Pasquino su Bobbio, Sartori e l’Italia d’oggi

Giovedì 6 giugno ultimo scorso, presso l’Associazione Cultura e Sviluppo di Alessandria, ha avuto luogo una notevole conferenza dibattito, tenuta da Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza Politica dell’Università di Bologna e sicuramente maggior politologo italiano vivente. Éstato presentato, in modo puntuale e problematico, dal professor Giorgio Barberis dell’Università Piemonte Orientale. Pasquino presentava pure il suo ultimo libro: “Bobbio e Sartori. Capire e cambiare la politica”, Bocconi Editore, Milano, 2019, pagg. 221, E. 24. Allievo e poi coautore rispetto a Bobbio, collega di entrambi i due grandi studiosi in Senato negli ultimi anni della cosiddetta prima Repubblica, Pasquino con questo libro ha certo dato un contributo di prim’ordine, sia come studioso di politologia che come testimone del tempo. Édavvero un lavoro tutto da leggere e meditare. Ma la presentazione del libro all’ACSAL è stata anche l’occasione per una profonda riflessione politologica sull’Italia dal 1994 ad oggi, con particolare riferimento all’”era” di Salvini.

La diagnosi di Pasquino, nell’insieme, è risultata amara. Anche se non proprio a tinte fosche. La gioventù e i cittadini seguitano a confrontarsi in liberi conversari anche politici, pure nell’epoca dei telefonini. E il mondo dei robot che soppianta l’uomo, crea pure nuove opportunità di lavoro. Il mondo della globalizzazione è pieno di drammi, ma non tutti irrisolti o irrisolvibili. Si tratta di un mondo malato, ma non moribondo. Solo che alla malattia, da non sottovalutare, ma non mortale, dei grandi paesi dell’Unione Europea, noi italiani aggiungiamo una grave malattia tutta nostra: una grave crisi nella crisi.

Il punto chiave sembra essere il seguente. In altri grandi paesi del mondo avanzato, le due grandi culture – più altre minoritarie – che hanno riempito il XX secolo dal 1945 in poi, quella democristiana e quella socialdemocratica, pur ammaccate sono rimaste egemoni: con apporti nuovi di tipo liberale e soprattutto verde. Invece da noi le grandi culture politiche, che poi sono la condicio sine qua non delle aggregazioni politiche (partiti o movimenti politici equivalenti), sono o morte, o moribonde, o in una crisi mortale. L’implicito di tutto il discorso di Pasquino è che si tratti di farle rifiorire su basi più o meno rinnovate, perché senza grandi culture politiche più o meno condivise, e connesse aggregazioni, si può solo decadere. Tuttavia Pasquino non spinge il suo “gramsciano” pessimismo dell’intelligenza e ottimismo della volontà sino al catastrofismo. Nel nostro sistema la democrazia non gli pare a rischio, per quanto estenuata: risultando ciclicamente salvata, e salvabile, dal peso (o contrappeso) che nel nostro ordinamento costituzionale, e fattuale, ha il Presidente della Repubblica, quasi un convitato di pietra o custode della Costituzione, come si è visto sia sotto Napolitano (e prima ancora Scalfaro) che sotto Mattarella (in cui Pasquino ha molta fiducia). Inoltre egli pensa che il condizionamento positivo dell’Unione Europea agisca come forza di bilanciamento contro nuove follie. Certo la destra populista incombe, ma per quanto sia detestabile il diavolo forse non gli pare brutto quanto lo si dipinge. Salvini dilaga, ma sembrerebbe essere una fase – per quanto per ogni progressista infausta – della lunga storia un poco zoppicante della nostra democrazia. Guardiamo avanti con preoccupazione, ma senza fasciarci la testa prima che ce la rompano. Tanto più che a quanto pare nessuno si appresta o è in grado di farlo.

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