“Primavera”

Primavera è un nome evocativo: cieli tersi, tagli di luce, profumi inebrianti e fu proprio “Primavera” il nome d’arte da lei scelto per esercitare il mestiere più antico del mondo. Primavera … come una nuova stagione della vita a celebrare la sua rinascita dallo squallore dei vicoli dell’angiporto, dalle vite sfinite senza speranza, dalla brutalità di uomini incattiviti anche nell’amore se dovevano cercarlo in pochi attimi a pagamento. Avrebbe deciso lei il come, il quando e il quanto.

Era cresciuta per strada, fuori dalla miseria di due stanze senza luce, figlia per caso di corpi consunti. Del padre, mai più tornato dalla Campagna di Libia, non si ricordava mentre la madre con lei sopravviveva facendo piccoli lavori per le prostitute del vicolo, e siccome nessuno le badava aveva imparato presto a badare a se stessa.

Il rifugio preferito era il piccolo negozio del trippaio che fin dall’alba ribolliva di odori d’un brodo dove inzuppare un tozzo di pane. Dal suo angolo osservava come andava il mondo con il dono d’una scodella calda tra le mani. Qualcuno le rivolgeva parole che sentiva scivolare addosso come un fastidio, quasi intuisse per istinto i caratteri delle persone.

Cliente abituale era “il Professore” un signore anziano dai modi garbati così detto per il tempo trascorso nella lettura. Entrambi erano accomunati da una solitudine inconsapevole per l’una ma dolorosamente vissuta per l’altro, finché la bambina curiosa s’era avvicinata come uno scoiattolo per capire il mistero custodito nelle parole di carta.

Da quel momento, ogni giorno, le insegnava a leggere, a contare e a condividere il tempo con un adulto che si occupasse di lei come nessuno prima d’allora. E fu proprio quella scuola a dotarla d’uno strumento capace di affrontare un futuro da autodidatta per saperne sempre di più. Osservava, rifletteva, elaborava.

La vita del vicolo era la norma d’una realtà che la faceva crescere in fretta col desiderio d’uscirne: troppo piccola per sapere cosa volere aveva già chiaro cosa non volere. Non la vita miserevole di sua madre e nemmeno di quelle donne sudate e disfatte davanti ai loro tuguri in attesa di clienti. Marinai, soldati, fascisti, tedeschi, americani … cambiava la divisa ma dentro solo uomini resi uguali dalla stessa turpitudine.

Per tutti ogni anno arrivava la primavera, anche per lei che vedeva solo una striscia di cielo là in alto sopra i palazzi fatiscenti, abbracciati stretti come per sostenersi. Erano la luce di un azzurro intenso e il vento dall’odore salmastro a raccontarle la nuova stagione e la presenza del mare che pur così vicino nessuno le aveva mai fatto vedere. Un giorno sarebbe scappata a respirare l’aria della vita a qualunque costo, fuori dal vicolo.

La città si era già liberata quando arrivarono gli Alleati. Era come se un vortice sollevasse le persone da un peso opprimente e senza fine, con la fretta di dimenticare. Primavera … la più bella primavera di cui avere memoria anche per lei che se n’era andata con la sola ricchezza dei quindici anni e di una bellezza bionda da far pensare a un miracolo. Aveva ben chiaro cosa ne avrebbe fatto. La scuola del vicolo le aveva insegnato la violenza di vite sciagurate, il pericolo da cui guardarsi ma anche una visione dell’umanità alla quale mai avrebbe voluto assomigliare. Se l’unica possibilità per esistere era vendersi, lo avrebbe fatto con discernimento togliendosi in fretta da quella strada per uscirne ancora intatta.

Si mormorava di una “casa” di lusso, che aveva resistito a tutte le intemperie, apprezzata per discrezione e abitualmente frequentata da ricchi d’ogni specie e potenti di passaggio. La modestia dell’abito faceva risaltare la freschezza della ragazzina dalla pelle candida e dagli occhi cangianti quando aveva suonato alla porta chiedendo della “Signora”.”

“Mi chiamo Primavera…” le rispose, mentre un lampo di consapevolezza nello sguardo aveva fatto intendere di che pasta era fatta.

Giunta fin lì miracolosamente integra avrebbe venduto a caro prezzo la sua verginità più d’una volta per divenire in seguito una ricercata professionista.

Sapeva intrattenere e ascoltare e per questo era contesa, quasi che l’illusione d’una comunicazione condivisa rendesse il sesso meno significante della comprensione, anche se generosamente pagata.

Tutto era stato previsto: quando le “primavere” cominciarono a lasciarle qualche segno decise di ritirarsi in un tranquillo paese di collina, per riaprire l’attività in proprio. Nello scendere dalla corriera, con un abito fiorito come il cappello e i guanti di pizzo a reggere la valigia, pareva davvero “La Primavera”, anzi Laprimavera tutt’attaccato, come fu per tutti e per sempre.

Si era provvisoriamente stabilita in un albergo dove, sola donna, frequentava il bar e il ristorante: si supponeva, si mormorava, ma nessuno poteva attribuirle alcunché fino a quando riuscì ad acquistare una villetta nascosta alla vista da un giardino ombreggiato. In quei primi mesi di sospensione si era guardata intorno, aveva soppesato chi accettare e chi scartare. Pur mandando segnali a chi sapeva intendere, nessuno si era permesso di mancarle di rispetto e il passaparola sussurrato aveva fatto il resto. Una clientela stabile, sicura, sulla quale contare.

In tarda mattinata era solita attraversare la via principale del paese, sempre elegante e sorridente ai cenni di saluto delle donne che vedevano in lei un riscatto per essersi conquistata indipendenza e considerazione nonostante tutto, riconoscendole un ruolo sociale. Non c’era luogo dove non fosse accolta benevolmente ma era dalla parrucchiera che si riunivano dei veri e propri salotti delle mogli dove Laprimavera era in parte maestra di vita e in parte motivo di serenità familiare per il sollievo gradito ad entrambi i coniugi, l’una liberata dal dovere senza piacere, l’altro appagato dal piacere preso altrove.

Così nel tempo la sua figura di benefattrice aveva a buon diritto consolidato un posto nella graduatoria dei ruoli a pari merito con la levatrice, preceduta dal medico condotto, dal farmacista e dalla maestra … ma prima del Sindaco, soggetto all’instabilità elettorale.

Come avviene per le stagioni che si alternano e si rinnovano, così il tempo della Primavera ebbe fine con la stessa discrezione con cui iniziò. La sua passeggiata mattutina s’interruppe d’un tratto, per lasciare in alcuni un bel ricordo e forse un rimpianto.

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