Opinioni personali

A scanso di equivoci metto subito in chiaro che queste mie considerazioni sono viziate da un forte pregiudizio dovuto ad una emozionale solidarietà di mestiere (più che di classe).

Su La Stampa del 19/01/2020 è comparso un articolo (vedi  immagine fondo pagina) che nel titolo fa rifermento all’aggressione ad una capotreno, ma che nel testo ci avvisa di due aggressioni  subite da due donne quasi a volerle mettere sullo stesso piano i due episodi. La prima aggressione è avvenuta ai danni di una  capotreno  “presa a calci e pugni”, l’altro episodio ci racconta di una viaggiatrice che, qualche giorno prima era stata “aggredita a male parole” da una capotreno che l’aveva chiamata buonista. Non so cosa abbia spinto l’autrice dell’articolo a mettere assieme i due episodi, ma mi pare che il tentativo di equiparazione denunci perlomeno la “scomparsa” del senso delle proporzioni.

Le “aggressioni fisiche”  a capitreno sono,  probabilmente, dell’ordine delle centinaia all’anno ma non risulta che ci siano casi di viaggiatori vittime di “aggressioni fisiche”  da parte di un capotreno.

Non risulta nemmeno che i viaggiatori presenti intervengano sempre a difendere il capotreno aggredito,  anche se bisogna riconoscere che ormai, per indifferenza o paura,  non è facile trovare qualcuno che interviene a difesa del prossimo correndo qualche rischio. Certo ad intervenire per difendere qualcuno che sta  discutendo più o meno animatamente  con il capotreno (che ha pure l’ardire di chiedere ai viaggiatori il biglietto!) non occorre un gran coraggio, visti i rischi inesistenti, per giunta il gesto  fornisce un abbondante razione di autogratificazione.

La signora citata nell’articolo  che lamenta l’aggressione verbale, è un insegnante e anche a lei durante il suo lavoro capiterà di dover intervenire  per far rispettare le regole da parte dei ragazzi. Speriamo che sgridi i monelli!

Anche il capotreno, (o il vigile che fa le multe alle auto che non rispettano le regole), ha una funzione educativa, diversa, ma non meno importante di quella degli insegnanti. Non solo il suo operato (con le opportune contravvenzioni) serve ad insegnare che non si viaggia a sbafo, ma deve anche servire a far capire che non si mettono i piedi sui sedili su cui poi si sistemeranno altri viaggiatori, a non disturbare il prossimo con musica ad alto volume e, sarebbe un miracolo se avesse successo, a spiegare che normalmente nessuno è deliziato dall’ascolto delle altrui conversazioni telefoniche. Non è solo un cerbero incaricato di far incassare soldi alla sua impresa!

Molto spesso si usano le possibili spiegazioni di un comportamento individuale trasformandole in giustificazioni di comportamenti errati; spero di riuscire a non commettere quest’errore.

Sono del parere che un capotreno che perde il senso della misura e aggredisce verbalmente un viaggiatore commetta un errore ben più grave di un semplice cittadino che, se perde le staffe, una rimedia una figuraccia personale. Durante il suo servizio un capotreno (come chi ricopre incarichi simili) ha un ruolo e rappresenta una società di trasporto e non solo se stesso quindi deve sentirsi maggiormente responsabile cercando di evitare inutili discussioni.

Proviamo però a capire le reazioni a volte sbagliate di un capotreno,  mettendoci nei panni di chi svolgendo tutti i giorni il suo lavoro nell’interesse della collettività, oltre ad aggressioni verbali, rischia anche di essere aggredito fisicamente. È interesse dei cittadini perbene evitare che, per quieto vivere, chi ha funzione di controllo non si impegni a far coscienziosamente  il proprio lavoro, contribuendo a  far si che si autoalimenti  un modello di convivenza   sempre meno pacifico che è alla base del senso di insicurezza dei cittadini/elettori.

Quelli della mia generazione hanno avuto la fortuna di poter  vivere  l’infanzia standosene fuori casa  con i compagni con cui si giocava e anche si litigava e ci si insultava. Quando qualcuno ci offendeva con qualche insulto bruciante tipo “buonista”, gli adulti a cui ci rivolgevamo per avere giustizia, o gli stessi compagni di gioco per favorire la riappacificazione, ci ricordavano che “le parole non rompono le ossa (trad. dal dialetto)”.  Questo ci è sicuramente  servito  ad imparare a conservare il senso delle proporzioni dando un diverso peso agli scontri fisici e alle scaramucce verbali.

Per mantenere civile una società servono dei buoni genitori,  dei buoni educatori, ma anche capitreno, vigili urbani, guardie di finanza ecc. che facciano rispettare le regole, a volte anche con severità.

Da parte nostra, ricordandoci di quando eravamo bambini, cerchiamo di non prendercela  troppo se qualcuno  ci offende chiamandoci “buonista”.

NB il “Capotreno” è un pubblico ufficiale.

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