In margine a “Mio padre” di Leonardo Sinisgalli

Una poesia di rara levità. Un esempio di come un ingegnere (portatore  di tutto il background del profondo sud italiano) possa sapersi elevare sulla superficialità e sul disprezzo per chi, anche se apparentemente, non “studiato”, alla lunga si dimostra resiliente e vincente più di tanti altri teorici dell’ “elitismo”. (n.d.r.)

L’uomo che torna solo

A tarda sera dalla vigna

Scuote le rape nella vasca

Sbuca dal viottolo con la paglia

Macchiata di verderame.

L’uomo che porta così fresco

Terriccio sulle scarpe, odore

Di fresca sera nei vestiti

Si ferma a una fonte, parla

con l’ortolano che sradica i finocchi.

E’ un uomo, un piccolo uomo

Ch’io guardo di lontano.

E’ un punto vivo all’orizzonte.

Forse la sua pupilla

Si accende questa sera

Accanto alla peschiera

Dove si asciuga la fronte.

LEONARDO  SINISGALLI  (1943)

Leonardo Sinisgalli, un poeta oggi quasi dimenticato, nacque in provincia di Matera, da famiglia contadina, nel 1908. Diventato ingegnere, lavorò al Nord presso l’Olivetti, il cui patron amava circondarsi di intellettuali, e poi in altre aziende. Sponsorizzato da Ungaretti, apprezzato da Giuseppe de Robertis e addirittura da Contini, scrisse pochi libretti di poesie, staccandosi dall’originario ermetismo, perché “si dissecca sulla sua pagina un gioco puro di immagini…in una sintassi, denudata l’ eloquenza, come disarticolata” (Contini).

La sua Lucania è primordiale, astorica, immobile, una civiltà contadina distrutta dall’avanzare del  “progresso”. Il personaggio qui rappresentato assomiglia a un contadino del cuneense, delle Langhe, del Monferrato, di qualche decennio fa, prima dell’arrivo del turismo, che ancora puoi incontrare, anziano e rassegnato, in una società assurda, per lui giustamente incomprensibile.

La poesia è un breve idillio campestre, sullo sfondo di un mondo semplice, descritto attraverso particolari concreti di grande evidenza, con UOMO (la parola chiave, che ne scandisce il ritmo lento), il quale assume l’aspetto inconsapevole di un nobile patriarca (Simona Costa).

Il titolo è un titolo-dedica del figlio, che, senza dirlo, esprime affetto e ammirazione per il padre, per il suo modo di vivere modesto, fatto di duro lavoro, di gesti quotidiani ripetuti. Nuto Revelli descrisse contadini piemontesi, i quali parlavano pochissimo, come certi personaggi del Fenoglio rurale, eppure erano stimati in famiglia e in paese (quando era ancora una comunità di sodali), per la loro dedizione, onestà, e generosità.

Un ritratto, in versi liberi, prevalgono settenari e novenari, fatto di immagini usuali (allora), concrete, quasi una per verso (ne ho contate 12), che riproducono i gesti del padre, ripetuti, col fondamentale apporto del verbo nelle singole proposizioni.

La struttura consiste in un elenco rallentato, per riflettere la calma abitudinaria del padre nel suo ritorno a casa la sera:  lava le rape, ha il cappello di paglia sporco di verderame, le scarpe infangate, saluta l’ortolano che “sradica” i finocchi (notevole il verbo realistico).

Negli ultimi 7 versi, Sinisgalli guarda il padre da lontano, nello spazio e nel tempo, da Milano, dove scrive, e nel ricordo.

Finale bellissimo: coglie il gesto del padre che si asciuga la fronte, col fazzolettone da contadino, vicino allo stagno dei pesci. Un punto vivo, un punto di riferimento, la cui autorità deriva dal suo comportamento, dalla sicurezza che infonde la sua figura, collocato in un mondo, un modo di vivere perduti, irrimediabilmente, perché non torneranno più: arcaici, remoti, lontani nel tempo.

Il fascino della lirica è dato dalla coincidenza tra la dimensione visiva, tattile e concreta, i movimenti del padre, e la dimensione affettiva memoriale nel ricordo del poeta, che si commuove nel rievocarlo: non lo dice, ma il lettore lo evince per inferenza.

La poesia esprime la dignità e il decoro, presenti spesso nei ceti umili più che in quelli elevati;  l’intensità dell’affetto del poeta non va solo al padre in quanto tale, ma a un uomo onesto, sincero, autentico, vero. Lessico semplice come è semplice il personaggio, portatore di valori ormai desueti, se non scomparsi.

Nell’immagine il compianto Lorenzo Orsetti, volontario italiano che ha cercato di aiutare con i mezzi a sua disposizione la lotta del popolo kurdo contro i fanatici dell’ISIS. A meno di una settimana dalla sua morte vogliamo ricordarlo così, con uno scatto particolarmente tenero. Il padre di Orsetti, e qui sta il legame con la poesia, ha ringraziato il figlio per contributo che ha dato alla causa universale della libertà, onorato di aver avuto un figlio che ha capito che proprio dai più poveri, dai più semplici, dai più emarginati, c’è da prendere esempio. Con l’impegno di permettere a tutti l’accesso ai gradi superiori della cultura, artatamente preclusi da chi ritiene di avere la verità in tasca.  (n.d.r.)

 

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