Nadler Steven, La via alla felicità. L’etica di Spinoza nella cultura del Seicento

Eudaimonia (vocabolo greco antico, traducibile col termine: felicità) è parola e dottrina filosofica che deve la sua fortuna a Socrate, il quale sosteneva d’avere presso di sé un buon demone (daimon), o spirito guida, a consigliarlo sul da farsi e su come vivere al meglio la propria vita ovvero su come raggiungere appunto la felicità, che per il grande maestro ateniese consisteva nella serenità interiore: frutto di un comportamento razionale indirizzato alla virtù.

Anche un po’ tutti i filosofi d’ogni epoca e latitudine si sono interessati alla possibilità o meno di raggiungere l’eudaimonia; ma forse colui il quale più di ogni altro si occupò di tale problematica, nella modernità, fu Spinoza che, nel suo capolavoro: l’Etica, cercò di dimostrare come la nostra felicità e il nostro benessere non risiedano in una esistenza all’insegna delle passioni, bensì in una vita dedicata a concentrarsi tanto sull’interiorità quanto sull’esercizio della razionalità critica, adeguandosi all’ordine della natura, che per il pensatore olandese equivale a Dio.

Ma l’Etica è un’opera articolata ed ambiziosa, in cui l’autore tratta argomenti da far tremar le vene e i polsi, come la gnoseologia, la metafisica, la teologia e persino l’arte complessa della politica. A causa della sua struttura, inoltre ‒ scandita da definizioni, proposizioni, scolii e corollari ‒, essa può risultare al lettore odierno davvero ostica e indigesta. Per i non addetti ai lavori, quindi, ritengo sia opportuno avvalersi di una guida grazie a cui addentrarsi più agevolmente nel labirintico percorso filosofico ideato dall’audace pensatore olandese. Tale guida potrebbe essere rappresentata da uno dei massimi studiosi spinoziani, Steven Nadler, e dal suo saggio intitolato: La via alla felicità. L’etica di Spinoza nella cultura del Seicento (Hoepli).

Onde fornire un’idea della corposità/entità dell’Etica, basti qui un accenno a quanto sintetizza Nadler nella sua prefazione: ‟Spinoza discute l’esistenza e la natura di Dio, la relazione mente-corpo nell’essere umano, la libertà e il determinismo, la verità, il finalismo, le leggi della natura, le passioni, la virtù e la felicità, le basi dell’obbligo politico, le condizioni del bene e del male, l’identità personale, l’eternità, l’immortalità e ‒ come se non bastasse ‒ il significato della vita”. Ma bando a ogni sgomento di fronte a siffatta titanica impresa e addentriamoci nel testo.

Nella prima parte dell’opera spinoziana viene esposta una teoria affascinante, dove si sostiene che l’universo è una sostanza infinita ed eterna equivalente alla cosiddetta Natura. Ogni cosa, afferma Spinoza, è parte ed è determinata da tale sostanza infinita, che viene comunque equiparata a Dio. Ma cosa intende il filosofo olandese per Dio? ‟Certamente non quello che intende la tradizione religiosa ebraico cristiana”, puntualizza Nadler sottolineando piuttosto il panteismo dell’autore.

Nella seconda parte dell’Etica, Spinoza affronta i vari modi in cui gli esseri umani sono affetti dal mondo circostante e sottolinea lo sforzo (conatus) che l’uomo ‒ e peraltro ogni pianta o animale ‒ compie per mantenersi in vita e contrastare le forze esterne che si oppongano a ciò. Ma oltre alle azioni, che potremmo chiamare omeostatiche: finalizzate cioè all’autoconservazione e all’accrescimento ‒ esistono le passioni, equiparate dal filosofo a ulteriori e potenti forze (emozionali) che sfuggono spesso al controllo del singolo, scombussolandolo.

Nella quarta parte, ancora intorno alla vita dominata dalle passioni, Spinoza cerca un rimedio rispetto al loro strapotere cogliendolo nella virtù, ossia: ‟nella conoscenza e nell’intellezione”. Se quindi è scontato che l’uomo non possa mai essere totalmente libero dalle passioni, egli può tuttavia raggiungere un notevole grado di autonomia e di libertà, tanto quanto agisca guidato dalla ragione; al fine di andare in cerca di ciò che per tutti noi è bene (reca cioè autentica eudaimonia) e di prender le distanze da ciò che è male: da quanto ci causa danno, disequilibrio, perdita di libertà, infelicità.

Nella quinta parte dell’Etica, infine, ricorda Nadler: ‟Spinoza si occupa dei beni ultimi della più alta forma di conoscenza, che consiste in una comprensione profonda della Natura e delle sue vie e in un’intuizione intellettuale di come l’essenza di ogni cosa segua dagli elementi più universali della Natura ‒ o, poiché Natura e Dio sono una sola e medesima cosa, di come l’essenza di ogni cosa si relazioni a Dio”. Attenzione però a non ritenere che i premi della virtù umana risiedano in una qualche improbabile e fanciullesca ricompensa oltremondana di tipo paradisiaco. Risultato/fine buono della virtù quale è intesa da Spinoza è giusto la felicità ossia un vero e proprio benessere che è possibile ottenere in questa vita, da ognuno, qui ed ora.

Steven Nadler, La via alla felicità. L’etica di Spinoza nella cultura del Seicento, Ulrico Hoepli Editore, Milano 2018, pp. 285, euro 22,90

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