Obtorto collo

Negli anni ’70, venivo da lontano per frequentare da turista la Toscana e ne visitavo i luoghi più caratteristici.
Si è stabilito allora un rapporto d’amore che includeva inevitabilmente anche gli abitanti.
Venivo a conoscere una generazione di trentenni molto diversi da me, molto meno introversi e con un carattere più espansivo, più loquace, ma, sinceramente, spesso piacevole e simpatico.
Tale carattere negli anni successivi, quando mi sono stabilito in Toscana, senza perdere la mia indole di globetrotter, mi è parso sempre più affievolito e sinceramente sempre più banale, superficiale.
I loci communes (i luoghi comuni) hanno prevalso sulla vivacità, sulla freschezza e si sono ridotti a mere parole.
Bisogna sempre ricordare che parlando della Toscana da allogeno c’è sempre una sorta di grande rispetto ed ammirazione per quei 300 anni, quelli che vanno dal 1250 al 1550 circa, in cui effettivamente questa regione d’Europa ha sviluppato una sua civiltà caratteristica in tutti i campi, culturale, politico, artistico, architettonico, per cui si può parlare di un grande fine Medioevo, Umanesimo e Rinascimento.
Tale periodo, oserei dire aureo, ha però posto sulla Storia della Toscana una pesante eredità, cioè confrontarsi quotidianamente con tale passato.
Questo confronto non è assolutamente facile.
Come i nani sulle spalle dei giganti, ci si accorge che affrontare l’oggi non è cosa banale, soprattutto quando altri popoli, altre situazioni storiche, hanno portato alla ribalta culture differenti e non inferiori, in tutti i campi.
L’oggi appare quindi un momento grigio, difficile da affrontare e, evidentemente, in queste condizioni, anche il futuro.
Rimane, certo, un grande, grandissimo passato, che rischia di diventare un Mito, qualcosa di assolutamente irraggiungibile.
Tale è la posizione dei giovani trentenni in Toscana oggi: nella nebbia di oggi non intravedono un cammino per la salvezza di domani.
Si possono presentare dei precipizi, degli orridi, che li bloccherebbero inevitabilmente; allora questi trentenni aspirano a ricongiungersi al passato glorioso, e ciò facendo, rivolgono il capo all’indietro.
In una metafora da girone dantesco, il collo, appunto, e quindi il capo, si rivolge all’indietro, non vede il presente né tantomeno si indirizza verso il futuro.
Facendo il confronto fra le generazioni degli anni ’70 e quelle di oggi, è come se si fosse affievolito l’entusiasmo e l’Iskra (scintilla) si fosse spenta e si vivesse in un contesto superficiale, anzi, deprimente.
Ma obtorto collo ha anche un altro significato, oltre quello letterale: cioè compiere un atto di sottomissione forzato, vivere schiavo di condizionamenti, quindi non libero.
La non libertà dei giovani d’oggi, a confronto con quella vera o fittizia che fosse dei giovani di 50 anni fa, marca il segno dei tempi.
Il capitalismo globale sembra avere trionfato nella lotta con il socialismo del secolo scorso, ma in realtà, mutatis mutandis, un processo titanico è in atto.
Toccherà ai giovani d’oggi, se ne saranno capaci, liberarsi dalle catene che li prostrano.
Sapranno ribellarsi questi giovani alle lusinghe di ingannatori mediatici, che badano solo ai propri interessi?

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