Luciano Gallino da sei anni non è più con noi. Ricordiamolo con un suo video.

“Mega-macchine sociali: sono le grandi organizzazioni gerarchiche che usano masse di esseri umani come componenti o servo-unità” . Così si esprimeva nel 2011 (*)  Luciano Gallino, ormai non più con noi dal 2015. Buon analista della realtà sociale ed economica, con riferimenti storico/geografici sempre all’altezza. Continua così, infatti: “Esistono da migliaia di anni. Le piramidi dell’antico Egitto sono state costruite da una di esse capace di far lavorare unitariamente (appunto come parti di una macchina) decine di migliaia di uomini per generazioni di seguito. Era una mega-macchina l’apparato amministrativo-militare dell’impero romano. Formidabili mega-macchine sono state, nel Novecento, l’esercito tedesco e la burocrazia politico-economica dell’Urss. Come macchina sociale, il finanzcapitalismo ha superato ciascuna delle precedenti, compresa quella del capitalismo industriale, a motivo della sua estensione planetaria e della sua capillare penetrazione in tutti i sottosistemi sociali, e in tutti gli strati della società, della natura e della persona. Cosi da abbracciare ogni momento e aspetto dell’esistenza degli uni e degli altri, dalla nascita alla morte o all’estinzione. Perché il finanzcapitalismo ha come motore non più la produzione di merci ma il sistema finanziario. Il denaro viene impiegato, investito, fatto circolare sui mercati allo scopo di produrre immediatamente una maggior quantità di denaro. In un crescendo patologico che ci appare sempre più fuori controllo.

La nostra redazione ha sempre avuto una particolare attenzione alle sue riflessioni ed ai suoi suggerimenti, per cui intendiamo ricordarlo con una delle sue più esaustive interviste. (**)

“Prima di tutto cerchiamo di capire perché i ricchi sono diventati sempre più ricchi e perché i poveri sono, invece, con sempre meno possibilità.

Tutto comincia da un trasferimento di denaro proveniente dai ceti più ricchi e destinato alle fasce meno abbienti, fenomeno tipico degli Stati Uniti, messo in atto soprattutto per l’acquisto del “bene casa”, ricavandone utili elevatissimi grazie ai tassi di interesse. Operazione simile portata avanti per le privatizzazioni di servizio pensionistico nelle sue varie forme e per tutto il comparto sanitario. Con il risultato di far affluire denaro fresco e pulito nelle casse dei più abbienti in un lasso di tempo relativamente breve. Il questo modo si è avuto un arricchimento di un dieci per cento superiore, il cosiddetto “decimo decile” (***). In generale il 5 per cento della popolazione ha conosciuto un arricchimento ancora di molto superiore e l’uno per cento, giusto la percentuale di cui parlano gli occupanti di Wall Street ha avuto degli arricchimento assolutamente astronomici. Tutto questo intervenendo direttamente su tutto il reddito formato da “salari fissi”, “pensioni” e tutto quanto ha caratterizzato il “welfarestate”. E questo è il primo punto. Un secondo “step” è invece costituito dalle politiche fiscali con l’appendice delle evasioni. Sia negli Stati Uniti che in Europa, le aliquote per i ricchi (****)  sono fortemente diminuite a partire dagli anni Settanta / Ottanta. Sono state ridimensionate le imposte sulle Società, in Italia ad esempio di circa dieci punti percentuali, tra il 2000 e il 2010, mentre in Francia sono state fortemente ridotte le tasse sulle eredità e sulle c.d. “grandi fortune”. In Germania, invece, è stata abolita la “patrimoniale” che esisteva ancora negli anni Novanta. A queste politiche fiscali chiaramente favorevoli ai ricchi va aggiunta la larghissima quota di elusione/evasione che è stata possibile con il cattivo impiego degli strumenti di verifica e con un una serie di contraddittorie leggi quadro. Tutto questo non solo riguardo ai cosiddetti “paradisi fiscali”, letteralmente intoccabili e blindati  a tutti i livelli, ma anche in quelle che sono definite le “giurisdizioni segrete”. Con il risultato di accumuli di patrimoni finanziari che sono stimati in minimo 10 trilioni di euro con punte, sempre in riferimento all’analisi finanziaria, di ben 25/30 trilioni. (*****) . Questi patrimoni pagano imposte risibili o – semplicemente – nessuna imposta perché le giurisdizioni segrete sono fatte per rendere il massimo servigio , dal punto di vista fiscale, a questi capitali. Quando ci si chiede…”come è cominciato tutto questo?”” di soliti molti autori (con i loro saggi e interventi più o meno ampi) convergono nell’indicare gli anni intorno al 1980 come il periodo di svolta. Si tratta di una vera e propria “svolta” perché nei trent’anni precedenti, il tasso di profitto delle aziende manifatturiere ma anche delle società finanziarie erano andati diminuendo. Quindi, anche sotto stimolo delle istituzioni culturali del periodo che in modo sempre più evidente andavano a sostenere idee e programmi di stampo neoliberale, anche sotto la spinta di cospicue lobbies, fondazioni, tutte protese in quella direzione. Pertanto la ricerca dei profitti si è spostata dalla manifattura alla “finanza”. E’ proprio quello il periodo in cui le Banche hanno creato enormi quantità di denaro, sia facendo prestiti, sia creando “trilioni” di titoli derivati che, per certi aspetti, sono essi stessi una nuova forma di denaro in quanto facilmente convertibili.

La “politica” nel suo insieme ha fortemente aiutato questa finanziarizzazione che potrebbe essere definita una “patologica moltiplicazione degli attivi finanziari rispetto all’economia reale”. L’attività finanziaria con il suo PIL era più meno pari, nel 1980, al prodotto complessivo lordo mondiale. Da quel momento storico si apre una forbice che nel 2007, quando scoppia la crisi finanziaria, ha portato questa differenza dell’ordine di quattro volte (pari a 400 di flusso di denaro prodotto finanziariamente contro 100 tramite manifacturing tradizionale). In termini effettivi ben 240 trilioni di dollari contro 60 milioni di PIL a livello mondiale. Questo ha inciso moltissimo anche sulle attività non finanziarie, perchè anche le industrie manifatturiere o le industrie di servizi hanno messo come priorità la massimizzazione delle rendite per gli azionisti, il che ha prodotto dei manager che tengono conto soprattutto dei profitti piuttosto che delle persone, dello sviluppo o del “riequilibrio ambientale”.

Il mondo politico ha dato una grande mano a questa trasformazione, prima ancora in Europa che negli Stati Uniti , da un lato favorendo le liberalizzazioni e poi con interventi legislativi (specie negli Stati Uniti) come l’abolizione della legge che impediva la commistione tra banche di investimento e banche commerciali e come la modifica radicale (quasi la eliminazione) della legge che regolava i “derivati”. Operazione che  ha permesso di moltiplicare i profitti trasformandoli in specie di scommesse, funzione ben diversa da quella originaria di contratto assicurativo.  Le direzioni delle imprese hanno perciò badato molto di più all’andamento dei titoli in borsa che all’efficacia delle politiche industriali e tanto meno agli interessi dei lavoratori e dipendenti in genere.

Uno degli effetti della ricerca dei profitti, ricercati in modi diversi dallo sviluppo dell’economia reale nel proprio Paese è stata la ricerca di profitti, anche industriali, in altri Paesi. Questo è successo in Cina, in India, nelle Filippine, in Indonesia e in molti altri luoghi nel mondo. Questo processo, definito “globalizzazione” che è stato, in realtà un grande esperimento di modifica delle opolitiche del lavoro, ha messo in competizione e, di fatto, in conflitto un miliardo, un miliardo e mezzo di lavoratori da un dollaro l’ora con lavoratori da 25/30 dollari l’ora (posizionati in territori dell’anticamente definito Terzo Mondo i primi e in Europa, Australia, Sud Africa, Stati Uniti, i secondi). Questo ha portato ad una enorme flessione verso il basso dei salari negli Stati Uniti e conseguentemente in Europa. Il caso da manuale è stato quello della caduta dei salari negli Stati Uniti dove le retribuzioni,  in termini reali (depurati da inflazione  nel periodo 2007/2008) erano leggermente inferiori a quelli del 1973. Qualcosa del genere è avvenuto, seppure in minor misura, in Europa. I salari italiani, ad esempio, sono pressochè fermi – in termini reali – dal 1995. Oltretutto c’è da considerare che la quota retribuzioni sul PIL nei Paesi dell’OCSE (che oggi sono 34) è diminuita tra il 1976 e il 2006  di circa 10 punti. Ricordando che un punto di PIL per l’Italia è pari a 16 miliardi e 10 punti di PIL fanno 160 miliardi che ogni anno vanno alle rendite da capitale, da immobili o altro. Sicuramente non vanno più al comparto lavoro.

Per imbrigliare la finanza e ricondurla al suo onesto e indispensabile ruolo di ancella dell’economia e non di gestore primario del sistema , bisognerebbe fare delle riforme molto incisive. E queste non si vedono. Perché la cosiddetta riforma di Wall Street, firmata dal presidente Obama nel 2010, era già una modesta riforma in partenza, ulteriormente svuotata col passare del tempo. In quanto a capacità di incidenza sullo strapotere delle società finanziarie, non si è andati oltre una enunciazione di intenti. Non a caso ha fatto pochissima strada perché è stata sabotata in ogni modo dai Repubblicani e anche a causa della sua complicazione intrinseca, con centinaia di decreti attuativi. In due anni di questi decreti di attuazione ne sono stati confezionati e portati a termine in modo effettivo solo una trentina (invece di più di duecento).

In Europa si discute da anni di riforma (sono presenti proposte a livello parlamentare europeo e di commissione). E’ stato varato di recente un documento (proprio ai primi di ottobre 2012) che si potrebbe riassumere “non è molto ma è sempre meglio di niente”. Rispetto allo strapotere del sistema finanziario, alla sua enorme complessità, al fatto che una parte di esso (molto cospicua) fosse addirittura in ombra (circa il 50 per cento è di fatto un sistema finanziario “ombra”), anche questo piccolo passo può servire. Anche se di profilo troppo basso. Oltre a questo bisognerebbe avere delle formazioni politiche che vadano in Parlamento a fare delle leggi, correggendo le distorsioni fiscali, provvedendo ad una equa anche se limitata ridistribuzione del reddito con conseguente tutela di salari e posti di lavoro. Sarebbe già sufficiente recuperare il 51 per cento dell’evasione, senza ipotizzare irraggiungibili obiettivi del 99 per cento, ma almeno la metà, in tempi credibili, dovrebbe essere recuperata.

(*) – Finanzcapitalismo. La civiltà del denaro in crisi, Einaudi, Torino 2011. 

(**) – TEDxReggioEmilia. Intervista curata da Riccardo  Staglianò e organizzata da Laura Credidio.  Titolo originale del video /pubblicato il 27 ottobre 2012) : “Perché quella di classe è una lotta continua: Luciano Gallino”.

(***) – ”decimo decile”. Quanta parte del reddito totale prodotto in Italia va a finire a ciascuna di queste parti? Guardando agli ultimi numeri, relativi all’ormai lontano  2017, troviamo che al decimo e ultimo decile – che indica dunque il 10% più ricco degli italiani – è andato circa il 24% di tutto il reddito prodotto in quell’anno. Man mano che scendiamo, la parte di reddito guadagnata da ciascuna fetta diventa sempre minore, fino ad arrivare al 10% più povero degli italiani cui è andato il 2% del reddito complessivo. (ndr.)

(****) – Di proposito si mantiene la modalità colloquiale (molto diretta) usata nell’intervista.

(*****) – Un trilione è il numero naturale che, nel sistema di denominazione chiamato scala lunga, equivale a un milione di bilioni, cioè un miliardo di miliardi, ossia un milione alla terza. Il trilione equivale anche a un milionesimo di quadrilione. Nel Sistema Internazionale il prefisso per il trilione è “exa”.

Luciano Gallino (Torino15 maggio 1927 – Torino8 novembre 2015) è stato un sociologoscrittore e docente universitario di sociologia italiano.

Uno tra i sociologi italiani più autorevoli, ha contribuito all’istituzionalizzazione della disciplina nel secondo dopoguerra, lavorando dentro e fuori l’accademia su tematiche che riguardano la sociologia dei processi economici e del lavoro, di tecnologia, di formazione e, più in generale, di teoria sociale. Era considerato uno dei maggiori esperti italiani del rapporto tra nuove tecnologie e formazione, nonché delle trasformazioni del mercato del lavoro. I suoi principali campi di ricerca sono stati la teoria dell’azione e teoria dell’attore sociale, le implicazioni sociali e culturali della scienza e della tecnologia, gli aspetti socio-culturali delle nuove tecnologie di telecomunicazione.

 

Biografia .  La sua formazione sociologica iniziò presso l’Olivetti di Ivrea, per volontà del proprietario dell’azienda, l’ingegnere Adriano Olivetti. Nel 1956, infatti, venne chiamato a collaborare all’Ufficio Studi Relazioni Sociali costituito presso la Olivetti – struttura di ricerca aziendale inedita in quel periodo in Italia – e, successivamente, dal 1960 al 1969, ricoprì la carica di direttore del Servizio di Ricerche Sociologiche e di Studi sull’organizzazione (SRSSO), ulteriore articolazione dell’ufficio Studi Relazioni Sociali. Nella struttura aziendale, il SRSSO faceva capo alla Direzione del Personale e dei Servizi sociali[1], di cui fu responsabile per lungo tempo Paolo Volponi. Dopo il 1969 lasciò il SRSSO dell’Olivetti, ma continuò a collaborare con l’azienda, come consulente, almeno fino al 1979. Milita, nel frattempo, nel Partito Socialista Italiano[2].

Dopo aver ottenuto una libera docenza in sociologia nel 1964, divenne Fellow Research Scientist del Center for Advanced Study in the Behavioral Sciences di Stanford (California). Dal novembre 1965 al 1971 fu professore incaricato presso la Facoltà di Magistero e la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Torino. Successivamente, dal 1971 al 2002, fu professore ordinario di sociologia alla Facoltà di Scienze della Formazione della stessa Università, della quale fu professore emerito fino alla scomparsa. Tra il 1968 e il 1978 fu direttore dell’Istituto di Sociologia di Torino, una delle prime strutture di ricerca in questo ambito disciplinare costituite nell’università italiana. Dal 1999 a fine 2002 fu direttore del Dipartimento di Scienze dell’Educazione e della Formazione. In tale ruolo promosse lo sviluppo di un centro specializzato nello studio e nella realizzazione di corsi orientati alla “Formazione aperta/assistita in rete”. D’altra parte, sin dagli anni ottanta fece parte, quale rappresentante dell’ateneo torinese, del Comitato Scientifico del CSI Piemonte, ricoprendo, dal 1990 al 1993, la carica di presidente. Fondò e presiedette dal 1987 al 1999 il Centro di Servizi Informatici e Telematici per le Facoltà Umanistiche dell’Università di Torino, che sin dai primi anni novanta ha messo a disposizione Internet a studenti e docenti[3].

Parallelamente alla sua attività di ricerca e d’insegnamento, ricoprì diverse e prestigiose cariche istituzionali. Dal 1979 al 1988 fu presidente del Consiglio Italiano delle Scienze Sociali. Dal 1987 al 1992 rivestì la stessa carica nell’Associazione Italiana di Sociologia. Fu socio dell’Accademia delle Scienze di Torino, dell’Accademia Europea e dell’Accademia Nazionale dei Lincei. Diresse dal 1968 la rivista scientifica Quaderni di Sociologia.

Collaborò inoltre con autorevoli quotidiani nazionali, in particolare tra il 1970 e il 1975 con Il Giorno, dal 1983 al 2001 con La Stampa, e dal 2001 con la Repubblica. Fece parte del comitato scientifico della manifestazione Biennale Democrazia[4].

Dal 2007 fu responsabile scientifico del Centro on line Storia e Cultura dell’Industria, progetto che promuove la conoscenza della storia industriale e del lavoro del Nord Ovest italiano dal 1850 a oggi, con finalità didattiche[5].

Dal 2011 fu presidente onorario nonché presidente del Consiglio dei Saggi dell’AIS – Associazione Italiana di Sociologia[6].

Contributi e pensiero .  Le opere di Gallino sono numerose: diverse trattano del mercato del lavoro, con riferimento all’esigenza del benessere aziendale del lavoratore e alle politiche di welfare e di sostegno dell’occupazione. In altri scritti, Gallino analizza le caratteristiche dell’industria italiana e le cause del suo declino nei suoi diversi settori (“La scomparsa dell’Italia industriale”), identificandole nella scarsa lungimiranza della classe dirigenziale e politica, dimostrata in diversi episodi, quali la vendita della Divisione Elettronica di Olivetti, oppure al ridimensionamento del centro di ricerca CSELT nel campo dell’elettronica e dell’istituto Donegani di Novara[7], e così via. Negli anni più recenti, ha messo in guardia ai pericoli connessi all’eccessiva “finanziarizzazione”[8] dell’economia globale[9].

Secondo quanto esposto da Gallino in Finanzcapitalismo, infatti, il capitalismo finanziarizzato ha superato la pervasività e l’influenza sociale del capitalismo industriale, sottraendo ai governi la capacità di incidere sui settori economici strategici[10], diventando un vero e proprio sistema di potere mondiale[11]. Cruciali sono, secondo Gallino, la tendenza del “finanzcapitalismo” ad estrarre valore dal lavoro[12], la sua spinta a disarticolare i rapporti sociali[13] e il suo tentativo di ottenere margini e valore anche dal sistema ambientale[14], da lui letti come sintomi di una tendenza a un processo definito “estrattivismo”.

Posizioni politiche .  Gallino ha collaborato alla stesura del programma de L’Unione per elezioni politiche italiane del 2006[3]. Nelle successive elezioni politiche italiane del 2008 ha firmato un appello di sostegno alla lista La Sinistra L’Arcobaleno[15]. Per le elezioni politiche italiane del 2013 dichiarò di votare SEL.[16] Durante le elezioni europee del 2014, fu uno dei sei firmatari dell’appello L’Europa al Bivio[17], da cui si sviluppò la lista L’Altra Europa con Tsipras, di cui Gallino stesso fu uno dei garanti[18].

Aderì, come altri sociologi come Franco Ferrarotti, ai fini e agli scopi dei filomati[19].

 

….

Ecco un repertorio, non esaustivo delle sue produzioni…

 

Note

  1. ^Luciano Gallino: ‘Il mio incontro con Adriano Olivetti’, su Repubblica Tv – la Repubblica.it, 10 novembre 2015. URL consultato il 3 aprile 2018 (archiviato il 3 aprile 2018).
  2. ^Ricordo di Luciano Gallino, il grande sociologo del lavoro che restando moderato ormai passava per intransigente Archiviato l’8 gennaio 2018 in Internet Archive. di Gad Lerner
  3. ^Salta a:a b Biografia di Luciano Gallino. URL consultato il 3 aprile 2018.
  4. ^A Torino la prima edizione di Biennale Democrazia (PDF), su biennaledemocrazia.it.
  5. ^CSI-Piemonte, Centro on line di Storia e Cultura dell’Industria – Il Progetto – Il centro, su storiaindustria.it. URL consultato il 3 aprile 2018.
  6. ^Alessandro Bruschi, Nomina del Presidente Onorario, su Associazione Italiana di Sociologia, 12 ottobre 2011. URL consultato il 30 luglio 2020 (archiviato dall’url originale il 17 luglio 2012).
  7. ^Gallino, Luciano. La lotta di classe dopo la lotta di classe. Gius. Laterza & Figli Spa, 2013., pag.
  8. ^Giuseppe Gagliano, Ascesa e declino del neoliberismo Archiviato il 6 giugno 2020 in Internet Archive., Osservatorio Globalizzazione, 9 settembre 2019
  9. ^La civiltà del denaro in crisi, in micromega-online. URL consultato il 3 aprile 2018.
  10. ^Giuseppe Gagliano, Il finanzcapitalismo secondo Luciano GallinoArchiviatoil 7 giugno 2020 in Internet Archive., Osservatorio Globalizzazione, 30 agosto 2019
  11. ^Giuseppe Gagliano, Le strutture del finanzcapitalismoArchiviato il 6 giugno 2020 in Internet Archive., Osservatorio Globalizzazione, 6 settembre 2019
  12. ^Giuseppe Gagliano, Sinistra e neoliberismo, l’abbraccio mortaleArchiviatoil 6 aprile 2020 in Internet Archive., Osservatorio Globalizzazione, 20 settembre 2019
  13. ^Giuseppe Gagliano, La solitudine dell’uomo economicoArchiviato il 10 giugno 2020 in Internet Archive., Osservatorio Globalizzazione, 27 settembre 2019
  14. ^Giuseppe Gagliano, Il finanzcapitalismo all’assalto dell’ambienteArchiviatoil 6 giugno 2020 in Internet Archive., Osservatorio Globalizzazione, 30 settembre 2019
  15. ^C’ è Chomsky nel derby dei comunisti Appello al voto per Sinistra critica – la Repubblica.it, in Archivio – la Repubblica.it. URL consultato il 3 aprile 2018.
  16. ^Elezioni 2013 – Per chi votano Travaglio, Guzzanti, Scanzi, ecc. Tra Rivoluzione Civile e il Movimento 5 Stelle, su it. URL consultato il 25 febbraio 2013(archiviato l’11 febbraio 2013).
  17. ^A sinistra, una lista per Tsipras, su il manifesto. URL consultato il 3 aprile 2018.
  18. ^il manifesto, su it. URL consultato il 3 aprile 2018.
  19. ^(ENPhilomaths. URL consultato l’8 novembre 2015.

 

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