Le monete della II Parthica (e la loro funzione comunicativa)

“La virtù dei militari”, “la concordia dell’esercito” sono invocazioni, quasi auspici disperati, destinati a ricostituire – magicamente – ciò che non si ricollegherà più. Siamo nel terzo secolo dopo Cristo e si cominciano ad avvertire problemi di difficile soluzione in quello che sarà definito, ancora per 250 anni “Impero Romano”. Una combinazione di territori giustapposti, di popoli profondamente differenti, tenuti insieme dal collante del potere romano, dalle pratiche burocratiche rigorosamente in lingua latina (o, al massimo, in doppia lingua con il greco), dalle leggi romane, in linea di massima “migliori” delle locali consuetudini tribali, e dalla presenza della forza di Roma, cioè delle sue guarnigioni, del suo esercito. Una sfilacciatura dovuta anche alle diverse forme di economia presenti nelle varie province. Alcune legate al latifondo e all’utilizzo generalizzato di schiavi, altre basate sulla pesca o sui prodotti delle miniere, altre ancora fondamentalmente ancora pastorali, difficilmente raggiungibili e, pertanto, isolate. Un panorama complesso, già perfettamente compreso  da Marco Aurelio prima e Adriano poi. Senza però trovare sostanziali correttivi, almeno fino a Diocleziano (con effetti a partire dal nascente quarto secolo d.C.). Un mondo in trasformazione, poco resiliente, con tendenze all’inurbamento in città sempre meno vivibili, con sistemi di comunicazione non più sicuri e, soprattutto, senza la dovuta manutenzione. Un periodo che ci rimanda….per certi versi all’attualità. Pertanto ringraziamo l’autore per il contributo, preciso e documentato, che ci fa rivivere quei tempi lontani. Le monete erano i media di allora. Di lì si poteva capire chi comandava a Roma, quali campagne militari erano state fatte, chi saliva e chi scendeva nella lotteria del potere. Un “istagram” ante litteram… (n.d.r.)

L’esercito fu il sostegno politico di Settimio Severo, impostosi sugli altri pretendenti durante la crisi successiva alla morte di Commodo (192). Al momento del suo trapasso consigliò i figli Caracalla e Geta di far arricchire i soldati pur di tenere il potere. Per mantenere l’appoggio dell’esercito Settimio, nonostante fosse un abile comandante, profuse molto denaro. Per disporre di questo egli accrebbe il proprio patrimonio, con la confisca di proprietà e oro dei suoi nemici in Italia, Gallia e Spagna, aumentò la pressione fiscale e batté più moneta di quella che avrebbe dovuto. Il denario d’argento  fu coniato con una percentuale di fino del 46% in meno rispetto a quello di Augusto. Al tempo di Settimio Severo, da una libbra di argento si ricavavano 208 denari rispetto ai 143 dell’epoca di Commodo (177-192).

Lo stato disponeva quindi di più denaro per pagare i legionari, il cui soldo passò dai 375 annuali di Commodo ai 500 denari, senza considerare i premi e i benefici.

Quando Settimio raggiunse Roma, sconfiggendo il suo primo avversario, Didio Giuliano (giugno 193), donò a ciascun soldato che lo aveva seguito dalla Pannonia la ragguardevole somma di 250 denari, praticamente i due terzi dello stipendio annuale. L’aumento della moneta d’argento in circolazione, per giunta svilita nella quantità di fino, non scatenò una forte spinta inflazionistica, con una ulteriore riduzione del suo potere d’acquisto, perché fu attuata una politica di controllo delle fonti di approvvigionamento alimentare e fu battuto un numero elevato di aurei, grazie alla grande disponibilità di oro dovuta anche alla felice conclusione delle campagne partiche, che fece affluire a Roma grandi quantità di bottino e tributi.

L’attenzione di Settimio Severo verso l’esercito non si riduce ad una maggiore erogazione di denaro ma si traduce in una riforma militare che si concretizza con il permesso ai legionari di contrarre matrimonio e di risiedere fuori dai campi militari, con l’aumento del numero delle legioni (da 30 a 33) e lo scioglimento del corpo dei pretoriani e la sua ricostituzione con uomini fedeli provenienti dai migliori reparti a sua disposizione. Quest’ultimo provvedimento sancisce la fine dell’egemonia dei romano-italici nell’esercito e l’avvento di un nuovo gruppo dominante, particolarmente aggressivo, quello degli ufficiali di origine illirica.

E’ l’inizio della decadenza del primato dell’Italia sulle province dell’impero.

Le tre nuove unità, la I, II e III Parthica, furono create durante le vittoriose campagne militari contro i Parti (193/197) e si comportarono in modo encomiabile. Per la loro affidabilità, alla fine delle operazioni, furono posizionate, la I e la III, in Mesopotamia e Osroene, la II, nei Castra Albana (l’odierna Albano Laziale), a 13 miglia a sud di Roma, in un’area di proprietà imperiale, nota come villa di Domiziano. Era l’unica legione di stanza in Italia e i suoi uomini furono soprannominati Albani.

 

.a. Roma dai Colli Albani

Severo la concepì come una legione mobile, capace di spostarsi, insieme ai pretoriani, sia in difesa di Roma e dell’Italia, sia fuori dalla penisola, come dimostra la sua presenza, o di un suo distaccamento, in Britannia, al seguito dell’imperatore nella campagna contro i Caledoni (208/211).                                                                      Il prefetto della II non aveva autonomia di comando, poiché dipendeva da quello dei pretoriani. Sulla formazione di queste tre legioni non si sa molto. Per la I e la III si ipotizza una composizione di soldati di origine siriana, appartenenti in precedenza all’esercito di Pescennio Nigro e successivamente arruolati nelle file severiane dopo la sconfitta di Isso (194). Erano militari già equipaggiati ed addestrati ma solo bisognosi di uno scopo, quindi utili all’esercito del nuovo imperatore.

La II invece era formata, almeno al tempo di Settimio, da italici. Secondo alcuni storici nessuna altra unità, fatta eccezione delle coorti urbane e dei vigili, era formata da così tanti italici. Si ipotizza addirittura che lo zoccolo duro fosse costituito da ex pretoriani ribelli a Pertinace che si erano successivamente coperti di gloria nelle campagne partiche. Un’altra prova dell’attenzione di Severo verso i suoi soldati è data dall’emissione dei denari legionari, cioè monete celebranti determinate legioni.   È una tradizione romana e riguarda essenzialmente cinque capi militari nel periodo fra I secolo a. C. e III d. C.

Le ragioni di queste emissioni sono sia di natura propagandistica, sia economica. Economica perché quelle monete, spesso d’argento, servivano per pagare i soldati. Propagandistica perché si lusingavano le legioni e si comunicava al nemico su quali basi si fondavano le aspirazioni dei pretendenti al trono.

Le emissioni legionarie si dividevano in due gruppi: quelle riportanti l’aquila legionaria con il nome dell’unità militare e quelle con il nome e il vessillo specifici. Al primo gruppo appartengono i denari di Marco Antonio e Settimio Severo, al secondo le emissioni di Gallieno, Vittorino e Carausio. Le monete legionarie di Settimio sono denari d’argento e d’oro coniati fra il 193 e il 194 nelle zecche di Roma e di Emesa( Siria), su quest’ultima alcuni studiosi nutrono dei dubbi. Sul diritto è rappresentato Settimio Severo rivolto a destra, il capo laureato e la seguente leggenda:

IMP CAE L SEP SEV PERT AUG (imperatore Cesare Lucio Settimio Severo Pertinace Augusto).

Sul rovescio è rappresentata l’aquila legionaria a sinistra fra due insegne con la seguente leggenda:

LEG (con numero e nome della legione) TRP COS (nell’esergo).

.b. Un esempio di moneta severiana (IMP CAE L SEP SEV PERT AUG)

Sul diritto appare nella titolatura il nome di Pertinace, che Settimio adottò per dare un fondamento giuridico alla propria impresa. Dichiarandosi suo discendente il nuovo imperatore, oltre ad appropriarsi dei beni del predecessore, si presentava come erede politico. Analogo movente sarà alla base della sua autoproclamazione a figlio adottivo di Marco Aurelio e quindi fratello di Commodo, con il conseguente annullamento della damnatio memoriae proclamata contro di lui dal Senato dopo la sua morte. Al rovescio leggiamo sulle monete legionarie le abbreviazioni TRP e COS che corrispondono alle cariche di tribuno della plebe e di console.

A Roma le magistrature erano rinnovate quasi tutte annualmente e uno dei fondamenti del potere degli imperatori, almeno fino al II secolo, era quello di essere eletto o riconfermato in determinate cariche politiche, come appunto il consolato o il tribunato della plebe. Settimio Severo fu eletto tribuno della plebe ininterrottamente dal 193 al 211 e ciò, insieme agli altri titoli acquisiti (Parthicus, Arabicus, Britannicus) ci consente di collocare nel tempo, con una certa precisione, la loro coniazione. A questo punto, vediamo quali sono le legioni alle quali sono dedicate le prime emissioni dell’era severiana:

legione XXX “Ulpia Victrix”, I “Minervia”, XXII “Primigenia”, VIII” Augusta”, di stanza nella Germania superiore;

legione III “Italica”, II “Italica”, in Rezia e Norico;

legione XIV “Gemina”, I “Auditrix”, in Pannonia superiore;

legione II “Auditrix”, di stanza in Pannonia inferiore;

legione IIII “Flavia Felix”, VII “Claudia”, in Mesia superiore;

legione I “Italica” e XII “Claudia”, in Mesia inferiore;

legione XIII “Gemina” e V “Macedonica”, nelle tre Dacie.

Dall’elenco si evince che Settimio Severo, governatore della Pannonia, nella sua ascesa al trono venne appoggiato non solo dalle legioni pannoniche ma da tutte quelle della vasta area danubiana. Si può azzardare che non fu solo uno scontro fra pretendenti all’imperium, più o meno legittimi, ma addirittura una lotta fra le diverse anime etnico- culturali dell’impero, sempre meno romano – latino sempre più di impronta provinciale. Non a caso il successo di Settimio Severo, sancendo l’ascesa al trono di una dinastia siro-africana, portò allo scioglimento del corpo dei pretoriani a base italica e la sua ricostituzione con elementi fedeli provenienti da legioni diverse, spesso di origine provinciale, soprattutto illirica, particolarmente bellicosa. Fra gli imperatori del III e IV secolo gli illirici furono numerosi, primi fra tutti ricordiamo Diocleziano e Costantino.

Sotto Settimio non furono battute monete legionarie celebranti le tre legioni parthiche. Le prime coniazioni riguardano la III Parthica e risalgono a Caracalla, poi, sotto Gordiano III, Traiano Decio e Erennia Etruscilla si susseguono le emissioni celebranti la I e la III.

 

.c. Un esempio di moneta riferita alla legione Parthica dei tempi di Caracalla

Si tratta in buona parte di monete di zecche coloniali, di rame e di oricalco(ottone), di largo modulo(diametro) e del valore pari ai sesterzi.

Interessanti sono le emissioni di Gallieno e Carausio sulla II. Gallieno aveva diviso con il padre la gestione del potere (253), preoccupandosi di difendere la parte occidentale dell’impero, mentre il secondo era intento nel respingimento delle mire espansionistiche persiane ad oriente. Anche l’esercito era stato diviso in due parti, compresi il corpo dei pretoriani e la II Parthica. Una parte di quest’ultima, forse un grosso distaccamento, aveva seguito Valeriano in Oriente ed era stata scompaginata, mentre i suoi uomini furono fatti prigionieri, dopo la disastrosa sconfitta di Edessa da parte di Shapur di Persia.

 

.d. Shapur and the Edessa defeat  

Il contingente al servizio di Gallieno operò contro gli Alamanni sul confine germanico e contro gli usurpatori Postumo, Ingenuo e Macriano, coprendosi di gloria. Proprio per questo la II Parthica venne celebrata con ben tre emissioni commemorative per un totale di sette tipi monetali. Sono antoniniani, doppi denari, di mistura, cioè con una percentuale di argento bassa, che ritraggono al diritto il busto radiato di Gallieno con la seguente leggenda:

GALLIENUS AUG (Gallieno Augusto);

al rovescio il Centauro, simbolo delle tre legioni partiche, rivolto a destra o a sinistra, secondo l’emissione, con la leggenda:

LEG. II PART VI VI F(   ).

 

.e. Gallienus aug. e la Legio II Parthica

Secondo alcuni storici queste emissioni si riferiscono a quella parte di legione che sarebbe rimasta al servizio di Gallieno con il grosso di uomini e mezzi, per cui quella scompaginata ad Edessa sarebbe stata una formazione non particolarmente consistente. Le emissioni di Carausio, sempre a detta di questi storici, riguarderebbero una vexillationes, un distaccamento, operante in Gallia o in Britannia forse imbarcata sulla flotta. Si tratta di un antoniniano di mistura che riporta al diritto il busto drappeggiato e corazzato rivolto a destra con la leggenda:

IMP CARAUSIO P F AUG (imperatore Carausio pio felice augusto);

al rovescio LEG II PARTH con il centauro con il timone rivolto a destra o a sinistra con M o ML nell’esergo.

.f. Carausius augustus e la II Parthica. Da notare il simbolo del centauro con il timone (forse per una vexillatio imbarcata)

Questi pezzi furono battuti tutti quasi sicuramente nella zecca di Londonium, ML (moneta di Londonium), l’attuale Londra. Gli antoniani di Gallieno e Carausio furono coniati con il doppio scopo sia celebrativo sia di pagamento dei soldati di quella unità. Le leggende celebranti le singole legioni scompaiono dalle monete degli imperatori del IV secolo. L’esercito rimane sempre l’ago della bilancia nelle vicende politiche romane e lo strumento principale per raggiungere il potere, ma i nuovi signori di Roma preferiscono inneggiare più che a singole legioni alla concordia o al valore dell’esercito nella sua totalità. Ecco che si impongono slogan, comunque già presenti sulle monete romane del III secolo, celebranti la virtus militum (il valore dei soldati), la concordia militum (la concordia dei soldati) e la fides exsercitus (la fedeltà dell’esercito).

 

.g. Esempio di esortazione alla concordia militum    

È vero che nelle dispute fra pretendenti uno si impone sugli altri con l’appoggio di una parte delle legioni, ma una volta giunto al potere, il nuovo arrivato ha bisogno di tutte le risorse militari. Non si possono permettere tensioni fra le unità militari tali da inficiare l’efficacia delle operazioni ai confini dell’impero, sempre più minacciato dai barbari e dai persiani.

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