La fragile posizione di Macron sull’autonomia europea

L’Europa – presumibilmente l’Europa occidentale – pur nel rispetto dei suoi impegni internazionali (con la NATO) deve avere una sua autonoma visione dei propri interessi e non essere vassalla dell’alleato americano. Quella di Macron è una posizione condivisibile ma che purtroppo non ha una base realistica perché Macron è lo stesso che in casa regna con arroganza, anziché governare con umiltà essendo stato eletto per due volte da una minoranza, con appena il 20-30% dei francesi che condivide le scelte fondamentali di politica economica (sia nei sondaggi che alle elezioni) ed è lo stesso Macron attivamente impegnato insieme agli altri governanti europei a smantellare quel Welfare che dovrebbe rappresentare il core business del “modello sociale europeo”.

Macron si è più volte soffermato sul concetto di “Europa sovrana” (che si presume guidata dalla Francia con la sua grandeur) che dice la sua nel mondo “multipolare”. Questa impostazione che a prima vista sembra giusta e di buon senso sconta però due gravi difficoltà. La prima è ciò che difetta a tutti i sovranismi, che siano su scala nazionale o si basino su una “grandiosa” visione continentale. Le elites neoliberali “europeiste” di cui Macron è la punta di diamante, il cui riferimento in Italia è il PD (a tal punto che Enrico Letta tentò di concordare con la stessa cerchia di Macron l’elezione di Draghi alla presidenza della Repubblica poi sfumata) parlano in continuazione di Europa sovrana ma non sono minimamente interessate a una Europa democratica (e noi aggiungiamo che ci piace anche socialista in nome di quel “socialismo europeo” che è sempre rimasto nient’altro che un bello slogan) dove la partecipazione popolare è incoraggiata e le decisioni strategiche sul futuro del continente, con le sue “patrie” nazionali, vengono prese in base a larghe consultazioni popolari, in modi che dovranno essere stabiliti e con problemi che non sono facili da risolvere: come si costruisce una “repubblica europea” popolare e democratica e solo in conseguenza di questo “sovrana” partendo da stati nazionali che non sono l’Illinois o il Michigan (con tutto il dovuto rispetto per questi importanti stati americani) ma che hanno una lunga e complessa storia. Non si potrà dunque sradicarle ma dovranno essere in qualche modo parte del disegno. La sovranità infatti è una conseguenza della scelta democratica e questo si intende quando si dice che la sovranità appartiene al popolo cioè che “il popolo è il sovrano”. Se la collettività si riduce a lobbies e portatori di interessi che determinano gli orientamenti politici a favore dei “pochi e non dei molti” è chiaro che siamo molto lontani da quello che prescrive la nostra Costituzione.

Quindi è chiaro che questi “modi” per arrivare a una Europa democratica sono molto difficili da trovare ma sono anche “necessari” per avere una collettività che pur variegata nelle diverse forti identità nazionali (incancellabili) si riconosce almeno in una cultura comune europea e in una destinazione strategica comune. Altrimenti la rivendicazione di Macron si mostra nuda per quello che è, il ruggito del coniglio di una Francia che ha ancora sogni di grande potenza e si mimetizza nel drappo europeo per farsi più attraente e convincente ma tutti la scoprono subito.

Non si vede come i popoli europei possano mostrarsi convinti di questo discorso, dopo essere stati martoriati da almeno un quindicennio di austerità, da scelte strutturali di politica economica e monetaria folli e criminali che hanno spinto la Grecia nella prigione dei debitori e creato ovunque milioni di poveri e distrutto interi sistemi sanitari nazionali, con l’Italia nelle prime posizioni della vergogna anche a causa di una classe dirigente inadeguata e trasformista che per servilismo e ignoranza ha preso alla lettera i vari memorandum europei (per noi sotto forma della famigerata “lettera della BCE” di Draghi e Trichet) sul taglio del deficit e sul “fiscal compact” mentre chi più conta in Europa (Francia e Germania) ha applicato la famosa regola del 3% in modo molto flessibile e tenendo bene a mente la difesa dei propri interessi nazionali.

Quindi se il legame culturale principale che dovrebbe interessare il tratto “identitario” della comune nazione europea è quel Welfare, quel modello sociale europeo, che i nostri governanti sono impegnati tuttora attivamente a smantellare, cosa ce ne facciamo di una tonitruante, per quanto giusta sulla carta, rivendicazione di autonomia strategica europea? Chi sarà in grado di attuarla e con quale base di consenso?

I punti sono quindi due: mancanza di una base democratica e la non chiara declinazione della cosiddetta teoria “multipolare”.

Quando si dice infatti che l’Europa deve avere una sua politica estera non si dice mai chi è il decisore di questa politica estera. Cioè in tutti questi bei discorsi che tanto riempiono la bocca dei potenti quando vogliono sentirsi liberali e magnanimi, non è previsto che il popolo possa dire la sua prima che le decisioni strategiche vengano prese dai (spesso poco lucidi a dispetto di qualche affrettato cantore dello status quo) decisori (che dovrebbero essere rappresentanti del popolo e non delle lobbies se ciò non guasta la digestione a qualcuno). Qui si entra nel tema della mitizzata teoria multipolare che viene spesso contrapposta all’innegabile unilateralismo dell’impero americano. Ma oltre i miti da “campismo antimperialista” (cascame della dottrina stalinista che prevede che il nemico del mio nemico è mio amico anche se è un autocrate o un delinquente impresentabile) se il mondo multipolare che si vuole raggiungere è un mondo di “canaglie globali” con autocrati a est e elites scarsamente democratiche a ovest, che si fanno equilibrio fra loro con la corsa al riarmo e la minaccia nucleare, non c’è molta soddisfazione né un grande guadagno a sostenere il mitico mondo multipolare. Anzi seguendo questa ingenua strada si rischia di cadere dalla padella nella brace di un mondo ancora più autoritario e caotico. Perché se bisogna come Europa spingere certamente con forza verso un negoziato fra Russia e Ucraina anche forzando la mano alle posizioni conservative di Cina e USA, bisogna avere bene altrettanto chiaro il punto di caduta: l’ordine internazionale che piacerebbe a Putin, fondato su principi oscurantisti e reazionari, sarebbe decisamente peggio di quello attuale! pur giudicato giustamente ormai insostenibile. E questo nonostante sia assolutamente necessario porre un freno all’imperialismo americano (che ovviamente gli USA non possono mettersi da soli, del resto nessuno di noi lo farebbe al posto loro). Quindi per quanto sia decantata la teoria multipolare (non solo i teorici del BRICS ma anche il primo Obama e lo stesso Macron ne parlano) quello che serve in realtà è una conversazione molto più ampia in una comunità internazionale realmente democratica dove anche i più paesi deboli possano dire la loro ed essere rappresentati nei consessi che contano (a parte il nobile ma inutile diritto di tribuna all’assemblea generale dell’ONU). Altrimenti essere sudditi di un impero, o essere vassalli di gangster locali che si fanno equilibrio fra di loro con il terrore atomico e praticano lo stesso taglieggiamento mafioso delle popolazioni locali, non cambia l’equazione: i potenti continueranno a fare “ciò che vogliono e i deboli sono destinati a soffrire.

E’ chiaro che l’Europa non può essere autonoma senza una sua Ostpolitik che riprenda la visione illuminata di Willy Brandt, e questo sicuramente non farà piacere agli USA e al Regno Unito, ma avendo comunque presente uno scenario cambiato dove in Russia al posto di quello sovietico c’è un regime fascista e gangsteristico ed è quindi più difficile trovare la via d’uscita. Allo stesso tempo però è chiaro che i rapporti con la Russia e con la Cina devono essere impostati su basi diverse da quelle della tensione estrema da guerra fredda imposta dagli USA; e che se non ci si riesce lo scenario inevitabile è quello della guerra vera e propria. Un punto di equilibrio molto difficile da trovare su cui i governanti europei dovrebbero essere impegnati ogni giorno anziché nell’appassionante dibattito sulla “farina di grillo” su cui sono molto impegnati i sovranari di casa nostra: perché per far finire la guerra non basta nemmeno una vittoria militare ma servono quelle che Emiliano Brancaccio e altri definiscono le “condizioni economiche per la pace” che coinvolgono lo sforzo per un riequilibrio globale delle varie bilance dei pagamenti.

Per fare quello che dice Macron serve perciò, come ho provato brevemente ad argomentare, un’Europa diversa che difende e rilancia il suo modello sociale come il suo tratto più prezioso, mette da parte l’austerità e sceglie sia pure fra mille prevedibili difficoltà un modello di vera partecipazione democratica (che non è minimamente previsto negli statuti della UE). Quello che di norma e di fatto i trattati subordinano alla “stabilità dei prezzi” cioè il mantenimento dello status quo, il contrasto di qualsiasi sforzo a favore della piena occupazione mantenendo un ingente “esercito industriale di riserva” al costo di gravi sofferenze sociali e a favore delle classi dominanti senza legittimazione, se non quella virulenta del fascismo finanziario: se provi a opporti a queste scelte di politica economica, decise da pochi in modo unilaterale e antidemocratico, mando in malora te e il tuo paese, basta alzare il sopracciglio delle agenzie di rating, minacciarti con la ratifica del MES (società di diritto privato con sede in Lussemburgo) per screditare il tuo debito pubblico e costringerti a svendere i beni di famiglia e chiedere l’elemosina per i prossimi trent’anni.

Filippo Boatti

12 aprile 2023

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