La vetrina

Aveva iniziato troppo presto una vita adulta senza averne gli strumenti con la sensazione di trovarsi all’inizio d’una salita senza fine e senza orientamento. L’ignoranza di un indirizzo pragmatico da seguire era in buona parte dovuta alla severità della madre, cresciuta in un collegio di suore, insoddisfatta, dissacrante e sessuofobica. Non poteva che sbagliare e così era stato, infilandosi in una convivenza precoce quasi per dispetto.

Al mattino, svegliandosi da sogni inquieti ove era sempre alla ricerca di qualcosa o di qualcuno che non raggiungeva mai, fingeva fosse un bel giorno scappando dal letto prima di doversi rassegnare ad approcci indesiderati. Ma se avesse ceduto alla tentazione di ammettere la sua infelicità, non avrebbe resistito un ora in più.

La prospettiva di riuscita era ancora molto lontana così s’accontentava di lavori saltuari per mantenersi. Una casa modesta, una vita modesta, ma c’era la giovinezza e una speranza lontana.

Inconsapevolmente bella, della bellezza aveva fatto un pessimo uso: aspirazioni limitate non potevano che rassegnarla ad una quotidianità limitata da non permettere desideri. Le avrebbero fatto troppo male.

Gli espedienti per non disperarsi erano la disciplina e la fuga dalla realtà: non potendo attribuire ad altri la responsabilità delle sue scelte, ricacciava i pensieri molesti uscendo presto di casa con il pensiero irresistibile del mare.

Un passo fuori dal portone e già la luce e l’aria salmastra la alleggerivano dal lato oscuro e incombente che si rifiutava d’indagare… col desiderio di bellezza, insinuante motivo d’inquietudine. Quando, quasi correndo, giungeva alla spiaggia, ritrovava un po’ di serenità. La linea dell’orizzonte non era poi così lontana e forse anche lei avrebbe potuto toccarla un giorno. Doveva studiare, imparare a conoscersi e ad usare la ragione.

Ciò che è irraggiungibile non è nemmeno desiderabile e non crea infelicità mentre il borgo era suo, e mutando ogni giorno percorso lo scopriva e riscopriva con sguardo appagante: un modo mutevole di osservare per un diverso stato d’animo, uno squarcio improvviso di luce e nuovi particolari. Nessuno poteva privarla di quell’intimo piacere vissuto come un privilegio.

Si soffermava davanti alle vetrine per curiosità, come era per tutte le cose, ma distrattamente. Quell’esposizione di merce corrispondeva ad aspirazioni che non erano le sue: solo roba da acquisire, consumare, eliminare. La soddisfazione d’un momento.

Una sottile ironia non le impediva di fare confronti con il contenuto del suo armadio … ma la cosa finiva lì. Sorridendo contava i pochi abiti appesi, risalenti a tempi migliori, che ancora mantenevano una loro dignità. Aveva il bene assoluto d’una sfolgorante giovinezza di cui vestirsi ogni giorno e solo il tempo poteva rubarla.

Un mattino ventoso un passaggio di nubi minacciose l’avevano persuasa a tornare sui suoi passi quando goccioloni di pioggia avevano cominciato a cadere formando piccoli grumi di sabbia. Presto un rovescio d’acqua primaverile avrebbe svuotato la spiaggia mutando il paesaggio in un grigiore uniforme di mare e di cielo.

Cercando riparo si era ritrovata in un vicolo mai percorso che sfociava in una piazzetta. Qualche albero, poche panchine, una piccola fontana scrosciante e, sull’angolo, una vetrina riparata da un balcone a farle da ombrello. Strano non essere mai passata di lì nelle sue esplorazioni. Era un luogo gentile che esprimeva una bellezza riposta da essere rivelata da una mano delicata solo per Lei, in quel momento, che aveva occhi per vederla e sentimento per comprenderla. Quando un raggio di luce improvviso mutò il volto della piazza e i primi passanti comparvero, sentì quel luogo non più suo e voltandosi si trovò a guardare la vetrina.

Erano esposte porcellane di ogni genere, alcune di preziosa fattura altre di epoche diverse, ma tutte favorivano l’immaginazione di ambienti e rituali: un tè servito con eleganza, una cena resa speciale dall’armonia di una tavola tanto curata da accrescere il piacere delle vivande. Fantasticando su un futuro cui approdare dove la casa dei sogni poteva essere realtà, si soffermò su un servizio di tazze da brodo di porcellana bianca con decori in rilievo. Nessuno di sua conoscenza si serviva abitualmente di tazze da brodo, un lusso che comprendeva in primo luogo la delicatezza d’un consommé fatto con carne vera da utilizzare solo per quello scopo. Anche nella casa paterna, dove si era abituati alla forma, si usavano raramente ma ora quel ricordo era tornato come rimpianto.

Poteva essere un primo segno di speranza, un superfluo assoluto col quale risollevarsi dalla realtà perseguendo quel desiderio di bellezza cui non poteva rinunciare senza spegnersi. Tante cose le mancavano nella modestia dei pochi mobili di scarto e delle stoviglie ridotte all’essenziale, ma sentiva che possedere quelle tazze oltre ogni ragionevole riflessione era una necessità difficile da comprendere per altri, non per lei.

Così ogni giorno prendeva la strada del vicolo fino alla piazzetta per verificare se fossero ancora in vetrina, soffermandosi sui particolari dei decori che ormai conosceva a memoria e non mancando d’ironizzare sulla realtà della sua cucina dove le cassette della verdura impilate sopperivano l’assenza di mobili e il fornello posto sulla lavatrice veniva spostato ogni volta che c’era il bucato da fare.

La proprietaria era incuriosita da quella giovane che sostava a lungo davanti al suo negozio come una vetrina di Cartier, dondolandosi da un piede all’altro quasi a seguire un misterioso ragionamento… finché un mattino la invitò ad entrare.

“Mi tolga una curiosità … cosa la attrae tanto della mia vetrina? Sono giorni che la osservo e, senza alcun impegno, le potrei mostrare da vicino cosa la interessa tanto”.

“Le tazze da brodo … è difficile trovarne esposte di così eleganti … . Evocano modi e usanze che non esistono più”.

La signora trasse una tazza dalla vetrina per porgerla alla ragazza che la rigirava tra le mani con una delicatezza quasi commovente per poi posarla sul bancone come un addio. Quando alzò gli occhi per ringraziare, la signora ne colse tutta la malinconia e quando la ragazza era già alla porta, istintivamente le fece una proposta: se lo desiderava poteva metterle da parte il servizio che poteva acquistare un pezzo alla volta con suo comodo.

Il prezzo corrispondeva a quasi a tutta la sua mensilità ma se avesse rinunciato ai piccoli piaceri che si permetteva forse ci sarebbe riuscita. Quando tazza dopo tazza aveva completato il servizio le parve d’aver compiuto un opera da cui trarre la certezza d’una determinazione insospettata. E quando in quella brutta casa non amata lo sguardo si posava sulla sua conquista, le pareva che nulla fosse irraggiungibile.

Marina Elettra Maranetto

 

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