidente – che la priorità per i suoi concittadini fosse mollare una guerra inutile. A perdere la guerra erano -quasi – tutti rassegnati. Ma perdere in questo modo la faccia, è un’altra storia. Ed è con questa che Biden ora dovrà fare i conti. Sbagliato è stato anche il ragionamento che, da oggi in poi, l’Afghanistan sarebbe stato un affare dei Talebani. Non lo sarà. Per il ruolo chiave che la regione continua a rivestire, resta il teatro sanguinoso di uno scontro tra i grandi del globo. Davvero credono gli Usa di potere mettere la testa sotto la sabbia di quel deserto? Infine, sbagliata è la presunzione che l’Europa possa supinamente accettare errori di questa portata, e perpetrati con tanta protervia. Anche noi ci sentiamo traditi. Chi pensava che, con la sconfitta di Trump, avevamo ritrovato l’America, sta seriamente cominciando a ricredersi.

di Mauro Calise.

(“Il Mattino”, 26 agosto 2021)

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