Licenza di frana

Ringraziamo Renza Manzone per l’opera preziosa che sta facendo… E’ un po’ come se Guido fosse ancora con noi…

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“I binari della ferrovia e le coltivazioni venivano regolarmente trascinati via dai fiumi che rompevano gli argini, mentre, a valle, interi villaggi erano inghiottiti dalle frane causate dalle erosioni”. Questo brano, che pare essere preso da un giornale di oggi, è in realtà tratto dalla “Storia della Sicilia” di Denis Mac Smith. L’autore utilizza una sintetica descrizione ad effetto per spiegare l’eccezionale stato di disgregazione dell’isola all’inizio di questo secolo. Ciò che c’è da chiedersi, in occasione dei disastri ambientali causati anche da ripetitivi e stagionali fenomeni naturali come i grossi temporali estivi, è come mai un degrado del territorio come quello descritto da Mac Smith come un evento del tutto eccezionale e stupefacente, abbia finito con l’estendersi in tutta Italia, giungendo ad interessare anche le zone più avanzate e progredite del paese e persino città come Milano, trasformate in una Venezia continentale da una forte pioggia stagionale del tutto identica come intensità ad altre avvenute in passato, senza alcuna conseguenza negativa, come ufficialmente dichiarato in televisione dai seri meteorologi dell’Aeronautica militare.

In primo luogo, qualsiasi cosa affermi chi deve trovare una facile giustificazione al proprio operato, la “natura improvvisa e maligna”, sempre accusata di ogni calamità che affligge il nostro paese, non esiste, se non negli scritti letteralmente gradevoli di Giacomo Leopardi. Esistono invece gravi e palesi errori, nonché dimenticanze speculative nel complesso rapporto tra uomo e natura. I territori in cui noi viviamo, siano essi urbani od agricoli, non conservano oggi più nulla (o quanto meno assai poco), degli originali equilibri ecologici naturali, essendo stati modificati in modo artificiale, nel corso dei secoli, dalla presenza dell’uomo. Pertanto gli attuali equilibri ambientali sono equilibri “antropici”, ossia ricreati e ricostruiti dalla conoscenza e dal lavoro umano, in funzione di un utilizzo economico del territorio. Per essere mantenuti nel tempo necessario quindi del lavoro dell’uomo che li conservi e, se è il caso, li adegui alle nuove esigenze ambientali verificatesi nel tempo. Se per ignavia, incapacità, errate conoscenze scientifiche, speculazioni economiche, l’opera di conservazione e miglioramento nel tempo viene a mancare, i fragili e delicati equilibri, che sono propri di ogni natura antropizzata, crollano provocando i disastri ambientali e i dissesti che ormai tutti conoscono fin troppo bene.

In passato, proprio per salvaguardare l’ambiente, esisteva in Piemonte, Lombardia, Veneto, Toscana,Emilia, ed in pratica in tutto il territorio che si estendeva fino agli Stati pontifici, una valida legislazione di tutela del territorio che veniva applicata con estrema severità. In merito basti pensare al caso limite della Repubblica veneta che, in caso di gravi violazioni prevedeva perfino la pena di morte. In base a questi regolamenti, nati empiricamente ma, in molti casi, sorretti da un’ottima conoscenza scientifica e quindi validi ancora oggi, gli argini dei fiumi, i canali artificiali, le fogne erano tenuti sotto stretto controllo pubblico, mentre i privati erano soggetti a tutta una serie di “obblighi” che andavano dall’annuale “asciutta dei fossi”(ossia al provvedere alla loro manutenzione e pulitura), al divieto di tagliare gli alberi sui pendii superiori ai 25 gradi ( a meno di terrazzarli), di arare longitudinalmente i campi in pendenza, ma di farlo solo trasversalmente, nonchè all’obbligo di costruire opere di “controscarpa” per impedire le frane nelle strade tagliate lungo i fianchi delle colline.

Il degrado geologico nell’Italia del nord inizia progressivamente nel dopoguerra (la prima grande alluvione del Po è del 1951) come conseguenza di un divorzio tra politica e cultura scientifico-ambientale che continuerà ad estendersi fino a toccare il suo punto più basso negli anni 70, quando in tutta Italia si contavano solo sette geologi di Stato. Dato risibile, insufficiente alle esigenze di una provincia. Sempre nel corso di questo periodo la tutela geologica si trasforma in un rito privo di contenuto. Ogni anno i sindaci, ligi al dovere formale, continuano ad affiggere i manifesti sull’”asciutta dei fossi”, sulla manutenzione dei torrenti, ecc. Ridicole “grida”dal linguaggio desueto ed ottocentesco, che nessuno applica, certo dell’impunità.

E così vale per tutte le altre leggi ambientali lasciate cadere non solo dai privati ,ma anche dallo Stato e dagli Enti pubblici che arrivano al punto di lasciare costruire edifici in aree esondabili e persino sul greto dei fiumi e su frane in movimento. E’ inutile, a questo punto, continuare a fare l’elenco degli errori commessi. Sarebbe solo troppo lungo, troppo ripetitivo, troppo noto. Occorre andare alle radici del problema, ossia sanare l’attuale separazione tra politica e conoscenza scientifica, chiudere il divario che divide il paese amministrativo dalle irrinunciabili necessità di sicurezza e di conservazione del territorio,proprie di una nazione ad elevato sviluppo economico e produttivo.

Guido Manzone (* Aydin)        La Stampa 30-8-1987

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