Quegli alessandrini “eroici”fedeli a Papa e portafogli

Appunti da un vecchio libro per scavare nella storia della città

Le “ufficiali”storie di Alessandria che ritengono la città fondata da Papa Alessandro III e dalla Lega Lombarda e la descrivono militarmente pia all’uso della Spagna franchista, solita distribuire i suoi sogni tra l’eroico agire ed esemplari virtù, ci sono sempre sembrate più consone alla casta prassi dell’ordine dei Templari che alla fama degli alessandrini abitanti, un tempo giustamente noti a mezza Italia per il commercio dei cavalli rubati oltre ad essere abili in ogni genere di azione purchè di accertata illegalità. A dare ulteriore corpo a questi nostri personali dubbi è il ritrovamento di un interessante libro dal titolo “Le vicende militari della città di Alessandria dal 1168 al 1878” edito nel 1929 e scritto da tre generali del Genio del Regio esercito piemontese. In questo piccolo trattato vengono narrate le vicende della città senza rifarsi troppo agli slogan e agli inserti pubblicitari dei guelfi e della Controriforma, ed in seguito dai Savoia, troppo ampiamente utilizzati da altri autori. Tra l’altro vi si legge  che la città nasce a cavallo del Tanaro, nelle poche zone emerse di un ampio acquitrino formato dall’impaludarsi della confluenza con il Bormida, che allora sboccava in Tanaro ove oggi c’è il rione Orti; si chiamava Rovereto ed era un munito Castello che dominava l’unico guado, ed in seguito un ponte di legno,nonché il transito via acqua delle merci. Il suo borgo, di una certa rilevanza, posto al di là del fiume, ove oggi sorge la Cittadella, era detto, con scarsa fantasia, appunto Borgoglio. “Rovereto” era già sede di Corte Reale nel 700 d.C. e quindi molto prima della data della fondazione ufficiale della città. Nel tempo venne rafforzato dai vicini borghi di Marengo, Gamondio, Villa del foro, Oviglio, Solero, Felizzano e Quargnento per difendersi dalle scorrerie del rivale e rapace Marchese del Monferrato, alleato dell’Impero. Proprio in funzione anti-Monferrato, Rovereto entra a far parte della Lega Lombarda, ricevendone mezzi per comperare armi e costruire fortificazioni. Cambia il proprio nome in “Alessandria”, a dimostrazione di imperitura fedeltà verso i nuovi alleati. Dopo due assedi del Barbarossa, peraltro di limitata importanza (il primo a causa di un’ inondazione autunnale del Bormida ed il secondo, a quanto narrano gli storici tedeschi, della malaria), Alessandria, raggiunto il segreto scopo di rafforzarsi, prende subito le distanza dalla Lega Lombarda e non partecipa nemmeno alla determinante battaglia di Legnano in cui fu sconfitto il Barbarossa. In compenso nel 1215 approfitta dell’indebolimento dell’Impero per balzare addosso all’odiato Marchese del Monferrato, saccheggiarne i territori e conquistare Casale, messa a ferro e fuoco. Del sacco di Casale  gli alessandrini furono così orgogliosi che ancora oggi si conserva come trofeo, in cima all’orologio del palazzo comunale, il ”gallo” in metallo preso nell’occasione. Raggiunto l’obiettivo Alessandria ribalta l’alleanza e si allea all’Impero contro la Lega Lombarda, cambiando un’altra volta nome. Diviene così “Cesarea”in onore dell’Imperatore, salvo poi cambiare nuovamente bandiera e nome 17 anni dopo e riprendere le vecchie alleanze e tornare a chiamarsi “Alessandria”. Nel frattempo si libera dei nobili più turbolenti mandandoli alla crociata di Clemente III. Intanto amplia le mura a spese degli abitanti dell’Orba, assoggettati in quel periodo. Proseguendo la sua politica di espansione continua a firmare, e non mantenere, trattati con tutti e contro tutti, alleandosi e combattendo alternativamente con Genova, Asti, Milano, il Papato e l’Impero. A parte alcune guerre, assedi, congiure, saccheggi, pestilenze, lotte civili, inondazioni, invasioni di eserciti di passaggio ed altri trascurabili eventi similari, il tempo trascorre sereno e le cose vanno così bene che gli alessandrini nel 1445 costruiscono il primo ponte coperto sul Tanaro e allargano il porto fluviale con argini e moli in muratura; è il collegamento via acqua con Pavia, Venezia e quindi l’Oriente, in concorrenza con la nemica Genova. Altra vicenda interessante riguarda il passaggio della città ai Savoia, solitamente narratoci come evento gradito, con gli alessandrini entusiasti del re al pari dell’Enrico del libro Cuore. In realtà gli alessandrini avevano molto più di Franti che di Enrico e per anni la nostra storia fu assai simile a quella attuale dei palestinesi con Israele. Nel 1706, quando Alessandria venne ceduta con un trattato al Piemonte, i suoi cittadini si ribellarono in blocco. Per prenderne possesso, i Savoia la dovettero assediare. Solo l’8 marzo 1707 la città si arrende, ma non si quieta. Dopo vent’anni di continue rivolte, Vittorio Amedeo, nel 1728, ordina la demolizione del sobborgo di Bergoglio, principale covo di sediziosi, per costruire al suo posto una Cittadella. Ad un tempo si libera così di un nucleo urbano infido, disperdendone gli abitanti nel contado e crea un baluardo ai confini dello Stato. Da questo momento comincia il destino militare della città, limitata nei suoi tradizionali traffici verso Milano e Venezia, mentre la sua antica nobiltà, frustrata ed impoverita, si avvia al declino ed il suo popolo, un tempo fin troppo fiero e battagliero, si trasforma in una plebe di portatori di terra per i bastioni, in continua espansione per oltre un secolo e mezzo, e di lavandaie e vivandiere per l’Armata. L’ultimo tentativo di ribellione avviene durante l’assedio del 1745. La cittadinanza non solo non partecipa minimamente alla difesa, ma costringe l’esercito piemontese a rinchiudersi nella Cittadella, dopo aver fatto saltare il ponte sul Tanaro. Dopodichè il Consiglio al gran completo, Sindaco e Vescovo in testa, consegna solennemente le chiavi della città agli spagnoli, visti come liberatori. Altre vicende ancora sono narrate in questo libro, che sarebbe interessante vedere ripubblicato.

(*) Aydin (GUIDO MANZONE) . Colui che è sempre con noi e che continua ad ispirarci…

LA STAMPA 8/1/1989

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