Una politica da mediare

E’ purtroppo un dato di fatto che la politica attuale, nella sua immediatezza, istantaneità, sia quasi del tutto ingiustificabile, fuorviante, banale, spesso volgare: insomma, impresentabile. Tra i tanti di questo parere, un noto e apprezzato commentatore politico non ha esitato di recente a dichiarare: “Va bene che la politica italiana ha la fermezza ideale e la consistenza etica di un budino, ma forse un limite al ridicolo dovrebbe essere messo”. Non è per caso che la disaffezione -fino al rigetto- per la politica e il disimpegno da necessari obblighi democratici siano in costante aumento. Un autorevole intellettuale, da sempre impegnato nella riflessione e nel dibattito politico, non molto tempo fa ha annunciato con clamore di lasciare la politica, deluso dalla sua rozzezza, e di voler tornare per così dire a tempo pieno a compulsare sudate carte e ad immergersi negli amati studi di estetica e di angelologia. Certo, scelte del genere non sono davvero qualcosa di assolutamente inedito tra i nostri intellettuali. Potremmo dire, anzi, che esse sono parte integrante della nostra storia di separatezza fra politica e cultura. Sempre in bilico, fra l’adesione, da una parte, alla critica di Benda al “tradimento dei chierici” e, dall’altra, al fervido appello di Sartre all’impegno politico, oggi, però, molti appaiono chiaramente più propensi a dar retta alla prima. Naturalmente, per tutti c’è sempre l’obbligo, come ammoniva il mio maestro, di stare attenti perché la pur giusta critica alla nostra politica non sconfini ”in un serie di alibi dietro cui vivono i nostri problemi personali e le nostre angosce intellettuali”.

Per la verità, in questi tempi la nostra politica è talmente misera e deteriorata che è difficile credere che una critica possa essere utilizzata per coprire singole inadeguatezze soggettive. Si parte già con il profondo disagio di ogni vero democratico di vedere nel governo -e a capo del governo- figure chiaramente di provenienza fascista e parafascista, quasi tutte prive di ogni senso dello Stato e delle istituzioni pubbliche. La prima conseguenza che da ciò stiamo già subendo è l’avvio accelerato di un processo aggressivo di regressione infantile (M. Prospero parla appunto di “infantilizzazione”) del dibattito pubblico, dei social e della televisione. Ci tocca ormai vedere e ascoltare di tutto: una ‘leader’ politica che, poco prima di ascendere al ‘soglio governativo’, parla di “Soros usuraio”, di libertà per “l’Italia dall’oppressione della UE ostaggio dei burocrati e dei tecnocrati”, e che dal governo definisce l’obbligo per tutti di pagare le tasse “pizzo di Stato” e la presenza degli immigrati “sostituzione etnica”. Si tenta di farci metabolizzare la permanenza di una seconda carica dello Stato che irresponsabilmente e impunemente afferma che i nazisti di via Rasella erano “una banda musicale di semi-pensionati”, e quella di un ministro di Stato che con atteggiamenti padronali fa fermare i treni nelle stazioni di suo gradimento e che, con sprezzo del ridicolo, ci informa che in Italia i poveri mangiano meglio dei ricchi. Anche molti peones dell’attuale maggioranza parlamentare si sforzano (ma la cosa riesce loro naturale) di non essere da meno: così, un parlamentare parafascista lo vediamo nelle feste di famiglia sparare con una pistola vera, o un altro proporre, per risolvere il problema dell’immigrazione nel nostro Paese, di cedere Lampedusa all’Africa e di trasferire tutti i lampedusani in Sicilia.

Sono questi solo pochi esempi (ma potremmo continuare a lungo) delle cose dell’altro mondo della destra-destra al governo. Ma non è che poi nella ‘sinistra che non c’è’ le cose vadano tanto bene. Con tutti i problemi che abbiamo, con la regressione civile e culturale che subiamo, sindaci e presidenti di giunte regionali del Partito Democratico non fanno altro che deliziarci da mesi su cosa, poveretti, possono fare adesso che il loro mandato è alla fine, e senza più una poltrona da occupare, e con la proposta petulante di sostenere la loro richiesta di un terzo mandato. Intellettuali, a cui il vecchio PCI aveva assicurato anche una buona sistemazione politica, scrivono ora libri nei quali intimano di non pronunciare più la parola socialismo; e, di converso, capitalisti, che continuano a fare le loro fortune nel sistema dato, scrivono libri in cui si auspica l’avvento di un “socialismo radicale”. Ancora: una piccola formazione di sinistra-sinistra che da sempre non si schioda dal 2,5 dei consensi elettorali e che non riesce ad eleggere più di cinque-sei suoi parlamentari, con una bravura incredibile riesce invece a mandare in parlamento contemporaneamente marito e moglie. E per chiudere questa triste rassegna: un ex leader della sinistra radicale, ex presidente di giunta regionale, alla sollecitazione di un suo ex collaboratore in giunta, fatta poco più di un anno fa, di tornare alla politica attiva risponde che lui ormai “non sale più sui palchi ma sui palcoscenici” (roba da sfida a un duello all’ultimo sangue, con la inevitabile resa o del nostro o… del palcoscenico) e invece adesso ce lo troviamo presidente del partito che lui ha ‘educato’ a subire il fascino del populismo e del leaderismo, eletto per acclamazione alla maniera di Ceausescu in Romania.

Data la situazione, sfiancati dalla pochezza di ciò che la politica quotidiana offre nella sua ‘immediatezza’, per non essere travolti dal nulla, la soluzione per ora possibile appare quella di riuscire a mantenere un certo distacco, a ‘mediare’, appunto, la politica data. Insomma: cercare di capire qualcosa di più, e di fare ognuno qualcosa per migliorare la situazione, attivando i pochi mezzi di contrasto a disposizione. Quali? Innanzitutto, quello di discutere con le persone ‘fisiche’, ‘in presenza’ come si usa dire, evitando di ridurre la politica ad un talk show permanente. Fare una scelta andando a votare è fondamentale per impedire che una minoranza nel Paese diventi maggioranza in parlamento, ed essere attivi partecipando, militando, organizzando, informandosi da più fonti (quando possibile, anche dalla stampa estera), leggendo. Personalmente ho cercato di utilizzare tutti questi ‘mezzi’, con una preferenza per la lettura di libri, per un bisogno più forte, data la situazione di prevalente isolamento ‘civico’ di tutti noi, di avere a disposizione sempre uno strumento di riflessione sulle tante questioni che mi riguardavano come cittadino.

Mi rendo conto perfettamente che per orientare la nostra politica in una direzione più degna servirebbe ben altro, qualcosa di collettivo e strutturato: un movimento sindacale più combattivo; una maggiore mobilitazione civica per bloccare i tentativi sempre in atto di ‘alterazione’ della nostra Costituzione; generali proteste contro lo smantellamento della sanità pubblica, della pubblica istruzione, del nostro patrimonio culturale; partiti con più densità ideale e più organizzazione ecc.. Ma come ben si comprende tutto questo è un’altra storia: la storia che il Paese è chiamato a compiere.

Egidio Zacheo

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