Non c’è due senza tre

La repentina ascesa di Giorgia Meloni a Premier e quella, ancor più inaspettata, di Elly Schlein a segretaria Pd hanno certo un peso politico maggiore. Ma, sul piano simbolico, quella di Alessandra Todde a Presidente di regione non è da meno. E conferma che, nel trend della personalizzazione, la leadership al femminile fa la differenza, a destra come a sinistra. Fra i tanti elementi programmatici che ancora separano Cinquestelle e Democratici, si tratta di una convergenza non da poco, che potrebbe diventare un volano per la costruzione di quel «campo giusto» battezzato da Giuseppe Conte.

Sul fronte della maggioranza di governo, almeno per il momento, non si prevedono terremoti. «Imparare dai propri errori» – come i tre leader del centrodestra hanno dichiarato – potrebbe fare aggiustare una rotta che stava diventando troppo divisiva, soprattutto nell’idea velleitaria di trasferire anche in periferia i rapporti di forza che ruotano, a livello nazionale, intorno alla centralità di Meloni. Per la Lega, nata dai territori, è un’occasione per tornare alle origini, magari provando a ricucire l’attuale spaccatura con Zaia. E per Fratelli d’Italia potrebbe costituire una spinta a non forzare troppo i tempi nel tentativo di radicare il proprio potere anche in città e regioni.

Più in generale, le forze politiche potrebbero approfittarne per abbassare i toni sull’appuntamento europeo, che rischia di trasformarsi in uno spot referendario sul leader – o la leader – più bella del reame, dimenticando quanto evaporarono in fretta gli exploit di Renzi e di Salvini. E quanto invece sarebbe importante mettersi seriamente al lavoro – a Bruxelles, non nei sondaggi – per costruire l’Europa più forte di cui tanto avremmo bisogno.

In un mosaico molto sfaccettato, la domanda immediata più incalzante riguarda, comunque, il futuro della coalizione tra Pd e Cinquestelle. La domanda è di quelle tipicamente politichesi. In nessuna chiacchiera al bar o in televisione si potrebbe ragionevolmente sostenere che per l’uno o l’altro partito sia meglio correre da solo. Visto che perfino in politica l’aritmetica non è una opinione, è chiaro a tutti che l’alleanza è un passaggio obbligato. Se ne è accorto perfino Calenda che correre da soli è un suicidio. Il problema è che allearsi è indispensabile solo se si vuole vincere. E – per quanto al cittadino comune possa apparire strano – buona parte del ceto di partito – di tutti i partiti – si preoccupa soprattutto di riprodurre in qualche modo le proprie posizioni di potere. Che non discendono necessariamente dalla conquista della vittoria. Soprattutto se la tua vittoria dipende da un leader con il quale la tua corrente non va d’accordo, o da un accordo programmatico che non porta niente al tuo mulino.

Ovviamente, questi ragionamenti contano di più fino a quando non si arriva al voto, e si vince. Perché perfino nel rissosissimo campo del centrosinistra vincere fa una bella differenza. Si fosse perso in Sardegna, gli avversari interni di Schlein già starebbero sulle barricate, e coi fucili puntati sulla giovane conduttrice. E in molti, tra i grillini, sarebbero tornati a intonare la litania del duri e puri. Invece, Alessandra Todde ha vinto. E d’ora innanzi sarà molto più complicato mettere in dubbio l’assioma matematico che in un sistema maggioritario si vince solo se si corre uniti.

Si tratta di un insegnamento lapalissiano per le amministrative, dove – con un turno o con due – c’è l’elezione diretta del governatore o del sindaco. Ma ben più controverso quando si passa a se e come riformare l’attuale processo da cui emerge il Presidente del Consiglio dei Ministri. Sul progetto tanto caro a Meloni, al momento siamo in piena rissa. Una ragione di più per seguire gli sviluppi del think-tank lanciato oggi a Roma per un laboratorio bipartisan in cui – come ha scritto Polito sul Corriere – al posto degli interessi (spesso solo presunti) di partito prevalgano quelli dell’Italia. E si provi a tracciare un percorso con cui si arrivi al rafforzamento del Premier abbandonando i vecchi pregiudizi dell’epoca costituente.

Potrebbe essere anche un banco di prova per capire se Schlein e Conte sono davvero intenzionati a cambiare. Cominciando da quel micidiale retropensiero per cui la vittoria che conta è superare di qualche decimale chi compete per l’egemonia nel tuo stesso campo politico. Stretto o largo che sia.

di Mauro Calise.

(“Il Mattino”, 28 febbraio 2024)

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