Piano piano…tutti i nodi vengono al pettine.

Che i  cambiamenti climatici in corso fossero un fenomeno da segnalare, da monitorare, da studiare…nessuno lo ha mai negato… Diverso è  l’atteggiamento quando bisogna correre ai ripari. Già alla fine degli anni Ottanta dello scorso secolo in avventurose lezioni di Educazione Ambientale, piacevolmente ascoltate come si fa per una canzone di Mina, mi capitò di verificare la scarsa attenzione al problema. Non che ci fosse rifiuto o avversione, semplicemente veniva “ascoltato” come uno dei tanti messaggi, che passano e se ne vanno (con l’esperienza scolastica e con gli anni…). Invece non è stato così.

Ho sottomano, tanto per fare un esempio preso proprio fra le cianfrusaglie di quegli anni,  una “videocassetta”  prodotta da “Italstudio” Roma per la RAI, finanziata dall’allora “Fondazione San Paolo di Torino”. Il titolo : “Atmosfera”, il contenuto riguarda la conformazione dell’atmosfera e la sua delicatezza. Si tratta di un VHS di 52 minuti  a firma Piero Angela e Lorenzo Pinna. Di Piero Angela, non scrivo nulla di più di quanto già si sa, invece occorre aggiungere qualcosa sul prof. Pinna. Approfondito cultore di discipline scientifiche nonche’ ottimo divulgatore, classe 1950 (1), teorico della “oggettività dei fatti” e della necessità di saper interpretare i segni del mondo naturale . Il sottotitolo del VHS in questione  riporta la dicitura “Così fragile, così sottile” e, si badi, siamo a fine anni Ottanta nella retrograda Italia, quando di queste cose negli States o in Germania si parlava da tempo. E, comunque, se ne discuteva già, anche nella piccina Italia nei mitici Ottanta…

Nel filmato viene riproposto il programma “Atmosfera” andato in onda su RAI Uno il 19 gennaio 1989 in occasione della Conferenza Mondiale organizzata dalla fondazione San Paolo di Torino. Simposio che ebbe luogo tra il 16 e il 18 gennaio dello stesso anno, all’interno di un evento con il significativo titolo di “Atmosfera, Clima, Uomo”. In quella sede (già allora…e a Torino) scienziati di tutto il mondo esposero i risultati dei loro studi sui (sic “gravi problemi dell’effetto serra, dell’assottigliamento dello strato di ozono e delle piogge acide” analizzando le prospettive future e (udite…udite…) “i possibili rimedi”. Interessante quanto riportato nel retro della confezione. “La trasmissione, effettuata in diretta da Torino alla presenza di un vasto pubblico, prende spunto dalle conclusioni del convegno e, sulla base di queste, illustra con chiarezza, attraverso filmati, animazioni e interviste agli stessi partecipanti della Conferenza di Torino, come avviene l’assottigliamento dello strato di ozono stratosferico, quali sono le cause e gli effetti delle piogge acide e dell’effetto serra e le possibili conseguenze sul clima terrestre. Vengono inoltre analizzate e discusse, con l’intervento del pubblico presente, le possibili strategie di intervento per affrontare questi gravi e difficili problemi. “ Sarebbe bello capire cosa successe dopo… se è stato fatto tesoro dei contenuti della Conferenza ma, temo, si sia trattato della solita passerella con ascolto, tipo Mina, …e “sciacquatura” finale.

Il preambolo solo per ricordare, ma lo sapevate già, che di queste cose si parla da tempo e, perciò non fa molta notizia quanto pubblicato per l’ennesima volta dalla autorevole “Nature” 2).  Vi si afferma che i fenomeni estremi “potrebbero essere più probabili di quanto si pensasse, avere impatti elevati con interconnessioni – anche impreviste –  su diversi sistemi biofisici” con la conseguenza di poter avere cambiamenti irreversibili a lungo termine. Salta agli occhi la considerazione secondo la quale il gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici (IPCC) ha di fatto ribaltato l’idea dominante fino a due decenni fa.  A inizio terzo millennio, le “discontinuità su larga scala” nel sistema climatico erano considerate probabili solo se il riscaldamento globale superava i 5 ° rispetto ai livelli preindustriali. Le informazioni riassunte nei due più recenti Rapporti speciali IPCC (pubblicati nel 2018 e nel settembre di quest’anno) (3) e (4) suggeriscono che i punti di ribaltamento potrebbero essere superati anche tra 1 e 2 ° C di riscaldamento . Ricordo che “punto di ribaltamento” è considerata quella particolare condizione di rovesciamento completo e parziale che porta a cambi sostanziali negli equilibri mondiali.  E questo in presenza di un forte ritardo dei vari Stati del mondo rispetto a quanto suggerito dalle disposizioni finali della conferenza di Parigi del 2015. Lo studio mette in mostra  che diversi punti di non ritorno della criosfera sono pericolosamente vicini, anche se la mitigazione delle emissioni di gas a effetto serra potrebbe  rallentare l’inevitabile accumulo di situazioni in emergenza,  favorendo condizioni di resilienza. Ma la durezza dei numeri è impietosa.

La velocità di fusione, per esempio,  dipende dall’entità del riscaldamento al di sopra del punto di ribaltamento.  A 1,5 ° C, potrebbero essere necessari 10.000 anni per avverarsi, cioè per avere condizioni completamente ed ivariabilmente danneggiate; addirittura sopra i 2 ° C potrebbero essere sufficienti meno di 1.000 anni. E mille anni, nell’immaginario orologio che scandisce i tempi della Terra, sono un soffio. Ammettono, sempre i nostri scienziati rilanciati dalla rivista Nature,  che servono  più dati  per stabilire se le calotte glaciali stanno raggiungendo un punto di non ritorno e. per questo motivo,  richiedono modelli migliori da “incrociare” con i dati passati e presenti.  La ricerca dell’anno scorso (5) ha analizzato 30 tipi di cambiamenti di regime che interessano il clima fisico e i sistemi ecologici, dal crollo della calotta glaciale dell’Antartico occidentale al passaggio dalla foresta pluviale alla savana. Ciò ha indicato che il superamento dei punti di ribaltamento in un sistema può aumentare il rischio di innescarne  altri. Tali collegamenti sono stati trovati per il 45% delle possibili interazioni (6).

Secondo Lenton e gli altri studiosi, le situazioni da analizzare in vista di un possibile intervento, sono molte. Tra queste, la perdita di ghiaccio marino nell’Artico che sta amplificando il riscaldamento regionale e, più in generale , quello di tutto l’ Artico; altro segnale, lo scioglimento della copertura ghiacciata della Groenlandia che sta rilasciando un flusso di acqua dolce nel Nord Atlantico. Questo fenomeno ha già contribuito  a partire dalla metà del XX secolo (secondo l’Atlantic Meridional Overturning Circulation (AMOC)), ad una diminuzione del trasporto globale di calore e sale dall’oceano. Il rapido scioglimento della calotta glaciale della Groenlandia e l’ulteriore rallentamento dell’AMOC  potrebbero destabilizzare il monsone dell’Africa occidentale, innescando ulteriore siccità nella regione africana del Sahel. Un rallentamento dell’AMOC potrebbe anche asciugare l’Amazzonia, interrompere il monsone dell’Asia orientale e causare l’accumulo di calore nell’Oceano Antartico, con conseguente perdita di ulteriore ghiaccio in milioni di tonnellate.

Interessante sotto questo punto di vista, una analisi paleoecologica della situazione, specie rispetto ai c.d. “ribaltamenti globali” . Si tratta di eventi particolari,  verificatisi dall’inizio dell’era glaciale 2,6 milioni di anni fa e con un periodo di latenza di circa un milione di anni fa, che i modelli sono solo in grado di simulare. Il ribaltamento regionale si è verificato ripetutamente anche alla fine dell’ultima era glaciale, tra 80.000 e 10.000 anni fa (gli eventi di Dansgaard – Oeschger e Heinrich).  Pur trattandosi di fenomeni non direttamente confrontabili con il  periodo interglaciale che stiamo vivendo, evidenzia che il sistema terrestre è stato instabile “ su più scale temporali “ ,  con variazioni di volta in volta dovute a eruzioni, a piccole variazioni dell’asse terrestre, ad inversione dei poli magnetici.  In questi ultimi duecento anni, però, stiamo sperimentando una situazione nuova. Il riscaldamento globale, gli scarti da idrocarburi, le variazioni di oceani e atmosfera , stanno intaccando fortemente il sistema, con  concentrazioni di CO2 atmosferica e con aumenti di temperatura  che sono un ordine di grandezza superiore a quelli registrati durante la deglaciazione più recente.

La CO2 atmosferica è già ai livelli osservati l’ultima volta circa quattro milioni di anni fa, nell’epoca pliocenica. Ci si sta rapidamente dirigendo verso livelli visti l’ultima volta , addirittura,  circa 50 milioni di anni fa – nell’Eocene – quando le temperature erano fino a 14 ° C più alte di quanto non fossero in epoca preindustriale (7) . È difficile per i modelli climatici simulare tali stati terrestri del passato , con effetti  serra diversi dagli attuali. Alcuni primi risultati degli ultimi modelli climatici – pubblicati per il sesto rapporto di valutazione dell’IPCC, previsto per il 2021 – indicano una sensibilità climatica più ampia (definita come la risposta della temperatura al raddoppio della CO2 atmosferica) rispetto ai modelli precedenti.  E “sensibilità climatica” è un eufemismo gentile per dire più uragani, più siccità improvvisa, maggiori estremi negli eventi climatici.

Per affrontare questi problemi, abbiamo bisogno di modelli che catturino una suite più ricca di accoppiamenti e feedback nel sistema Terra, e abbiamo bisogno di più dati – presenti e passati – e modi migliori per usarli. Perfezionare la capacità dei modelli di catturare i noti cambiamenti climatici improvvisi passati e gli stati climatici di “serra” dovrebbe aumentare la capacità di previsione degli stessi. Alcuni scienziati ribattono che la possibilità di ribaltamento globale rimane altamente speculativa.  Ma i dati parlano chiaro e, se non ci sarà una immediata inversione di tendenza, le condizioni per un riequilibrio saranno sempre più difficili. Il finale dell’articolo di Nature, sotto questo profilo, è preoccupante e – purtroppo – senza seguito:  “Dobbiamo cambiare il nostro approccio al problema climatico”. Sempre lo stesso articolo si permette anche una ironia finale che volentieri riporto e che ci può servire come viatico… “E, infine, dopo non aver risolto nulla nelle precedenti COP internazionali, alla COP50 del 2054 si arriverà a questa frase finale che tutti sottoscriveranno: interverremo sulle fonti energetiche fossili in modo radiale e completo, passando a rinnovabili vere, con il 2080 energy project… Ora siamo in difficoltà ma stiamo mettendo le premesse per un cambiamento radicale entro trent’anni”. Sempre…a partire da ora….e sempre più in là nel tempo.   Non si tratta di un buon segnale.

  1. Autore di “Intelligenza artificiale. Nel futuro c’è ancora posto per noi?- Cento Autori – 2018 . “Autoritratto dell’immondizia. Come la civiltà è stata condizionata dai rifiuti” (brossura) – Bollati Boringhieri – 2011 . “Dentro la terra” – Idea Libri – 1997 . “Il cosmo” – Idea Libri – 1997 . “L’ atmosfera: istruzioni per l’uso ” con Piero Angela,  – Mondadori – 1996 . “La sfida del secolo. Energia. 200 domande sul futuro dei nostri figli” – Mondadori – 2008
  1. Lenton, T. M. et al. Natl Acad. Sci. USA 105, 1786–1793 (2008).  https://www.nature.com/articles/d41586-019-03595-0
  2. Global Warming of 1.5°C (IPCC, 2018).
  3. IPCC Special Report on the Ocean and Cryosphere in a Changing Climate (IPCC, 2019).
  4. Cai, Y., Lenton, T. M., & Lontzek, T. S. Nature Clim. Change 6, 520–525 (2016).
  5. Feldmann, J. & Levermann, A.  Natl Acad. Sci. USA 112, 14191–14196 (2015).
  6. Aschwanden, A. et al. Adv. 5, eaav 9396 (2019).

 

Commenta per primo

Lascia un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*