Referendum. Non siano propaganda populista

È stato pubblicato il rapporto biennale della Commissione europea per l’efficienza della giustizia del Consiglio d’Europa (CEPEJ): l’edizione 2020 riporta la valutazione dell’organismo europeo sui dati rilevati alla fine del 2018, in relazione al precedente rapporto contenente i dati aggiornati al 2016.

Quale miglior viatico per addentrarci con qualche dato in più nel ginepraio dei sistemi di giustizia (e per capire meglio alcuni contenuti referendari).  Le considerazioni contenute nel rapporto non possono, però,  tenere conto dell’incidenza avuta dalle riforme intervenute nell’ultimo biennio sul sistema della giustizia italiana (dato di per sé importante, visto che le informazioni di Germania e Francia rispetto agli stessi parametri già comparati, non vanno oltre un tempo di approfondimento di sei mesi). Vi è comunque un miglioramento dell’efficienza nel settore civile nel suo complesso – aggregando procedimenti contenziosi e non contenziosi – e l’impulso dato all’informatizzazione del sistema giudiziario. Fattori che rappresentano  gli aspetti più positivi nel giudizio europeo. Nell’ambito della giustizia civile il progresso più sensibile si registra nella durata stimata dei procedimenti non contenziosi di primo grado, comprendenti la volontaria giurisdizione (separazioni e divorzi consensuali) e i procedimenti speciali e sommari (decreti ingiuntivi, procedure esecutive e concorsuali): si passa dai 250 giorni del 2016 ai 231 del 2018, con un miglioramento dell’8%. Ancor più evidente il miglioramento nei procedimenti contenziosi d’appello, che passano da 993 giorni del 2016 a 863 del 2018, con una diminuzione del 13%. Questo a livello generale europeo. Sempre secondo la CEPEJ.  Il sistema civile italiano conferma i suoi progressi in una valutazione complessiva, nonostante il leggero aumento della durata stimata nei procedimenti contenziosi in primo grado e nei procedimenti non contenziosi in fase d’appello. Ugualmente positiva la situazione della giustizia amministrativa, che denota un miglioramento del 4% nei tempi stimati dei processi: nel complesso l’Italia si conferma tra i Paesi europei ad elevato rapporto positivo tra procedimenti definiti e procedimenti iscritti in un dato anno, con la conseguente erosione delle pendenze. L’andamento delle rilevazioni in sede nazionale denota anche un aumento delle mediazioni in materia civile e commerciale e un incremento nella percentuale degli accordi raggiunti in questo settore.

I dati positivi riguardano anche la qualità del servizio, basato sull’accessibilità del sistema giudiziario, sulla disponibilità di risorse finanziarie e umane e sul processo di digitalizzazione: sotto questi aspetti il rapporto CEPEJ evidenzia un miglioramento della situazione nel 2018 rispetto alla precedente rilevazione relativa al 2016. Una maggior efficienza (dal livello di analisi europea)  è invece richiesta nel settore penale, nonostante il miglioramento dei dati registrati nelle fasi successive al primo grado, sia riguardo ai procedimenti d’appello davanti agli organi giudicanti sia ai giudizi di legittimità. La durata dei procedimenti penali di primo grado passa infatti dai 310 giorni del 2016 ai 361 del 2018, con un peggioramento del 17%: anche se il rapporto mette comunque in evidenza un progresso rispetto all’edizione contenente i dati del 2014. Per quanto riguarda il secondo grado, rispetto al 2016 l’Italia fa registrare una diminuzione della durata stimata dei procedimenti penali  che passa da 876 a 851 giorni, con un calo del 3%. Riduzione dei tempi anche per quel che concerne il terzo grado di giudizio: il dato che riguarda il nostro Paese fa segnare un passaggio da 191 a 156 giorni, con una diminuzione pari al 18%.

Ma quanto si spende per una “giustizia giusta”?

Anche questo un argomento perennemente presente negli approfondimenti di Commissione con un evidente legame, almeno per la funzione informativa, sulla formulazione dei referendum prossimi.

In sintesi, secondo il CEPEJ 2020 si è verificato  un leggero aumento  di spesa per abitante tra il 2010 e il 2016. Infatti  gli stati europei spendono in media 72 euro pro capite all’anno per l’ordinamento (ovvero 8 euro in più rispetto al 2016).

Il 65% dei budget è destinato ai tribunali (che hanno visto l’aumento più elevato, con il 13% tra il 2016 e il 2018), il 24% alle autorità di pubblica sicurezza e l’11% al patrocinio a spese dello Stato. Nonostante questo aumento di appannaggio si mette in evidenza una crescente tendenza all’esternalizzazione di alcuni servizi.

Inoltre, ma non si tratta di una novità, gli Stati meno ricchi spendono proporzionalmente di più per le loro autorità giudiziarie, mentre i Paesi più ricchi investono di più in assistenza legale;   quasi tutti i paesi hanno messo in atto un meccanismo di assistenza legale per le cause penali e non per garantire a tutti l’accesso alla giustizia, in conformità con i requisiti della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e la giurisprudenza della Corte.

 Cosa succederà il 12 giugno (per i 5 referendum) ?

La decisione di accorpare nella stessa giornata il voto referendario con il voto amministrativo in molti comuni è stata una scelta sbagliata perché distoglie l’interesse dei cittadini e dell’opinione dal tema delicatissimo che propongono, lasciandoli alla propaganda populista. Questa scelta è stata contestata tra gli altri dal Coordinamento per la Democrazia Costituzionale che, in aggiunta, ha promosso un Comitato per il No ai referendum sulla giustizia promossi dalla Lega e dai Radicali e sostenuti da Forza Italia, Italia Viva, Azione e, ma solo parzialmente, da Fratelli d’Italia; contrati il M5s e il Pd (che però lascia libertà di voto).

Si tratta di quesiti malposti, di difficile comprensione per la maggioranza dei cittadini e fuorvianti, anche rispetto agli obiettivi che si erano prefissati. Alcune delle questioni trattate sono correttamente in esame al Parlamento, altre parti rientrano nella c.d. “Riforma Cartabia”  e, comunque, mostrano una diffidenza incomprensibile nei confronti della legalità in generale e della capacità della Magistratura ad assicurare i diritti del cittadino.

Si tratta di una mentalità che ci riporta agli albori di Forza Italia, in sintonia con il peggiore lascito del berlusconismo, sorto anche con l’obiettivo di piegare la giustizia a interessi particolari e al potere politico (una deriva che ha avuto successo nell’Ungheria di Orbán e che è stata fin qui ostacolata in Italia). Infine, i quesiti referendari sono controversi per i contenuti.

Il quesito sulle modalità di presentazione delle candidature dei magistrati per le elezioni del Csm e quello sulla partecipazione dei membri laici (avvocati e professori universitari) alla redazione delle “pagelle” professionali dei magistrati sono a dir poco controversi – sponsorizzano una proposta tecno-burocratica di valutazione delle performance dei magistrati tra l’altro inserita nella riforma Cartabia, che è stata giudicata molto severamente dai magistrati, non solo per le difficoltà tecniche di attuazione, ma soprattutto perché contiene un messaggio punitivo e può tradursi in una pratica di conformismo per quieto vivere.

Non migliore è il quesito sulla revisione delle carriere tra Pubblici ministeri e giudici che avrebbe l’effetto di allontanare il Pubblico Ministero dalla cultura della giurisdizione, “schiacciandolo su un’attività di polizia”, si legge nel documento per il Comitato per il No. Questo fu uno dei tradizionali cavalli di battaglia del berlusconismo. (1)

Circa il quesito sulla custodia cautelare, esso è ingannevole in quanto si riferisce a tutte le misure, ovvero sia coercitive che interdittive; ma, esclusi i delitti di mafia e quelli commessi con l’uso delle armi, “l’effetto sarebbe quello di impedire la custodia cautelare non solo per chi ha commesso reati gravi, ma anche l’allontanamento dalla casa familiare del coniuge violento o il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona vittima di atti persecutori” si legge nel documento del Comitato per il No.

Decisamente pessimo è infine il quesito per l’abrogazione della legge Severino, una proposta che va nella direzione di proteggere i corrotti – a questo condurrebbe l’abrogazione della disciplina riguardante la decadenza e l’incandidabilità degli eletti condannati con sentenza definitiva a una pena superiore a due anni.

Difeso nel nome dell’esigenza di evitare la sospensione di sindaci ed amministratori locali condannati con sentenza non definitiva, il quesito riguarda anche la decadenza e l’incandidabilità dei parlamentari condannati con sentenza definitiva a una pena superiore a due anni di reclusione (il caso Berlusconi). (1)

Insomma si tratta di un ritorno al passato velato da motivi di operatività e praticità tecnico giuridica. Ci troveremo parlamentari ricandidabili anche se con condanne pendenti e una maggiore predisposizione del ceto politico a non rispettare , a – semplicemente – saltare procedimento di controllo del proprio operato che, evidentemente , non garbano.

Un brutto segnale assolutamente da contrastare che ci porta a suggerire un corale NO ai cinque referendum, con la  speranza che non riescano nemmeno a raggiungere il “quorum”

….

(1)  Nadia Urbinati. 25 maggio 2022 col titolo: Referendum Giustizia, perché spero che i quesiti siano bocciati . Su Domani.it 

2 Commenti

  1. l’astensione ,a parer mio modesto, in questo caso la ritengo PEGGIORE del non voto. In SVIZZERA i REFERENDUM non prevedono il QUORUM e funzionano, compresa l’ IVA al 7% !!!! Un cordiale saluto al Prof. CAVALCHINI con immutata stima e riconoscenza per il suo costante impegno

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