La nostra fragile società civile

    In un suo recente editoriale ( “Il vero civismo che serve alla società e alla politica”) il direttore del “Nuovo Quotidiano di Puglia” –giornale periferico solo geograficamente e non certo per i molti temi generali che solleva-  affronta con efficacia la questione capitale per la politica e per la cultura della difettosa costruzione di un nostro spirito pubblico che vale la pena riprendere e corredare di qualche riflessione aggiuntiva.

   Specialmente negli ultimi anni, si è cercato di accreditare l’idea che ciò sia da addebitare ad una cattiva politica che ha impedito ad una presunta virtuosa società civile di dispiegare tutte le sue qualità. Ci sarebbe, insomma, una società civile buona contrapposta ad una società politica cattiva che sta spingendo sempre più molti bravi e immacolati cittadini a scendere nell’agone elettorale con liste civiche ‘qualunquistiche’. Viene del tutto rimosso il fatto che l’una è quasi sempre lo specchio fedele dell’altra.

    Ciò che soprattutto mi sentirei di evidenziare è il fatto che il nostro Paese almeno da vent’anni è guidato proprio dal “civismo” trionfante. La detronizzazione della politica, iniziata con Berlusconi, è proseguita con il grillismo e col PD di Renzi. Come hanno sostenuto molti analisti, il libro nero di questi ultimi venti anni è proprio quello in cui protagonista è stata una società civile che si è fatta politica e che col suo spirito selvaggio e i suoi egoismi irriducibili ad ogni composizione unitaria dirige ormai lo Stato. Siamo in gran parte nelle mani di “politici fai da te” che non si rendono conto del baratro verso il quale stanno portando il Paese.

    Che lo scarso spirito pubblico, che il debole senso dello Stato, che l’assenza della comunità, che un fragile civismo siano poi ‘prerogative caratterizzanti’ dei meridionali è vero solo fino ad un certo punto. Esse vanno considerate come elementi costitutivi di una complessiva identità nazionale. L’analisi del famoso politologo americano Robert Putnam , che è stata spesso utilizzata per rafforzare molti pregiudizi, bisogna invece accoglierla con molte cautele.  In realtà, il “repubblicanesimo comunale” del Nord di cui egli parla è stato enfatizzato troppo, al punto da farne un vero e proprio mito storiografico. Gramsci, per esempio, considerava l’esperienza comunale medievale <<la peggiore delle forme di società feudale, la forma meno progressiva e stagnante>>. Per Francesco Calasso i comuni, lungi dal rinnovare rispetto alle vecchie strutture feudali, sono invece inseriti <<saldamente nelle maglie dell’ordine antico>>. Dunque, politicamente l’autarchia comunale è stata un fenomeno assai regressivo in quanto non riesce a modernizzare le articolazioni del potere dandosi ,come accade altrove, una nuova centralizzazione statuale. Contemporaneamente, però, a fronte di questa arretratezza politica del comune del Nord, risalta la modernità proprio del Sud che con Federico ll (un uomo –come dice Gramsci- che <<davvero poteva fondare una società laica e nazionale>>) e con le “Costituzioni di Melfi” del 1231 cerca la completa distruzione del sistema feudale dando vita a uno Stato centralizzato.

    Ma, come sappiamo, per ragioni che qui non possiamo affrontare, quel tentativo e molti altri successivi fallirono e l’Italia rimase senza uno Stato politico e senza una coscienza nazionale. Se poi, in qualche modo e molto tardi, lo Stato politico fu fatto, non fu fatta però quella coscienza nazionale che ancora attendiamo di avere. Ed è proprio questa la nostra grande anomalia che  non siamo riusciti ad eliminare a causa dell’incapacità di tutti : forze politiche di destra e di sinistra, intellettuali, cattolici, laici. Lo dice con parole durissime ancora Gramsci: <<I laici hanno fallito al loro compito storico di educatori ed elaboratori della coscienza morale del popolo-nazione proprio per non aver rappresentato una cultura laica, per non aver saputo elaborare un moderno “umanesimo”, come era necessario dal punto di vista nazionale. Ma se i laici hanno fallito, i cattolici non hanno avuto maggior successo>>.

    Per tornare a noi: che cosa fare per debellare quel civismo senza comunità, fittizio e ipocrita che la situazione politica attuale nutre e che con tanta accorata efficacia è stato denunciato da più parti e anche dal direttore del “Quotidiano”?  Se il civismo farlocco delle tante liste civiche presenti nella competizione elettorale imminente è il risultato di una democrazia senza partiti, senza organizzazione, senza mediazione, del leader presunto carismatico, dei gazebo e delle primarie come “ginnastica della partecipazione dei passanti”, allora bisogna cercare di fare proprio il contrario di ciò che è stato fatto in questi ultimi due decenni. La soluzione alla crisi della nostra democrazia, della statualità, dell’ordine politico, dello spirito pubblico, può essere solo la ricostruzione di una politica capace di organizzazione: un parlamento che recupera appieno le sue prerogative, un solido sistema di partiti, solide organizzazioni sociali, un sistema formativo laico e pubblico. Si tratta, insomma, di riprendere, in condizioni culturali e politiche molto difficili, un lavoro interrotto da tempo. Ce la possiamo ancora fare? L’interrogativo mi pare più che fondato.

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