Paradiso e Inferno non sono assolutamente luoghi distinti

Strane coincidenze nelle nostre vite. Accade di pensare a qualcuno e il giorno dopo apprendere che, proprio nel giorno in cui pensavi a quella persona, quella persona è morta.

E’ accaduto così a me in questi giorni per Flavio Bucci, stroncato ieri da un infarto, certo non inaspettato visto la vita disperata che lui stesso aveva raccontato tempo fa in un’intervista. Sperperato tutto in donne fumo alcool e cocaina, sino a dover vivere in una casa famiglia, con tre camicie , due paia di pantaloni e un paio di scarpe nell’armadio.

Non credo sia questo l’arrivare alla vecchiaia spogliandosi di tutto.

Ma è proprio per la forza di questa sua disperazione che mi piaceva questo attore. Una disperazione che sentivo addosso guardandolo, la stessa che si prova nella “leggenda del santo bevitore,” di Joseph Roth, un altro uomo che ha fatto dell’alcool il suo destino.

Sono sempre stata attratta dai disperati, un’attrazione che mi faceva prendere subito le debite distanze incontrandoli nella realtà della vita, una distanza salutare che non mi impediva però di voler incontrare e conoscere  l’attrazione di quello sguardo, occhi grandi neri e profondi, molto simili a quelli di molti animali, occhi di carbone acceso, forse porte dell’inferno che lì dentro vive.

Del resto sappiamo bene che la Follia è la sorella – disperata – della Poesia.

Bucci, Roth, Hemingway e molti altri grandi bevitori, “nutriti di grazia e sensibilità, feriti da un immenso dolore” scrive Eugenio Borgna, che di queste vette e precipizi sa raccontare.

E’ il dolore che ci fa umani.

Prima o poi ognuno di noi ne incontra l’enigma: ostacolo e trampolino per un lancio nell’invisibile della Vita, soglia che fa la differenza tra chi vuole incontrarlo il dolore e chi invece vuole sfuggirlo.

Le lacrime salgono al cielo, scrive Rilke , ma forse si dimentica di aggiungere che non tutte le lacrime ce la fanno a salire al cielo, molte, forse le più pesanti, ricadono nel grande mare del dolore che chiede vittime, perchè – scrive ancora Rilke – paradiso e inferno non sono assolutamente luoghi distinti.

Come ben racconta Roth nel suo testamento spirituale che è la leggenda del santo bevitore , bevitori e santi siamo tutti noi, quel che conta è l’aspirare a saldare il debito con la Vita, ben sapendo che quel debito non sarà mai sanabile perchè non c’è meta, ma solo il passo. la Terra è sempre solo promessa.

Ma è “quel passo” che non si può rimandare a domani, è qui e ora la possibilità di salvezza e di Speranza, questa goethiana stella cadente che alcuni neuroscienziati considerano una medicina che può vincere ogni malattia, ben lontana da buonismi o sterili ottimismi. Come scrive Raimon Panikkar: la Speranza vive dell’invisibile “.

Speranza come Fiducia nella forza energetica del Mistero – di cui siamo parte costitutiva – che la psichiatria conosce, perchè conosce l’interiorità di chi sta male ed è questo il fondo e l’orizzonte della letteratura e della poesia. Di quella Parola che cura.

L’attenzione è una preghiera alle parole che diciamo e che ascoltiamo – scrive Simon Weil -. Parole che s’insinuano nelle labirintiche difese che l’essere umano  edifica, parole che poco a poco aprono i cuori alla Speranza, parole che ridanno il loro giusto posto alla dignità e alla libertà, insegnandoci cose che la normale vita quotidiana non conosceva così laceranti .

” …ciò che nei tuoi versi risuonava – sono parole che Lou Salomè scrive a Rilke, lei come analista leggeva le poesie di Rilke ai suoi pazienti – giungeva fino a loro esclusivamente in virtù di quella medesima profondità  in cui dimorano, l’uno accanto all’altro, coloro che sono toccati dalla grazia, e coloro che per malattia ne furono privati, sicchè i tuoi suoni sono percepiti come quelli della patria di cui poi spalancano le porte: perchè paradiso e inferno non sono assolutamente due luoghi distinti.”

 

 

 

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