U.S.A. e getta

Sono nato e cresciuto nel mito americano. Per una parte della mia generazione è stato così.
America tout court, senza bisogno di precisare: Stati Uniti. D’altronde nulla sapevamo del resto del continente americano se non il dettaglio geografico (e per il centro e Sud America neppure quello).
Era una stima incondizionata, che non aveva bisogno di prove. Gli U.S.A. erano la democrazia, la forza, il futuro, la caparbietà verso il successo, il progresso tecnologico e industriale.
Molte decine di migliaia di Italiani partecipavano, per interposta persona, al sogno americano. Tramite lo “zio d’America” che -giunto cola’ all’inizio del secolo scorso senza una lira- si sperava avrebbe lasciato una eredità inaspettata e favolosa.
Prima Anzio e la liberazione del Paese, poi il Piano Marshall, poi la NATO, gli yankee hanno sempre provveduto a noi.
Non c’era bisogno che i loro Presidenti fossero fascinosi ed eroici come Kennedy (salvo il revisionismo successivo); erano comunque i degni rappresentanti di quel popolo generoso, ospitale verso tutte le etnie, multiculturale e che credeva nel libero mercato, senza dazi protezionistici (mi accorgo che molte cose sembrano cambiate).
Naturalmente non sono i Presidenti a forgiare una nazione, che ha trovato una tradizione, una identità prima di loro e che continuerà a cercare un comune sentire dopo di loro. Però il Comandante in capo può dedicarsi a rappresentare tutti i suoi cittadini o può prediligerne una parte.
Trump -che non è un provocatore sprovveduto ma un esperto conoscitore di quella America profonda, individualista, che sembra silenziosa ma non lo è-  ha scelto non solo di parteggiare per i suoi elettori (come è legittimo) ma ha svolto una funzione ulteriore. Si è rivolto a sentimenti estremi, passioni violente, negazionismi convinti, complottismi irriducibili, egoismi intransigenti e libertari per dare loro rappresentanza e per farli sentire uniti in una comunità, per dare loro una legittimità.
Negli Stati Uniti sono sempre esistiti fanatici delle armi, cristiani fondamentalisti, razzisti del sud, antisociali arrabbiati, sovranisti isolazionisti, pionieri “on the road” in cerca di una nuova frontiera ma marciavano ciascuno per conto loro, magari non apprezzandosi reciprocamente. Trump li ha fatti sentire un blocco sociale, un corpo elettorale e – aspetto più importante- ha regalato loro una rispettabilità inattesa. La certificazione di un movimento di destra-destra che ha vita indipendente dal Partito Repubblicano.
È quanto, al contrario, non ha voluto fare Obama a suo tempo con gli afroamericani, gli immigrati, i non garantiti.
Le elezioni americane saranno un referendum pro o contro Trump, personaggio che non riesce mai ad apparire neutrale, che non vuole lasciare indifferenti, che deve sempre stupire.
Volendo riassumere in uno slogan tutti gli smarcamenti, le discontinuità, le provocazioni che il Presidente ci ha offerto in questi anni, potremmo dire che egli si presenta come il campione del politicamente scorretto.
In fondo a Biden -indipendentemente dalla sua volontà- è rimasto da giocare solo il ruolo della persona ragionevole, moderata e di buon senso.
Il Presidente ha trascorso i primi due anni di mandato a montare e smontare il suo staff (decine i collaboratori licenziati), a dimostrazione di quanto sia allergico ai “consigli” e al gioco di squadra. Tant’è che negli ultimi due ha provveduto a governare direttamente e in solitaria, attraverso migliaia di tweet.
Una delle tecniche più consolidate per vincere le campagne elettorali consiste nel individuare un nemico, possibilmente antipatico e impopolare, a cui addebitare tutte le colpe. Trump lo ha trovato nella Cina.
I Cinesi hanno inventato e trasmesso il virus, causato la disoccupazione, rubato i brevetti, fatto concorrenza  sleale, spiato i cittadini indifesi. Loro cercano di comprarsi gli ex alleati storici degli Stati Uniti (noi siamo tra i sospettati).
Per vincere la sua battaglia si è intromesso persino nella trattativa in corso tra Vaticano e Pechino a proposito della nomina dei vescovi. La chiesa cattolica intravede finalmente la possibilità di rivolgersi ad una platea potenziale di un miliardo e mezzo di anime ed egli ha la pretesa di dettarne le regole.
La verità è che Trump ha capito che “l’Occidente” come movimento guida del mondo è finito. Che la geopolitica si è spostata sul Pacifico, che l’Europa non è più centrale (anche se la nuova Commissione UE fa ben sperare), che l’economia sarà sempre più funzionale ai miliardi di consumatori del sud-est asiatico e che la mitica globalizzazione si sta’ trasformando, all’opposto, nella rinascita dei nazionalismi.
Quello di cui non si è reso conto è che gli Stati Uniti non possono più permettersi di essere il gendarme del mondo, che le guerre economiche hanno sostituito le guerre armate e che non ci si può inventare -a tavolino- una nuova guerra fredda solo per vincere le elezioni.
GianlucaVeronesi

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