In margine a “La DISeducazione. Americanismo e politiche globali”.

Noam Chomsky – “La DISeducazione. Americanismo e politiche globali”. Armando editore. 2003

Immaginiamo che la prima bozza del libro in oggetto  abbia suscitato, in molti studiosi e cultori della materia, interesse e “voglia di compartecipazione”. Temi come “l’involuzione del sistema educativo”, “la manipolazione dell’informazione ed il condizionamento dell’opinione pubblica, non potevano rimanere solo curiosità. Stefano Bonetta (1)  li rappresenta un po’ tutti. Infatti chi meglio di lui avrebbe potuto introdurre il testo di Chomsky che, nonostante i quasi vent’anni dalla prima stampa, mantiene intatta tutta la sua carica. Bonetta, come Chomsky, non è soddisfatto dell’attuale  sistema educativo occidentale, nonostante le grandi differenze fra i vari Paesi della Comunità Europea, di Stati Uniti e Canada e, dall’altra parte del mondo di Cina, India e Giappone. Tutte organizzazioni scolastiche legate alla “categorizzazione”,  alla reductio ad unum (2)  (in questo caso al voto numerico o al termine scarso-sufficiente-discreto ecc.). Un processo che si è mano a mano allargato a macchia d’olio e che ha lentamente condizionato tutti i sistemi educativi . Ma da dove è partita l’idea base di “fissare un obiettivo da raggiungere”, “definire i contenuti necessari” (e solo quelli) e, per finire,” dare un tempo preciso per la preparazione e per il momento di “esame”.?. Su questo ha lavorato Chomsky. Di qui scaturisce la ragione di questo libro.

L’autore ci ricorda che nelle nostre scuole prevale un  modello che impedisce il pensiero critico e indipendente, che non consente di ragionare su quello che si cela dietro le spiegazioni e che, per questo stesso motivo, fissa spiegazioni uniche e indiscutibili. Un refrain ripreso molte volte nel libro.

Il dettaglio del volume, la sua organizzazione, sono presto definiti: si inizia con un lungo e stimolante dialogo con Donaldo Macedo, trascrizione di una intervista di inizio anni Novanta. Il titolo di questa sezione è emblematico: Oltre un’istruzione addomesticante: un dialogo” (con Donaldo Macedo) . Interessante soprattutto la parte riguardante la “manipolazione” dell’informazione, la capacità di “dire fino ad un certo punto e non oltre” (p. 28). L’abilità nell’instillare dubbi e creare un subconscio pronto ad avallare praticamente tutto,  anche situazioni impreviste e non gradevoli. Un solo esempio fra i tanti (una domanda con risposta implicita…): “Parlando di democrazia, non è ironico che negli “USA” – una nazione che si fregia di essere la prima e più democratica società nel mondo – le scuole rimangano estremamente  “non democratiche”? (p. 30). Qui Macedo, rispondendo, critica la patina di falsa democrazia dell’istituzione scolastica americana, arrivando anche a denunciare veri e propri “falsi atteggiamenti” che col tempo diventano “abitudinari”. Eccone un esempio (p. 39): “Se applicassimo lo stesso criterio di argomentazione che ha giustificato l’ intervento umanitario  in Kosovo, la NATO dovrebbe bombardare altre Nazioni, per esempio la Colombia, e anche uno dei suoi membri: la Turchia”. “Macedo cita – anche –  come esempio di deformazione dell’informazione (sic) un fatto del 1988, quando George Bush rimproverò il suo opponente democratico dicendo: “ Io non lascerò che quel governatore liberale divida  questa Nazione… questa è una cosa da democrazie europee, o qualcos’altro. Non è da Stati Uniti d’America. Non saremo divisi in classi…noi siamo la terra dei grandi sogni, delle grandi opportunità, del gioco leale, e questo tentativo di dividere l’America in classi fallirà perché il popolo americano capirà che siamo una Nazione davvero speciale, perché chiunque abbia la possibilità possa realizzare il sogno americano”. Ricerca facile di consenso per “identità”. Un classico della “desinformatija”

Nel secondo capitolo “Democrazia e istruzione” viene affrontato   uno dei temi centrali del fare educazione . Per ottenere un risultato, a parere dell’autore , valido , è necessario andarsi a rivedere cosa scrisse John Dewey immediatamente prima e dopo la Seconda Guerra Mondiale : “lo scopo finale della produzione non è la produzione di ricchezze, ma la produzione di esseri umani liberi che si associano sulla base dell’uguaglianza”. Ciò include, ovviamente, l’istruzione, che era una delle sue principali preoccupazioni. Di nuovo “la luce dell’Illuminismo”. Lo scopo dell’istruzione, spostandoci su Bertrand Russell, è “dare un senso del valore delle cose diverso dal dominio”, aiutare a “creare cittadini saggi di una comunità libera”.  Siamo in piena “area chomskiana” e lì ci piace rimanere. Anche se qualche dubbio ci assale… Ma riprenderemo la questione nella parte finale della recensione.

A questo secondo, corposo, capitolo ne segue un altro di pari valore: “L’arte della costruzione storica . E siamo di nuovo nelle pastoie di come viene raccolta, filtrata e propinata una notizia. Non va per il sottile Chomsky, tanto è vero che afferma: “Le regole del gioco sono che il potere costituito pone i termini della disputa. Il sistema governo-media produce affermazioni sul sostegno sandinista ai guerriglieri salvadoregni e le ripete con insistenza,  pienamente cosciente che esse sono senza fondamento, fino a quando ne ha bisogno per la propria causa” (p. 57). Il problema, per chi se lo ricorda, riguarda la forza, l’autonomia del nuovo governo nicaraguense all’indomani della vittoria sandinista in chiave , volendo semplificare, “castrista”. Il nostro autore, avendo vissuto e studiato a fondo questi fatti storici, non ha mai cambiato opinione e ci tiene a farla conoscere. L’invenzione della “contra” antisandinista “è tutta nostra, tutta statunitense e questo ci ha portato ad una progressiva perdita di credibilità che, sostanzialmente, dai tempi di MacCarthy e della guerra di Korea, non abbiamo più recuperato” (p. 62). Anche la progressiva diminuzione di peso dell’ONU lo allarma, tanto che segnala: “L’isolamento degli USA ha destato qualche preoccupazione. Nel 1984, il New york Times dedicò un lungo articolo all’argomento da parte del suo corrispondente alle Nazioni Unite Richard Bernstein. Egli osservo’ che ‘ci sono molte voci che chiedono in tono tra lo scettico e l’ansioso se le Nazioni Unite hanno ancora valore’”.  Per Noam Chomsky lo avrebbero ma, evidentemente, non sono più i tempi d’oro della decolonizzazione.

Ancora più diretto e definitivo nella quarta parte, intitolata “Democrazia di mercato nel sistema neo-liberale: dottrine e realtà” dove cerca di spiegare come e dove sono partiti i primi strali che hanno portato ad un imbarbarimento complessivo. E qui cita il presidente Madison:  “E’ responsabilità del governo, dichiarò Madison,  “proteggere la minoranza dei ricchi contro la maggioranza”. Per raggiungere questo scopo il potere politico deve essere nelle mani dei “ricchi della nazione”.(p 71). Più chiaro di così…

Per concludere, si lascia prendere un po’ la mano e ricrea un clima da talk show, evidentemente già in voga negli anni Ottanta in America, che deve averlo colpito. Si tratta di: Smascherare la pedagogia della menzogna: una discussione con John Silber “ . In quel caso ci sono due posizioni visceralmente diverse, rispettose delle opinioni altrui ma, praticamente in disaccordo su tutto. Silber, per esempio riprende la questione Nicaragua (celebrando la “bontà” dei Contras) , presentandoli  come di uno spauracchio di cui disfarsi. Chomsky risponde per le rime e ne dimostra l’approssimazione di giudizio e la “falsità” sostanziale di interpretazione riguardo il fatto storico specifico.

Ma qual è l’obiettivo che ci si deve prefiggere per una “educazione” degna di questo nome? Correttamente ci si può chiedere qual è lo scopo di un sistema educativo e, come prevedibile, vi sono marcate differenze su questo argomento. Ce ne sono di tradizionali: un’interpretazione proviene dall’Illuminismo – sempre secondo Chomsky –  che sostiene che il massimo obiettivo nella vita è quello di ricercare e creare, trovare le ricchezze del passato, cercare di interiorizzare ciò che è maggiormente significativo per ciascuno, e continuare la ricerca, costantemente, per approfondire la comprensione, ognuno seguendo il proprio cammino. Da questo punto di vista, lo scopo dell’educazione è quello di mostrare alla gente come imparare da soli. Per tanto, l’individuo è l’alunno che fa progressi in materia educativa ed è da lui che dipende quanto saremo in grado di dominare, fino a dove potremo giungere, come useremo queste conoscenze e il modo in cui otterremo qualcosa di nuovo ed eccitante per noi stessi, e a volte per gli altri. Ma vi è una forma differente di percorso educativo, quello che si basa sull’Indottrinamento; ed è proprio quello che vuole denunciare Noam Chomsky. D’altra parte il suo tornare in più punti del libro all’ “Età dell’Oro” di John Dewey e Bertrand Russell fa capire quanto sia legato, il nostro, ad una formazione marcatamente “illuministica”. D’altra parte lui stesso utilizza il termine quando fa riferimento al suo modello pedagogico. “Ritorniamo a uno dei temi centrali di Dewey: lo scopo finale della produzione non è la produzione di ricchezze, ma la produzione di esseri umani liberi che si associano sulla base dell’uguaglianza. Ciò include, ovviamente, l’istruzione, che era una delle sue principali preoccupazioni. Lo scopo dell’istruzione, spostandoci su Bertrand Russell, è “dare un senso del valore delle cose diverso dal dominio”, aiutare a “creare cittadini saggi di una comunità libera” p. 36.  Una tendenza che, dall’Ottocento in poi si è lentamente affermata, specie nelle Nazioni più sviluppate…fino agli anni Sessanta dello scorso secolo. Poi è successo qualcosa… In effetti, a partire da quel momento storico, sono state messe in atto molte misure per tentare di orientare il sistema educativo verso un maggior controllo, maggiore indottrinamento, maggiore formazione vocazionale, con carriere scolastiche tanto costose da indebitare gli studenti e incatenarli a una vita di conformismo.

Questo è esattamente il contrario di quello che descrive Chomsky  in relazione al meglio dell’Illuminismo. Nelle Università e nelle scuole si assiste ad una costante lotta tra i due approcci  . Nelle classi superiori, in particolare, si possono preparare gli studenti o a passare gli esami o alla ricerca creativa, intendendo quest’ultima come perseguire gli interessi che vengono stimolati dai corsi di approfondimento, per conto proprio o in collaborazione con gli altri. Questa lotta si estende anche alle Università e alla ricerca. Almeno è quanto ci dice Noam Chomsky, forte della sua cinquantennale esperienza di insegnamento.  “Abbiamo assistito, soprattutto negli ultimi tempi, a una strutturazione sempre più forte dell’educazione, che comincia in giovane età e si perpetua, e si manifesta sotto forma di esami” (p. 105). Intendiamoci…passare gli esami può risultare di qualche utilità, tanto per la persona che lo passa – come strumento per misurare il proprio grado di apprendimento, le proprie conquiste, eccetera – come per gli insegnanti, che possono riflettere su cosa bisogni cambiare o migliorare nelle dinamiche di insegnamento. Al di là di questo, però, non ci dicono molto. “Una persona può avere risultati magnifici in tutti gli esami e capire molto poco. Tutti noi che siamo passati per scuole,  licei, università, lo sappiamo molto bene. A volte ci si ritrova a dover passare un esame di un corso che non ci interessa, perché richiesto dal piano di studio, e allora si studia per l’esame, a volte lo si passa anche con un voto alto, però dopo un paio di settimane non si ricorda già più molto. Sono certo che ci siamo passati tutti”. P. 112.  Come non essere d’accordo?

In linea di massima sì… ma, oggi, occorre mettere in evidenza qualcosa in più. Per prima cosa la quantità di informazioni ed i mezzi che ci permettono di accedervi. Tutto è cambiato in questi ultimi vent’anni, anzi…in questi ultimi due anni. La mole di dati, di questioni, di contenuti, che si ritengono “scontati” come bagaglio base già fornito da una media Scuola Superiore, non solo devono essere conosciuti e ben padroneggiati, ma sono destinati ad essere presto integrati da altri in arrivo. Una società delle comunicazioni a rete che ti avvolge, ti informa, ma – a volte – ti disinforma, e da cui bisogna “guardarsi”. Una società che chiede “competenze” e “qualificazioni” ma che, poi, non sa come utilizzare le persone “formate”  a dovere. Spesso costrette a fare altro, quasi sempre al di sotto e al di fuori del livello di preparazione raggiunto. Una “società che ti aiuta “fino ad un certo punto e non oltre” (3). Una società da riformare, sicuramente. E l’appassionante libro di Noam Chomsky, come si dice,…aiuta.

(1) Gaetano Bonetta è professore ordinario di Pedagogia Generale presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università ‘‘Gabriele d’Annunzio” di Chieti dal 1994. Sulla scia di alcuni indirizzi di storiografia inglese e francese, ha approfondito le vicende storiche della nostra scuola, le fasi storiche dell’alfabetizzazione e dell’evoluzione educativa del nostro paese. Fino ad una vera e propria analisi dei modelli dei processi di formazione. L’incontro con il pensiero “chomskiano” ne è il corollario.

(2) – “Reductio ad unum” – Tra l’ 800 e il 1200 tradizionale modalità, fortemente condizionata dalla religione, di “riportare tutto quanto succede nel mondo al testo biblico ufficiale”.

(3) –  “Ciapa le’, u’i’ l’ha pijasaja cme ‘na belecouda”  – forma dialettale alessandrina traducibile con “Prendi e porta a casa; glie l’ha messa lì come una fetta di “belle calda (cioe’ di “farinata”)”

(4) – Fino ad un certo punto e non oltre”  – formula già usata dallo stesso Chomsky in apertura di libro , criticando la manipolazione delle informazioni

 

Commenta per primo

Lascia un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*