In margine a “Un nuovo Rinascimento per la Terra”

Ogni tanto ci capita di soffermarci su un articolo, una presa di posizione particolarmente stimolante. Stavolta è toccato all’amico Angelo Bonelli fare da apripista in un campo minato come quello della “resilienza” o, se volete, delle reali possibilità di cambiamento hic et nunc. Il documento originale è stato pubblicato sia su “Repubblica” sia sulla pagina nazionale dei “Verdi” (1). L’inizio è descrittivo e prende le mosse dall’occasione della recente “Giornata della Terra”; sembra un articolo come molti altri….  “Si celebra la Giornata della Terra, che non sta bene, mentre i governi del mondo sono mobilitati per contrastare la diffusione della pandemia da Covid 19 che ha già provocato la morte di oltre 170.000 persone.” I numeri sono già ampiamente oltre i duecentomila, oggi, ma non è questo il punto. L’intenzione è chiara: far intravvedere, quando si contrappone alla forte preoccupazione per la pandemia attuale, la sostanziale inerzia per decine di situazioni drammatiche dimenticate, che permangono centinaia di nodi non risolti. E che non serve girarsi dall’altra parte. Infatti, prosegue Bonelli , con “dieci milioni sono invece le persone che ogni anno perdono la vita a causa delle malattie infettive e per il 92% questo accade soprattutto nei paesi del mondo più poveri del pianeta e di queste il 47% è provocato da malattie per cui non ci sono vaccini.” Rincarando la dose con riferimenti alle differenze di welfare sociale (e sanitario) fra le diverse parti del mondo. Le preoccupazioni per l’Africa “senza adeguati sistemi di cura per malattie complesse come il COVID19” estese di volta in volta ai paesi dell’Est Europa o dell’America Latina sono immediatamente collegabili. “Il progresso tecnologico e la globalizzazione che avrebbero potuto consentire un utilizzo mondiale di terapie e vaccini insieme al miglioramento delle condizioni di vita di milioni di persone in diverse regioni del pianeta, non sono stati equi perché le diseguaglianze a partire dalla sicurezza sanitaria, sono ancora un problema in tutto il mondo. Bonelli si apre così la strada per una dura requisitoria sulla situazione generale:  “mentre leggiamo questo articolo (1), 52 milioni di minori sotto i 5 anni soffrono la fame a causa della carenza di cibo, mentre 155 milioni di una cronica malnutrizione. Povertà, guerre e cambiamenti climatici hanno provocato nel solo 2016 la fuga di 66 milioni di persone.  E’ il cambiamento climatico che ha creato in questi mesi in Africa un’emergenza drammatica, come quella dell’invasione delle locuste provocata dall’effetto dei cicloni nella penisola arabica. Le locuste del deserto nel giro di un anno sono aumentate di oltre 8000 volte distruggendo tutto ciò che trovano sui terreni e portando alla fame oltre 25 milioni di persone.”. Considerazioni tutte corrette che, insieme, fanno ancora più impressione e ci fanno sentire ancor più meschini. Correttamente si fa riferimento alle variazioni dovute al riscaldamento globale e, indirettamente, a tutti i fenomeni ad esso correlati, dallo scioglimento dei ghiacci, all’aumento del livello dei mari, su su fino alla peggiore di tutte le minacce…un’altra pandemia a base di infezioni per noi nuove, ma normali per quattro quinti degli abitanti del pianeta. “Il cambiamento climatico, attraverso l’innalzamento delle temperature favorirà il trasferimento di patogeni, anche letali, come ad esempio le zanzare, da luoghi tropicali nelle aree dei cosiddetti paesi più ricchi come Europa o Stati Uniti, nessuno sarà immune: per l’Oms ogni anno nel mondo muoiono 1 milione di persone a causa delle punture di zanzare e altri insetti provocando dengue, chinkungunya, febbre del Nilo occidentale e malaria.”. Ecco… il Rubicone è passato. Il dado è tratto. Si sa (e si vede dai comportamenti generali) che l’unico vero spauracchio è il virus, o meglio, qualcosa che ci fa interrompere il nostro solito classico modo di vivere. Bene. Ora è evocato e minacciosamente intorno a noi. A tutti. E Bonelli (nel suo articolo su Repubblica, ma anche in altre occasioni) non si fa sfuggire l’opportunità. “Lo spillover ovvero il salto di specie del virus tra animale e uomo ha un legame con la rottura dell’equilibrio ambientale. Alla fine degli anni ‘90 la massiccia deforestazione in Indonesia costrinse le volpi volanti a spostarsi per cercare cibo verso aree prossime ai villaggi dove vi erano allevamenti di maiali, questo portò il virus del Nipah a trasferirsi negli animali e poi nell’uomo, provocando mortali encefaliti.

Fin qui la parte “virale”. Immediatamente dopo si apre una nuova finestra, quella dell’inquinamento atmosferico e dei suoi danni. Soprattutto da noi, presso le Nazioni più industrializzate.  “Ogni anno l’agenzia europea per l’ambiente pubblica il rapporto sulla qualità dell’aria in Europa. Nel 2019 in Europa i decessi attribuibili all’inquinamento sono stati stimati in 412.000 mentre in Italia in 75.200. Il danno economico, stimato dall’EEA, causato dall’inquinamento oscilla in Italia tra un dato minimo di 47  miliardi di euro l’anno sino ad un massimo di 142 mentre a livello europeo il danno stimato è di 330 miliardi sino ad un massimo di 940. In 10 anni abbiamo perso in Italia a causa dell’inquinamento 750 mila vite umane con un danno economico minimo pari a 470 miliardi di euro. Il cambiamento climatico tra il 2030 e il 2050, secondo l’Oms, sarà la causa di 250 mila vittime ogni anno, ma né l’emergenza smog e né il climate change sono percepiti come un pericolo imminente nella popolazione e nei decisori politici determinando un irresponsabile immobilismo di molti governi del pianeta”. Tutte tematiche conosciute, sostenute da pochi, avversate da molti. Soprattutto poco “politiche” e sostanzialmente antipatiche. Meglio non preoccupare e non preoccuparsi…Ma qualcuno doveva pur dirlo. Arrivando anche a tirare in ballo produzioni poco ecologiche o ,semplicemente, di morte. Da sempre ambiguamente coperte da, praticamente, tutti gli Stati del mondo, fonti di enormi guadagni e occasioni di nuove alleanze di potere. E, anche qui, Bonelli è cristallino: “con l’epidemia da Coronavirus c’è stata, giustamente, una mobilitazione globale dei governi con una grande esposizione mediatica, lo stesso non  accade per salvare la Terra e per affrontare le carestie che non garantiscono cibo per centinaia di milioni di persone. Il mondo paga le contraddizioni e l’irresponsabilità di quelle classi politiche che ritengono che investire sulla sostenibilità e sulla conversione ecologica dell’economia sia superfluo. In realtà superfluo e anche criminale è stato investire in 20 anni, dal 1998 al 2018, secondo i dati dell’istituto SIPRI , ben 32.000 miliardi di dollari in spese per armamenti mentre nel mondo i sistemi sanitari, la ricerca e la sicurezza sociale venivano ridotti ai minimi termini se non azzerati, la risorsa acqua continua ad essere dissipata e la biodiversità del pianeta distrutta a ritmi drammatici.”

E tutto questo quanto ci costa? Anche questo viene analizzato, andando a riprendere uno studio fondamentale di Nicholas Stern, esperto presentato – oltre che in centinaia di altre occasioni –  all’auditorium Agostinianum dalla fondazione che ha come presidente il già ministro Edo Ronchi nel 2015. In un convegno storico che ha messo le premesse per il gruppo di lavoro sulla “Laudato si’” . Il riferimento, calzante, a Stern, è in questa parte dell’intervento dell’esponente “Verde”: “la pandemia ha messo in ginocchio le economie del mondo, difficile fare le prime stime sui danni, ma alcuni istituti finanziari hanno parlato di 3.000 miliardi di dollari ma è altamente probabile che sarà destinata ad aumentare. Nel 2006 Nicholas Stern, l’ex capo economista della Banca Mondiale, quantificava in cinque punti percentuali di Pil mondiale ogni anni, ovvero oltre 4.000 miliardi di dollari, il danno del cambiamento climatico sull’economia globale, mentre la prevenzione ovvero le politiche in difesa del clima sarebbero costate l’1% del Pil globale. Un saldo positivo che non solo farebbe risparmiare risorse ma consentirebbe di finanziare politiche che garantirebbero sicurezza sociale, sanitaria e ambientale. Dobbiamo comprendere quanto queste politiche siano fondamentali nel mondo per garantire anche la sicurezza economica e dei mercati finanziari e l’esperienza drammatica della pandemia lo dimostra. Il rischio è che passata l’emergenza tutto torni come prima, aspettando di gestire la prossima e questo non possiamo permettercelo”. E allora che fare? Quali sono i nuovi cahiers che potrebbero servire come guida per il futuro immediato e per quello lontano? Mah, qui ci sembra un pochino azzardato, il nostro Bonelli, con una posizione interlocutoria senza fondamenta precise. Ma prima di tirare le conclusioni, leggiamo l’originale. “Serve un nuovo Rinascimento e un’ampia alleanza globale d’intelligenze, sociale, delle imprese per raggiungere l’obiettivo di una conversione ecologica dell’economia che aiuti la ripresa che non può prescindere da una sua forza resiliente, da un forte servizio sanitario pubblico, da investimenti pubblici strategici, nei trasporti, nella digitalizzazione della pubblica amministrazione, nella banda larga e nelle politiche energetiche rinnovabili, mentre la nostra agricoltura dovrà essere sempre più glocal.” Bella l’idea del “nuovo Rinascimento”, già presentata in altre occasioni ma, a quanto pare, finalmente emblema di un possibile cambiamento. Bello anche il riferimento a ciò che dovrebbe essere…e non è. E’ alla portata un’ampia alleanza globale d’intelligenze, sociale, delle imprese per raggiungere l’obiettivo di una conversione ecologica dell’economia?  E’ credibile che la ripresa non possa prescindere da una sua forza resiliente, da un forte servizio sanitario pubblico, da investimenti pubblici strategici, nei trasporti, nella digitalizzazione della pubblica amministrazione, nella banda larga e nelle politiche energetiche rinnovabili? Bonelli sa benissimo che è proprio in queste affermazioni che sta il nocciolo del problema. Chi ha l’autorità vera per proporre cambiamenti effettivi? Quali sono, dove sono i tavoli in cui – ora – si sta discutendo di un cambio vero? Esistono? Sull’ultimo numero del mensile “Quale Energia” (2) si è riusciti ad avere un pronunciamento di un alto esponente dell’Organizzazione delle Nazioni Unite contrario ad un ritorno alla centralità del petrolio e delle energie fossili in generale (con un peana, solito, alle “rinnovabili”). Ma a ben vedere anche lì ci si ferma alle raccomandazioni.  “La lotta contro il cambiamento climatico deve essere al centro dei piani per rilanciare l’economia globale dopo l’emergenza coronavirus” Questa è la chiave del discorso tenuto dal segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, al primo vertice internazionale sul clima del 2020, il Petersberg Climate Dialogue.

Così Guterres “ha raccomandato, in particolare, di utilizzare i soldi dei contribuenti per creare posti di lavoro “verdi” e non per salvare industrie obsolete e inquinanti. Gli investimenti devono accelerare la de-carbonizzazione di tutti i settori economici”. Arrivando anche ad affermare che “i sussidi ai combustibili fossili devono finire, le emissioni di anidride carbonica devono avere un prezzo e chi inquina deve pagare per l’inquinamento che produce”. Proprio il convegno dell’Agostinianum del 2015 terminava con un’affermazione simile. Con quali esiti? Infine, proprio perché orami il ferro è stabilmente infisso nella piaga, perché terminare con un discutibile “mentre la nostra agricoltura dovrà essere sempre più glocal”, forse giusto perché il termine glocal è di moda. “Globale” e “locale”, collegando la giusta predilezione per le produzioni a chilometri zero, quelle di stagione “non forzate”, all’abitudine delle “fragole tutto l’anno”. Non più quindi le fragole del Cile nei supermercati italiani a Natale ma, in modo globale, la promozione di prodotti “equo-solidali” nelle nostre tavole, sapendo di pagare il giusto prezzo, con un margine per produttori lontanissimi nello spazio ma uniti a noi nella ricerca di un equilibrio globale. Lo scontro in atto, mai sopito, sui criteri di impegno a livello europeo riguardanti le produzioni e le commercializzazioni agricole ne sono una conferma. Anche in questo caso prevalenza degli interessi (piccoli) degli Stati e totale insensibilità per piani differentemente strutturati. Totalmente da cambiare nell’impostazione, nella gestione e nei fini. Bonelli, in conclusione, fa benissimo a tirare il sasso…ma ora si deve dar seguito – alzando la voce – a quanto promesso.

(1)  Angelo Bonelli, su Repubblica  e su     http://verdi.it/un-nuovo-rinascimento-per-la-terra/

(2)  Citazioni tratte da https://www.qualenergia.it/articoli/niente-soccorsi-alle-fossili-per-lonu-la-ripresa-deve-essereverde/

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