La crisi di governo: riflessi sulle destre; sistema o anti – sistema?

Come affrontano la crisi di governo, che è allo stato attuale in cui scriviamo ancora non esplicitata con atti formali, le forze di destra e il M5S? Quali le cause di tale crisi e quali gli effetti sulla parabola dei vari partiti conservatori? Credo sia opportuno iniziare, per dare risposta corretta ai quesiti sopra esposti, dai motivi che hanno spinto nella primavera scorsa la Lega di Matteo Salvini a rompere la alleanza con Forza Italia e, di conseguenza, formare il governo con il Movimento 5 Stelle. I motivi sono in sostanza due: la necessità di rendere esplicito che il nuovo partito guida della coalizione di destra è la Lega, la quale non ha bisogno di essere moderata nelle sue politiche dal ‘saggio’ Berlusconi, e il secondo motivo risiede nella nuova alleanza con i Cinque Stelle che ha la sua ragione, se si tiene conto che le due forze che compongono attualmente il governo Conte non hanno sostenuto il governo Monti o altri governi istituzionali, nella contrapposizione alle politiche di austerità europee. La speranza di una svolta politica contraria alle politiche di austerità ha guidato le scelte dell’elettorato italiano il 4 marzo 2018, ciò ha dato forza logica alla alleanza Lega – M5S, ciò non va mai dimenticato. Strutturalmente Lega e Cinque Stelle sono forze antisistema e hanno, almeno inizialmente, caratterizzato il governo come del ‘cambiamento’, appunto. E la crisi attuale dell’assetto governativo è data dalla mancanza di cambiamento, dalla assenza, al di là di slogan roboanti e di sceneggiate nei comizi, di una vera spinta trasgressiva. I due partiti al governo si sono limitati a provvedimenti con cui accarezzare i sogni dell’elettorato dei ceti medi e popolari, con misure come il Reddito di Cittadinanza e Quota 100, che si sono rivelate al di sotto delle aspettative suscitate, e per il resto hanno concordato politiche di austerità con la Commissione Europea. I nodi stanno venendo al pettine e non è possibile accontentare l’elettorato del sud che si è affidato a Di Maio e quello del nord che chiede la Flat Tax nel contesto degli striminziti spazi di finanza pubblica contrattati l’ anno scorso a Bruxelles. Il rischio che scatti l’aumento dell’IVA insieme a tagli draconiani ai servizi sociali è molto alto e decreterebbe il fallimento del ministero Giallo – Verde e, inoltre, ciò avrebbe ripercussioni anche all’interno delle formazioni politiche attuali. La Lega è meno compatta di quanto si creda, e Salvini potrebbe far fatica a governare la contraddizione fra la proiezione nazionale e sudista della sua ‘creatura’ e lo spirito ‘vecchio-nord’ che anima ancora il partito dei Presidenti Fontana e Zaia desiderosi di portare a casa una ampia autonomia, che assomiglia molto, lo dico solo per inciso, a una rottura processuale del paese. Dall’altra, i Cinque Stelle sono vittima della distanza sempre più ampia che si evidenzia fra la caratteristica antipolitica e contro – sistema che li caratterizza e la necessità, per sfuggire al loro fallimento, di tramutarsi in forza che puntella il sistema e che fa accordi con esso pur di non affrontare il giudizio del popolo al momento del voto. E ciò è una bella contraddizione per una forza politica che si è fondata sulla narrazione di un popolo contrapposto alle élite che dominano le leve del comando, e tale popolo ovviamente si identificava, o doveva identificarsi nei discorsi dei ‘grillini’, con il Movimento stesso.

Da ciò sopra sostenuto si origina questa bizzarra crisi di governo, orchestrata dai bagnasciuga con toni ultimativi e categorici per tutti, e poi rivelatisi la crisi dei ‘vorrei ma non posso’, e delle mezze misure e delle ritirate tattiche. Cosa dimostrano di aver fatto le forze che in questi quattordici mesi hanno guidato il paese con l’impeto dei barbari, almeno all’inizio? Direi un pieno di tattica di piccolo momento e di desiderio di soddisfare gli interessi immediati del proprio elettorato, anche in senso corporativo, e un vuoto strategico drammatico rispetto al futuro del paese. In sostanza il governo Giallo – Verde accompagna la società, la vezzeggia e la coccola, ma non dà direzione; si espone alle intemperie delle crisi internazionali, contenendo in sé posizioni diverse sui vari dossier, che lo portano a soccombere al primo alleato che è capace di fare la voce grossa; insomma navicella fragile senza nostromo nel mare in tempesta.

Come si risolverà la crisi più incerta degli ultimi anni? Chi scrive non sa dare una risposta a tale quesito, visto il fatto, per altro, che i commentatori più autorevoli non si sbilanciano a prevedere esiti e decorso di questa strana malattia politica che si chiama crisi ministeriale. Tuttavia è possibile comprendere la dinamica di eventi così confusi. Essa mi pare risieda nel dato che le due forze oggi in maggioranza hanno esaurito la loro spinta per i motivi sopra descritti, e sono alla ricerca di nuove formule ministeriali, sia prima che dopo il voto, e di nuovi assetti che consentano ad entrambe di non farsi troppo male e di perdere il meno che si possa della carica antisistema posseduta ancora un anno fa e che tanta fortuna aveva portato. Certo, sia il M5S che la Lega, è probabile che debbano pagare pegno, ovvero essere costrette a sostenere, prima o poi, governi di sistema impegnati in pesanti tagli sociali e di ulteriore destrutturazione del mercato del lavoro. Ma per fare ciò hanno bisogno di chiamare la corresponsabilità di altri, dei partiti montiani, e di coprirsi con loro e attraverso loro.

Per fare ciò c’è necessità di tempo e servono molti contorcimenti per giustificarlo al proprio elettorato.

A questo punto non resta che parlare del partito del capo per eccellenza e che non avrà eredi, perché ha solo il ‘capo declinante’, ovvero Forza Italia di Silvio Berlusconi. La forza di Berlusconi risiedeva nel suo rapporto con l’ Italia conservatrice dei ceti medi ma, dopo la esperienza delle prime strette finanziarie degli anni 2008 – 2011 e successivamente con il sofferto sostegno al governo della Commissione Europea impersonato da Mario Monti, Forza Italia ha perso il sostegno del mondo delle imprese, piccole e grandi, e si è avviata verso un inesorabile, anche se lento, declino.

Non resta in questa fase, in cui lo scioglimento del gruppo dirigente del partito è processo che Silvio non sa più contenere, che l’individuazione di due strade possibili: da un lato l’ accostarsi in una alleanza di centrodestra con Salvini, scontando il proprio ruolo marginale dentro l’alleanza, oppure partecipare, sciogliendosi poi in esso, alla formazione di un grande centro moderato che farebbe perno, per il suo coagulo, sull’attivismo di Confindustria, delle Banche e del Corriere della Sera. Questo nuovo centro terrebbe unite in sé contraddizioni in apparenza insanabili con l’ambizione di non farle esplodere; ovvero l’ aspirazione dei ‘vagoni del nord del paese’ a sganciarsi da quelli del ‘centro – sud’ e la necessità di destrutturare ancora di più la società, il mercato del lavoro e dello stato sociale, senza per questo causare la rivolta elettorale dei ceti popolari e dei ceti medi. Un programma ambizioso non c’è che dire! Ma sarà attuabile senza far esplodere il paese e frantumarlo socialmente e territorialmente? E un governo del centro è il vero destino delle forze antisistema che hanno dimostrato come la politica del cambiamento sia impossibile da declinare seriamente dal lato della destra leghista e dal lato dell’antipolitica del Movimento Cinque Stelle? Avremo le risposte dovute, credo, nell’arco dei prossimi mesi, per il momento fermiamoci qui.

Alessandria 19-08-2019 Filippo Orlando

collegamento: La crisi di governo: effetti sulle forze di sinistra

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