Odio

In questi giorni si parla tanto dei rapporti fra Israele e i Palestinesi: io voglio dire la mia.

Chiaramente, non basandomi su relazioni più o meno fallaci di pseudo esperti che appaiono giorno e notte sugli schermi televisivi, ma su una realtà che per me è incontrovertibile.

E cioè su quello che io stesso ho visto e toccato con mano nei miei soggiorni in Medio Oriente.

Nel 1975 mi trovavo in Libano, per un viaggio d’affari, ed ebbi modo di constatare in prima persona l’arrivo in massa dei Palestinesi.

È chiaro che da quel momento la credenza di un Libano visto come una sorta di Svizzera era destinata a finire, poiché i profughi portavano con loro le ragioni della loro ribellione.

Più tardi, in Giordania, e precisamente ad Amman, ebbi modo di visitare un campo di tende dietro l’Hotel Royal Palace, e queste tende contenevano profughi Palestinesi.

Da anni? Da decenni? Questo non sono in grado di dirlo, ma le tende erano lì a dimostrare l’esodo.

Ancora più tardi, mentre visitavo Israele, compresi come in questa terra di Palestina i destini degli Israeliani e dei Palestinesi erano completamente diversi: i primi, tenevano il timone del comando, i secondi, si nutrivano delle briciole.

Non voglio dare l’impressione di essere un filo Palestinese ad oltranza, ma la verità che appare sotto gli occhi non può essere negata.

Per decenni, a partire dal 1948, gli Israeliani hanno trattato i Palestinesi con supponenza, li guardavano dall’alto in basso, tanto è vero che li definivano in modo irriverente, “gli arabetti”.

È chiaro che, per un europeo occidentale, non è possibile dimenticare la terribile sorte che il Terzo Reich voleva comminare a tutti gli Ebrei d’Europa, per cui ben sei milioni sono scomparsi durante la Seconda Guerra Mondiale.

E non è neppure possibile dimenticare la sequenza dei pogrom inflitti agli Ebrei durante secoli e secoli.

Diciamolo francamente, gli europei occidentali ed orientali hanno un debito gravosissimo verso gli Ebrei di tutto il mondo, questo è innegabile.

Ma la verità è una ricerca complessa, e non possiamo farci allontanare da essa a causa di emozioni o reminiscenze storiche discutibili.

L’odio è il sentimento prevalente tra i Palestinesi per i torti subiti dal 1948 in avanti, e nulla può lenire la sua forza: ho visto e sentito donne lanciare le loro maledizioni sul nemico con toni apocalittici.

Gli Israeliani avevano sempre avuto verso i Palestinesi una sorta di malcelata superiorità che esprimevano sia con le armi che con il loro modo di condurre l’esistenza, apparentemente molto occidentale; ma, dopo i fatti del 7 ottobre, anche gli Israeliani, o molti di essi, manifestano un odio che diventa sempre più feroce.

Questa lotta mortale diviene sempre di più un aut-aut in cui un popolo tende a escludere l’altro.

Una lotta per l’annientamento dell’avversario.

Ma, allora, in che cosa possiamo sperare? In una attenuazione di tale odio, che vuol dire il riconoscimento dell’altro come antagonista da rispettare, non da disprezzare e poi, a mio avviso, un piano di ricostruzione materiale per la Palestina e morale per Israele.

Forse in tal modo ci saranno delle chances per la Pace.

Viator

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