Mediazione e Politica

 

Il contesto politico attuale è quello che è, e va preso abbassando di molto le nostre pretese in fatto di qualità della proposta. Il dato elettorale delle recenti europee conferma la vittoria di alcuni partiti, il declino di altri, ma comunque accomunati, tutti, da una straordinaria incapacità di andare oltre il momento tattico, oltre la politica di giornata. Del resto anche il neo vincitore Salvini, che non va criticato perché poco incline al riformismo liberale, di cui eredita la convinzione che sia alla fine dei conti il mercato e l’impresa la vera razionalità di ogni agire sociale, costruisce il suo successo più per le suggestioni che riesce ad elargire ad un ricettivo elettorato, piuttosto che per un vero disegno complessivo, organico, di sviluppo dell’intero paese. Una caratteristica comune a tutti i partiti attuali, da quelli di destra fino a quelli di sinistra radicale, è l’ormai assenza di fatto totale del tema dello sviluppo e della unità nazionale. Prevale il pensiero, ormai maggioritario fra le élite colte e i livelli massimi delle associazioni e dei centri culturali e manageriali dello stato,  che l’Italia è un treno composto di vagoni che si muovono a diversa velocità; bene sarebbe se i vagoni più veloci distaccassero, abbandonando al proprio destino, i vagoni irrimediabilmente più lenti, incapaci questi di inserirsi nell’Europa a trazione tedesca. Qui va notata una cosa di non piccolo momento. Se nella prima repubblica fu prevalente, sia nel movimento operaio che nel mondo cattolico, il meridionalismo e la ‘questione del mezzogiorno’ come problema centrale della tenuta unitaria del paese, dagli anni novanta domina un pensiero opposto: è il nord del paese, più industrializzato e forte, che deve essere liberato dai lacci e lacciuoli che lo tengono immobilizzato ad un destino nazionale ritenuto non più utile. La caduta della questione del mezzogiorno significa la marginalizzazione del tema nazionale, al di là di ogni stanco e rituale, e un po’ patetico, rilancio patriottico. Inoltre, pare evidente che un paese come l’Italia, che perde nelle proprie classi dirigenti il senso del suo statuto unitario, come entità difficile e sofferta ma nondimeno utile e significativa, non può pretendere di essere protagonista del processo comunitario continentale contrariamente a ciò che accade oggi, in cui è vittima dei disegni egemonici franco – tedeschi.

Ma le fratture all’interno del paese sono molteplici, e non si può tacere della sempre più evidente divisione del fronte sociale, fra una parte di società che non ha avvertito minimamente la crisi e una parte che, invece, vede cadere la propria condizione economica sempre più. Questa spaccatura è determinata dalla crisi economica, coinvolge quasi l’intera classe lavoratrice, in particolare le qualifiche medie e basse,  e buona parte del ceto medio imprenditoriale e delle professioni caduto notevolmente nelle condizioni di reddito e di patrimonio. Inoltre, risalta la divisione territoriale fra nord e sud dell’Italia, una divisione che è economica, sociale e di organizzazione statuale e civile, che ha raggiunto ormai caratteristiche tali da porre in seria discussione l’unità del paese.

Le divisioni del paese, sociali e territoriali, sono curiosamente rappresentate entrambe nel governo, con un gioco delle parti alquanto riuscito almeno fino al momento; da un lato la Lega rappresenta prevalentemente il nord e le classi medie produttive, pur avendo consenso nei ceti popolari, anche meridionali, contrariamente i Cinque Stelle assumono la difesa del mondo popolare fiaccato dalla crisi e del meridione lasciato indietro dalla parte più dinamica dell’Italia. Non stupisce, in questa commedia delle parti e delle contraddizioni irrisolte e irrisolvibili a cui è ridotta la politica governativa, la totale incapacità delle opposizioni di inserirsi con un ruolo forte nelle dinamiche reali del vivere sociale. Il PD si divide su proposte di geografia politica, ( centro, sinistra, centrosinistra con trattino o senza), mentre Forza Italia declina limitandosi a esortazioni all’ex alleato e la sinistra, antagonista e residuale, recita parodisticamente il sogno di una autonomia sociale dei soggetti della ‘moltitudine’.

Ciò che manca è il punto di vista dei lavoratori, un soggetto sociale che resta fondamentale per la produzione della ricchezza, e anche per il suo consumo, e che, purtroppo, nessuno si cura di riunificare in un progetto politico e di rappresentare degnamente nelle istituzioni e fuori di esse.

Eppure è proprio il lavoro che a me pare la leva non solo per ricostruire una cultura delle sinistre, ma anche per incrinare una egemonia sociale e di pensiero comune diffuso che le destre hanno determinato in questi anni e che giunge a vincente maturazione proprio in questo ultimo decennio.

Su questo vi si dovrà ritornare utilmente, anche nel dibattito di questa rivista. Mi pare utile, in chiusura, terminare con una nota di cultura politica. Se vi è un elemento ulteriore di negatività in una situazione nazionale già così difficile e intricata, questo è la assenza totale del senso, nelle classi politiche attuali, della politica come mediazione. Politica come mediazione non solo per attutire i conflitti fra gruppi politici o partiti, ma per salvaguardare gli equilibri fra le istituzioni, e per ricucire quel tessuto sociale così drammaticamente lacerato, fratturato lungo le linee geografiche e passando per la durezza delle condizioni sociali sopra descritte.

Non si tratta, dunque, di rinunciare agli elementi di trasformazione e di visione prospettica che una politica di profonda critica sociale non può che avere, ma è utile non smarrire mai il concetto di mediazione in politica se esso si lega allo sforzo di educare un popolo ad essere partecipe cosciente e responsabile della gestione della cosa pubblica e dei difficili passaggi di ricomposizione delle contraddizioni e dei problemi sociali più evidenti e urgenti. Altrimenti, vince una concezione e uno stile politico che concepisce il soggetto democratico che è sovrano, ovvero il popolo, come mera massa informe da plasmare e plagiare, come grande infante da dirigere dove meglio si crede.

Da qui la presenza ormai dominante nei partiti delle strutture del marketing elettorale e la sovrabbondanza di leader politici bravissimi a fare campagne elettorali anche a distanza dalle elezioni e incapaci però di risolvere il benché minimo problema governativo.

Se non ritroviamo la dimensione esatta dell’agire politico necessario, una passione per la fatica che richiede lo studio delle trasformazione sociale, la ricchezza culturale degli ideali storici che da sempre animano il paese, difficilmente usciremo dai nostri poblemi e dalle secche di questo sterile presente.

 

 

Alessandria 09-06-2019                                                                                 Filippo Orlando

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