La solitudine dei numeri uomini

Coglie nel segno, il presidente Mattarella, quando mette l’accento – nel suo discorso per il nuovo anno – su una società da ricucire. E invita a ritrovare quello spirito comunitario senza il quale una nazione, prima o poi, va inesorabilmente in rovina. Ma perché un obiettivo così ambizioso e doveroso abbia qualche chance di successo, è importante che non si limiti a un appello ai cittadini di buona volontà e alle forze politiche – che notoriamente ne hanno poca. Ma parta da una diagnosi dei fenomeni che, in questi ultimi anni, hanno drammaticamente accentuato la disgregazione del nostro tessuto civico. Un processo che va ben oltre i confini della penisola. Se è vero che l’Italia – storicamente fragile nel suo impianto istituzionale unitario – appare oggi come un anello debole, la catena della solidarietà collettiva si sta spezzando in tutto l’Occidente. Conosciamo bene i fattori strutturali, le radici del nostro discontento: la fine del compromesso socialdemocratico, che scambiava consenso per benessere; la globalizzazione che rischia di relegarci a periferia di un nuovo centro asiatico; la crisi della mobilità sociale intergenerazionale che per cinquant’anni ha garantito ai figli un futuro migliore dei padri.  Ma questa lenta erosione dei nostri cardini valoriali e identitari ha trovato un moltiplicatore incontrollabile nell’improvvisa ascesa della Rete al centro di tutti i nostri mondi vitali. Nel giro di poco più di un decennio, in ogni attività che conta, siamo passati dalle connessioni sociali alla connettività dei social. L’attore creatore delle reti è stato soppiantato dalla Rete che crea gli attori.

Di questo impatto devastante abbiamo scarsa, o nessuna, consapevolezza. Anche se ancora poco numerose, non mancherebbero le buone letture. Ma sono una cultura di nicchia. La nuova società degli algoritmi è materia da addetti ai lavori, con l’aggravante che se ne occupano quasi solo informatici e ingegneri, piuttosto che politologi e sociologi che dovrebbero fornirci le chiavi per governare – e non solo usare – questo nuovo totalizzante ecosistema. Soprattutto, sono estranee a questa società cybercentrica le vecchie elite, completamente prive degli strumenti culturali per comprenderla. Mentre cominciano a emergere nuovi imprenditori politici – più o meno organizzati in movimenti o partiti – che sfruttano abilmente le caratteristiche fondative del nuovo sistema. Dall’atomizzazione anomica delle folle solitarie della rete, che si raggruppano secondo logiche tribali e prediligono scambiare opinioni solo con chi le condivide, alla pervasività di una cultura partecipazionista, che vuole esprimersi a tutti i costi anche se poi finisce volentieri col delegare le scelte impegnative al leader di turno. Con un solo collante duraturo: la contrapposizione frontale ai detentori dei privilegi, un tempo ben protetti nella cittadella delle garanzie e del potere e oggi sempre più esposti ai raid di protesta nelle piazze, virtuali e fisiche.

L’energia, la spinta propulsiva di questo nuovo demos digitale è nell’individualismo narcisista che anima le sue certezze. Con la Rete che funge da specchio consolatorio delle proprie brame. Ma questa stessa autoreferenzialità ne è il tallone d’Achille. Ne alimenta una disperata solitudine. La solitudine dei numeri uomini. Quella dei nostri ragazzi, smarriti nei videogiochi e nel vortice delle scommesse in cui si giocano quel poco di futuro che gli resta. E quella degli hater che gonfiano le vele della paura dell’altro, illudendosi di erigere muri per proteggersi dalla chat della porta accanto. È questa la società che la politica dovrebbe provare a ricucire. Per farlo, occorrerebbe però accettarne i codici e il linguaggio. Cominciando a prendere coscienza che Internet non sta cambiando il mondo. Lo ha già radicalmente trasformato. Con un presidente americano che governa per decreti via tweet bypassando Camera e Senato, l’antica democrazia rappresentativa non ha più margini di autoconservazione. O impara in fretta a prendere le redini del cambiamento, o il cambiamento la travolgerà.

“Il Mattino”, 1 gennaio 2019

Commenta per primo

Lascia un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*