Un referendum che lentamente comincia a muovere gli schieramenti

Il 29 marzo l’Italia tornerà al voto per il referendum confermativo della riforma sul taglio dei parlamentari. “Il Consiglio dei ministri, su proposta del presidente Giuseppe Conte, ha convenuto sulla data del 29 marzo per l’indizione del referendum popolare sul testo di legge costituzionale  che riduce il numero dei parlamentari“. Si è partiti in sordina ma, piano piano, la grancassa mediatica segna prese di posizione (da una parte o dall’altra) di rilievo e di assoluto interesse. I Radicali e la maggioranza dei Verdi nazionali sono stati tra i primi a contrastare, con una dura campagna per il “No”  la proposta di Movimento Cinque Stelle, di vari altri partiti (o parti di partito) su su fino allo stesso premier Conte. Una bella partita, tutta da seguire.

Come è noto il referendum non avrà quorum, perché non si tratta di un voto abrogativo. La consultazione popolare per la conferma o meno della riforma, riguarda la diminuzione del numero dei parlamentari dagli attuali 945 complessivi a 600 totali (200 senatori e 400 deputati). Come prevede la Costituzione, “la legge sottoposta a referendum non è promulgata se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi“. Quindi, per la validità del referendum costituzionale non è previsto alcun quorum minimo di votanti. Basta che i “si” superino i voti sfavorevoli. Se il risultato della consultazione sarà positivo, il Capo dello Stato promulgherà la legge in tutte le sue parti. In caso contrario, è come se la legge stessa non avesse mai visto la luce e l’esito della consultazione verrà pubblicato pro forma sulla Gazzetta Ufficiale. Non si tratta di una novità assoluta perché , quello del 29 marzo 2020,  sarà il quarto referendum costituzionale confermativo della storia della Repubblica. Nei tre precedenti, due volte la legge approvata dal Parlamento senza la maggioranza dei due terzi è stata respinta dagli elettori, una sola è stata approvata ed è diventata legge costituzionale. In base a quanto prevede l’articolo 138 della Costituzione, per il risultato non conta il quorum dei votanti, determinante – invece – per la validità dei referendum abrogativi. Mentre quelli precedenti o sono stati respinti o, semplicemente, sono passati senza troppo clamore, il terzo referendum costituzionale nella storia repubblicana (quello del dicembre 2016), ha suscitato molto interesse e partecipazione. Infatti, la maggioranza dei votanti respinse il disegno di legge costituzionale “riforma Renzi-Boschi”, approvata in via definitiva dalla Camera ad aprile 2016  che puntava, tra l’altro, a superare il bicameralismo perfetto ai danni del Senato. A dire no è il 59,11%, contro il 40,89% di sì. I votanti segnarono un vero record, quasi il 69%. Prima conseguenza politica le dimissioni del governo Renzi. Quindi, se dovesse crescere l’attenzione in quest’ultimo mese e mezzo di “senbilizzazione elettorale”, assisteremo sicuramente a qualcosa di importante. La riforma, se approvata,  ridurrà – di fatto – i deputati da 630 a 400 e i senatori da 315 a 200. L’istituto dei senatori a vita è conservato fissandone a 5 il numero massimo (finora 5 era il numero massimo che ciascun presidente poteva nominare). Ridotti anche gli eletti all’estero: i deputati scendono da 12 a 8, i senatori da 6 a 4. Diverse sono le prese di posizione già agli atti…. Il referendum del 29 marzo “non mi preoccupa. siamo fiduciosi che ci sia un ampio schieramento dei cittadini a favore di questa riforma“. E rispetto alla conseguente crisi di governo…solo voci? “No direi, proprio di no, non ci saranno crisi;  non vedo connessioni”. Lo dice il premier Giuseppe Conte ospite di “Otto e mezzo” (di fine gennaio). Molto duro, invece, Marco Revelli, riportato per intero da (1) che non si scoraggia di fronte ad un esito ritenuto scontato: “proprio per le modalità di indizione pensiamo più che ad un referendum confermativo…ad un referendum plebiscitario. Risulta, infatti, stravolta la ratio originaria del referendum costituzionale eventuale che, nell’orizzonte di tutela delle minoranze e del pluralismo presente nella società, è uno strumento oppositivo e non confermativo.”  E ancora, “Tale inversione di senso assume un significato vieppiù pericoloso in quanto si inscrive in un processo di progressiva atrofizzazione della società, di distruzione dei partiti politici quali strumenti di raccordo fra società e istituzioni, di anestetizzazione e repressione del dissenso, di distrazione e occultamento del conflitto sociale (in primis, attraverso la creazione di fittizi nemici, come, per tutti, i migranti).”

Non si tratta di una valutazione nuova. La riduzione del numero dei parlamentari è un tassello del processo in atto che vede il Parlamento sempre più depotenziato e la rappresentanza svuotata, mentre si afferma una progressiva presidenzializzazione. A fronte di questo processo c’è chi parla di deriva postdemocratica (Crouch) e di forma di Stato «liberal-populista» (Dogliani), o ancora, per citare alcune espressioni dall’allusione immediata, di «autocrazia elettiva» (Bovero), di democrazia plebiscitaria (Revelli) o dispotica (Ciliberto), di democrazia senza democrazia (Salvadori), per accedere, infine, alla definizione “democrazia eterodiretta”, che ne sottolinea il carattere embedded a servizio della global economic governance delle istituzioni statali. Aggiungiamo l’idea dl “Sindaco d’Italia” e tutto il discorso prende una sua rotondità ulteriore. Un processo iniziato molto tempo fa con la legge che diede più poteri ai Sindaci e meno, sempre meno, ai Consigli comunali. Una questione che, però, riteniamo abbia addentellati che trascendono il numero dei parlamentari. Detto per inciso, la nuova legge porterebbe l’ordinamento italiano perfettamente in linea con la media europea del rapporto rappresentante / rappresentato e, quindi, non è lì che sta il problema. Il nodo gordiano sta nel non riuscire a organizzare una fase di ripensamento globale (e condiviso) di tutti i passaggi strutturali del sistema legislativo. Nel non trovare una quadra seria nelle modalità di voto, nell’ostinarsi ad avere una camera fotocopia “di controllo” in nome, non si sa, di quale sacro principio. Un “doppio step” dovuto in buona parte alla necessità di non dare troppo potere a nessuna delle forze in campo, specie se collegate con nazioni straniere, retaggio di un periodo di timori e minacce legate alla guerra fredda. Ora siamo in un’altra fase e, con le opportune condivisioni, si può arrivare a qualcosa di più snello, efficace e adatto ai tempi.

(*) – https://coscienzeinrete.net/diminuire-i-parlamentari-non-aiuta-democrazia  (testo di Alessandra Algostino)

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