Legittima difesa: un pericoloso cambio di paradigma culturale

Pubblichiamo, su segnalazione del cives Renzo Penna, un articolo comparso su "Rassegna Sindacale".

Come già accaduto con la riforma del 2006, una volta entrata in vigore, la norma cambierà poco dal punto di vista pratico, intervenendo però pesantemente sul modo di essere e di pensare dei cittadini, convinti di potersi comportare da privati giustizieri

Per quanto orrendo, lo slogan di propaganda politica più efficace in questi anni sembra senza dubbio essere “padroni a casa nostra”. Questa espressione, all’apparenza banale, nasconde invece un pensiero politico raffinato e, almeno al momento, vincente. La casa, o fuori di metafora l’Italia, è proprietà di un “noi” buono e onesto che deve difendersi con ogni mezzo dall’assedio di un “loro” delinquente, cattivo e comunque estraneo (o straniero). Il legislatore, adagiandosi sull’istinto primordiale proprio di molti animali – tra i quali, evidentemente, l’uomo – della difesa del territorio, sta producendo diverse norme che si caratterizzano per questa logica di fondo.

I valori fondanti di questo nuovo ordinamento giuridico non sono quindi più i diritti civili e umani come conosciuti fino a oggi (diritto alla vita, alla libertà, all’uguaglianza ecc.), bensì il diritto a difendere i confini, della nazione come della propria casa, e su tutti il diritto di proprietà privata. E così, per difendere i confini della “nostra” nazione, la morte di migliaia di migranti, considerati dis-umani, nel Mediterraneo, nel Sahara o nei lager libici, diventa un effetto collaterale dell’esercizio di un diritto di legittima difesa del suolo patrio.

Parimenti, la perdita della vita di un ladro di appartamenti per mano armata del padrone di casa deve considerarsi la naturale conseguenza e giusta punizione per chi se l’è andata a cercare. E del resto, se i confini della nazione devono essere difesi a ogni costo dallo Stato, il cittadino onesto dovrà essere messo nella condizione di difendere con eguale efficacia la sua proprietà, fino a uccidere l’aggressore, facendosi giustizia da sé.

La cosiddetta riforma della legittima difesa rientra in questa aberrante logica, che ha un non so che, appunto, di primordiale. Come già accaduto con la riforma del 2006, fatta dal governo di centro-destra, già a forte presenza leghista, una volta entrata in vigore (ufficialmente, il prossimo 18 maggio) la legge cambierà poco o nulla dal punto di vista pratico (anche perché i casi che arrivano all’attenzione di un tribunale non sono che poche decine l’anno), intervenendo però pesantemente sulla cultura di tutti i cittadini, convinti di potersi impunemente comportare da privati giustizieri dei loro diritti violati.

Si badi bene: questa nuova legge non impedirà indagini e processi a carico delle vittime di furto e di rapina (o di una semplice violazione di domicilio) che si sono esercitate in un’autotutela armata, perché la legittimità o meno di questa difesa sarà sempre e comunque valutata da un giudice secondo parametri di necessità e proporzionalità che trovano ragione nella nostra Carta costituzionale. Peraltro, su questo, come sul primato assoluto dello Stato nel garantire la sicurezza dei cittadini, è precisa ed esplicita la lettera con la quale il presidente della Repubblica ha accompagnato l’entrata in vigore della legge.

L’inserimento della parola “sempre” al secondo comma dell’articolo 52 del codice penale (“… sussiste sempre il rapporto di proporzionalità”) non potrà avere nessuna conseguenza pratica nella valutazione dei singoli casi, perché ogni giudice dovrà comunque interpretare la norma sulla legittima difesa secondo i principi della nostra Costituzione e della Convenzione europea sui diritti dell’uomo, oppure, se riterrà questo avverbio effettivamente vincolante, dovrà sollevare questione di legittimità costituzionale, con un probabile esito di incostituzionalità dell’impianto della riforma.

Così come sarà sempre il giudizio di un giudice, e non una presunzione legale prevista in contrasto con la Costituzione, a stabilire o meno se un eccesso colposo di legittima difesa è stato posto in essere in una situazione di effettivo turbamento psichico, per giunta grave; ogni caso sarà a sé, e continuerà a essere valutato di volta in volta senza nessuna limitazione legale all’insindacabile libertà di giudizio.

Per il resto, l’intervento riformatore si è prodigato in un ennesimo aumento delle pene per alcuni reati contro il patrimonio, accompagnato dalla previsione di una possibile sospensione della pena per i furti nelle private dimore a fronte del risarcimento del danno alla vittima (possibilità che sarà appannaggio solo di chi se lo potrà economicamente permettere), e in altre più marginali modifiche di legge.

È però facile prevedere che questo intervento normativo produrrà quale unica conseguenza concreta un incremento del numero di episodi violenti, con aumento generalizzato della percezione di insicurezza, perché chi vorrà difendersi sarà incentivato a procurarsi e usare un’arma, e chi vorrà delinquere si armerà a sua volta, sapendo di poter sostenere un conflitto a fuoco. Circoleranno probabilmente più armi, con un aumento esponenziale dei fattori di insicurezza.

Ma forse è proprio questo lo scopo di questa legge e dell’attuale maggioranza di governo: contribuire a creare, anzichė ridurre, un clima di violenza e paura, perché su questo continuano a generarsi le “fortune” elettorali di talune formazioni politiche, in particolare della Lega.

Per invertire la rotta e costruire una comunità veramente più sicura servirebbero interventi concreti volti a contrastare l’ingiustizia sociale, partendo proprio dal riconoscimento dei diritti civili ed economici per tutti i lavoratori, per i pensionati, per i migranti, insomma per l’intera collettività. Anziché su quella “privata”, bisognerebbe investire sulla sicurezza “pubblica”, su forze dell’ordine moderne, efficienti e democratiche. Bisognerebbe combattere la criminalità organizzata e le mafie, almeno tanto quanto si intende combattere la microcriminalità e chi commette i reati cosiddetti predatori.

Ma tant’è: tutto questo non è né nelle corde, né negli obiettivi di questo governo e della maggioranza che lo sostiene.

 

Gian Andrea Ronchi è avvocato penalista e consulente della Cgil Emilia Romagna; Mirto Bassoli è componente della segreteria Cgil Emilia Romagna, responsabile legalità

  da “Rassegna Sindacale” 6 maggio 2019

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