Un’alternativa alle bufale economiche europee e nazionali?

Un’alternativa alle bufale  economiche  europee e nazionali? Un piano di salvezza nazionale per l’economia italiana.

 

Nella speranza che la curva del contagio del Corona virus, tanto nel numero dei contagiati,  che dei ricoverati in terapia intensiva, che dei  (ahimè) deceduti, sia in Italia  veramente in fase declinante, si prospetta, già al presente ma ancora più nel prossimo futuro, la necessità di affrontare l’emergenza economica e sociale che ne deriverà.

L’ufficio parlamentare del Bilancio italiano ha infatti previsto che vi sarà un crollo del Pil nazionale  fino a un – 15 % nel primo semestre del 2020 ( stimabile in circa 140 miliardi di euro). E come si sta preparando il governo italiano ad affrontare questa situazione drammatica e potenzialmente esplosiva? Quali strumenti monetari e quali strategie economiche sta cercando di gettare in campo?

Bè se guardiamo al panorama decisivo e autentico fulcro del potere del contesto internazionale dato, le risposte non possono che essere sconfortanti.

Dal «balletto » delle trattative a livello di Unione europea per trovare misure economiche comuni a tutti i Paesi dell’ Eurozona, ad oggi,  non si sono approntati strumenti autenticamente efficaci per supportare la prevedibile recessione economica che ne seguirà. Tali infatti non possono essere considerati né il cosiddetto MES «light », né  il SURE, né il bilancio comune della BEI( Banca europea degli investimenti) né i «vagheggiati» Eurobond, né gli ultimi nati Recovery fund.

Prendiamo come esempio del caso la cosiddetta misura economica del SURE: si tratterebbero di 100 miliardi di euro messi a disposizione dei lavoratori europei per coprire la loro cassa integrazione nel momento, come è quello attuale, che questi lavoratori perdessero il loro lavoro.

Il carattere non serio della misura proposta si evince dal fatto che   questi 100 miliardi sarebbero disponibili solo nel caso in cui tutti  i Paesi sottoscrivessero congiuntamente un impegno per garanzie immediatamente esigibili per una somma di 25 miliardi. Il programma inoltre partirebbe solo quando e se tutti i 19 paesi dell’Eurozona avessero versato le garanzie ad essi richieste, ma trattandosi di un adesione su base volontaria, basterebbe che un solo Paese decidesse di non versare la sua quota di garanzie e il programma s’incepperebbe in partenza. Inoltre, anche se il programma riuscisse a partire, sarebbe possibile spendere le risorse messe a disposizione solo nella misura annua del 10%. ( 10 miliardi ) che suddivisi  tra tutti i membri dell’unione europea si ridurrebbero a poche centinaia di milioni a disposizione del nostro paese a fronte della messa a disposizione di 2 o 3 miliardi di garanzie.

Ugualmente, pensare di utilizzare il bilancio comune europeo della BEI, pari al 1% del bilancio totale , a fronte di una previsione, nella migliore delle ipotesi, di una perdita del Pil comunitario annuo  del 10 %, sembra una presa in giro più che altro.

La discussione poi in corso da tempo sull’eventualità da parte della BCE di emettere i famosi Eurobond ( ribattezzati «corona bond» ) ossia titoli di debito pubblico europeo  e non più solo dei singoli Stati, mutualizzando così il debito sovrano a livello europeo, creando una sorta di solidarietà fiscale tra i diversi Paesi membri, si rivela essere, come ampiamente prevedibile, solo uno sterile esercizio di buone intenzioni da parte dei proponenti ( tra cui in prima fila l’Italia) e un ferreo esercizio di real politik da parte dei contrari ( Germania, Olanda e Austria in primis) senza alcuna reale prospettiva di successo.

Per trovare fonti di finanziamento alla nostra spesa pubblica bisogna allora affidarsi al cosiddetto MES light? Si tratterrebbe, nella vulgata comune, di un MES( Meccanismo europeo di Stabilità volgarmente ribattezzato Fondo Salva Stati)  utilizzabile come forma di prestito da parte delle istituzioni europee senza le condizionalità assai rigide per non dire usuraie pur previste da quell’articolo di un Trattato europeo sulla cui base Il MES stesso è stato istituito.

In quell’articolo, l’art. 136 del TFUE,comma 3,  sono scritte norme molto chiare e precise relative al funzionamento del meccanismo di prestito agli Stati. Norme che, essendo destinato il MES a quei paesi il cui rapporto debito pubblico -PIl viene considerato non più sostenibile ossia non più solvibile nei confronti dei creditori privati dei mercati finanziari sottoscrittori dei titoli di debito pubblico, esigono dallo Stato coinvolto nel prestito aggiustamenti macroeconomici:  tagli allo Stato sociale( tagli alle pensioni e agli stipendi dei dipendenti pubblici,  che possono portare come conseguenze  al licenziamento di una loro quota consistente), interventi pesanti sul versante delle entrate, precarizzazione ulteriore del mercato del lavoro sia nella tipologia di contratti che nelle retribuzioni, privatizzazioni o svendite degli assets fondamentali residui ancora in possesso del nostro Stato, possibile «pignoramento» di beni mobili( prelievi dai risparmi dei privati cittadini) e immobili( patrimonio di beni statali).

Un MES  Light senza tali condizioni, e utilizzabile solo per far fronte alle spesa sanitarie  da emergenza virale e non anche alla collegata emergenza economica ( la quasi totale paralisi del nostro sistema produttivo) sarebbe di conseguenza solo un ulteriore,  atroce,  inganno, perchè le condizioni capestro, sospese in una prima fase,   potrebbero essere riattivate in un secondo momento a norma di leggi. La somma massima  a cui potrebbe accedere  lo Stato italiano mediante il MES si aggirerebbe intorno ai 35/ 36 miliardi di euro( il 2% del PIL annuo ), una cifra in ogni caso largamente insufficiente rispetto alle urgenze del momento, e dunque,  come suol dirsi,  il gioco non varrebbe la candela.

Ultima «trovata» escogitata al Consiglio d’Europa dei capi di governo e di stato dell’Unione europea del 23 aprile scorso sarebbe il cosiddetto Recovery Fund ( Fondo di salvataggio) che dovrebbe consistere nel finanziamento di un fondo comune europeo mediante  titoli della più lunga scadenza possibile ( teoricamente perpetui) emessi dalla Unione europea con una garanzia implicita del bilancio pluriennale della medesima. L’emissione dei titoli teoricamente perpetui sui mercati finanziari dovrebbe essere garantita dall’emittente,  cioè la Commissione Europea,  mediante l’aumento del finanziamento dell’1% del bilancio pluriennale( 2021-2027)  dell’Unione Europea. Come sarebbe finanziato questo aumento del bilancio europeo?

Con la differenza tra il margine di quello che uno Stato nel suo bilancio annuo  può spendere e quello che effettivamente spende. Questo margine verrebbe utilizzato appunto per aumentare il finanziamento dell’1% del bilancio comunitario. La commissione dunque prenderebbe i soldi in prestito dai mercati mediante l’emissione di titoli pressochè perpetui e poi li darebbe ai Singoli Stati . Sotto che forma, però? Li darebbe in parte sotto forma di prestito e in parte sotto forma di fondi perduti, cioè non come  debiti. Ma questa seconda parte  a fondo perduto avrebbe comunque i  suoi tassi d’interesse che sarebbero pagati tramite la costituzione di «nuove risorse proprie dell’Unione Europea»,  cioè la costituzione di nuove tasse europee.

Dunque dal circolo vizioso di prestiti a interesse o di garanzie mediante il versamento di nuove somme nel bilancio comune pluriennale europeo, che siano per l’aumento del bilancio o per la costituzione di nuove tasse,  non se ne esce. Inoltre nel progetto Recovery Fund è anche previsto che la Commissione Europea si riservi d’indicare i criteri con cui i Singoli Stati possano spendere i soldi ricevuti. Pare poi che,  sempre ammesso che questo «mirabolante » meccanismo possa mettersi in moto, dalla maggior parte degli analisti è calcolato che il suo avvio non possa avvenire prima del gennaio del 2021, mentre la recessione economica è già in corso, è ora. A una prima vista, di conseguenza, non pare che la proposta del Recovery Fund si scosti molto da quella che può essere giudicata un’ennesima bufala.

Dunque  no MES, no SURE,  no BEI, no Eurobond, no Recovery Fund, no  party per l’Italia?

Che lo Stato  italiano versi in gravi ristrettezze di disponibilità di risorse finanziarie lo dimostra in misura ulteriore, se ancora ve ne fosse bisogno, la natura dei decreti promulgati, anzi fin’ora più che altro proclamati, per fronteggiare l’insorgere della recessione economica in Italia. Ci si riferisce qui naturalmente ai cosiddetti decreti Cura ItaliaLiquidità.

Complessivamente sarebbe stata annunciata la mobilitazione di ben 750 miliardi di euro tra il primo e il secondo decreto, a sostegno dei cittadini, famiglie e imprese, paralizzati nella loro attività economica  dall’imposizione della quarantena generalizzata all’intero territorio italiano. Ma sorge immediatamente il problema che,  a una constatazione oggettiva,  di quei 750 miliardi dichiarati, solo 25 miliardi sarebbero quelli autenticamente immessi dallo Stato. Si tratterrebbero di 25 miliardi facenti parti di quell’acquisto «straordinario»da  parte della BCE di titoli di stato italiano di circa 30/ 40 miliardi di euro nel mese di marzo previsto dal nuovo piano di acquisti diretti dei titoli di Stato nazionali da parte della Banca centrale europea, un piano di immissione di liquidità( PEP)  che dovrebbe ammontare complessivamente, per l’intera zona euro, a 750 miliardi di Euro.

Dunque un’alternativa alle misure farlocche o da capestro usuraio proposte al livello europeo, si sarebbero già prospettate sulla strada della monetizzazione dei nostri titoli di debito pubblico.

Questa prima trance di  25 miliardi avrebbe,  negli intenti del premier Conte e del ministro dell’economia Gualtieri, «movimentati » altri 325 miliardi; gli ulteriori 400 miliardi sarebbero il frutto, tramite il decreto Liquidità della  «firma di garanzia»  da parte dello Stato degli eventuali  prestiti concessi dalle banche a famiglie  e  imprese che ne facessero richiesta. Ma  tale  firma di garanzia  avrebbe,  fin’ora,  come copertura finanziaria, istituita   presso la consociata assicurativa della Cassa Depositi e Prestiti, la SACE,   la somma di circa 1 miliardo di euro, somma evidentemente irrisoria  e assolutamente inadeguata  a  incoraggiare le banche a «largheggiare » nella concessione di prestiti a una platea potenzialmente sterminata di nuovi richiedenti. Tra l’altro nel Decreto Liquidità non è stato fatto alcun chiaro e preciso riferimento a una riforma o perlomeno sospensione delle rigide norme e condizioni con cui le banche sono tenute a concedere prestiti.

Risulta inoltre che  anche le somme previste dal primo Decreto, il Cura Italia,  che avrebbero dovuto «mitigare » la condizione critica di tanti lavoratori impossibilitati  a svolgere la loro attività non risultano, o risultano esserlo solo in minima parte, essere giunte ai destinatari.

Non i 600 euro, cifra già di per sè assolutamente modesta, assegnata alle partite IVA, non la Cassa integrazione in deroga che avrebbe dovuto fare da scudo ai disoccupati, non il Reddito di   Emergenza, estensione del Reddito di Cittadinanza anche ai lavoratori in nero.  Tutto ciò  crea ancora più sconcerto  se confrontato con ciò che accade in  altri Paesi interni all’Eurozona,là  dove misure di Helicopter money sono state messe prontamente in campo a sostegno della cittadinanza.

La  condotta tenuta fin’ora  non getta una luce particolarmente lusinghiera nè  sul  nostro premier Conte,   nè sul  suo ministro dell’economia Gualtieri, nè sul governo tutto.  Una situazione di eccezione richiede saldezza di nervi, lucidità di visione e  il coraggio necessario che gli eventi richiedono. Nessuno di questi attributi sembrano in realtà spiccare nei soggetti in questione, e questo rende lo scenario ancora più drammatico.

Eppure, se ci fossero buona volontà e una  conoscenza adeguata dei passi necessari  da compiere da parte dei nostri governanti, proposte, suggerimenti e «insegnamenti » sul da farsi non mancherebbero . Ne è un esempio preclaro Il Piano di salvezza nazionale che un pool di economisti,analisti finanziari,  giuristi, intellettuali e giornalisti ha predisposto, firmato  e indirizzato all’attenzione tanto del governo, che del parlamento che dell’opinione pubblica tutta.

Questo Piano si articola su cinque punti fondamentali, tutti indirizzati a reperire strumenti surrogatori della sovranità monetaria, la cui  antica perdita rivela una volta di più tutta la sua tragicità.

Tutti i 5 punti in questione sono guidati dal comune principio di non dover dipendere dai prestiti esteri, che si tratti dei mercati finanziari privati o   d’ istituzioni dell’Unione europea appositamente stabilite per svolgere questa funzione di prestatori di liquidità sulla base di garanzie preventive, di tassi d’interesse e di condizionalità. Questo piano vuole anche essere capace di svincolarsi dalla ipotesi funesta  che,  anche  nelle attuali condizioni di estrema emergenza o di «economia di guerra», la  Banca Centrale Europea   si sottragga a quella che sarebbe la funzione o dovere  di qualsiasi Banca centrale : quello di farsi prestatrice di liquidità in ultima istanza dei governi nazionali ossia di monetizzare i titoli di debito sovrani.

Nel suo complesso l’articolazione in 5 punti del piano si prefigge di reperire liquidità immediata per le casse dello Stato di almeno 100 miliardi di euro allo scopo di finanziare le urgenze più immediate . A questa prima fase dovrebbe seguirne una seconda,   in una fase intermedia di tempo, che intenderebbe reperire risorse per altri 250 miliardi, per impostare una pianificazione generale di rilancio del sistema economico e sociale italiano.

1) Al primo punto il piano prevede che il Tesoro italiano ( Ministero economia e finanze) faccia un emissione di titoli di Stato a breve termine garantiti nel loro rimborso e riservati esclusivamente al risparmio di operatori nazionali. Sotto il titolo generale di «sostituzione di debito pubblico in mano a non residenti con strumenti di protezione e impiego del risparmio dei cittadini» il punto primo si propone un triplice  scopo:

A) mobilitare rapidamente al servizio della comunità una quota di  quel risparmio finanziario privato nazionale di cui almeno 1500 miliardi, sotto forma di conti correnti e depositi, sono disponibili. B) Mettere al sicuro questa preziosa  risorsa nazionale oggi sfruttata in prevalenza dalla finanza speculativa internazionale,  rispondendo così all’articolo 47 della nostra Costituzione.  C) Restituire integralmente agli investitori esteri tutto il debito pubblico in scadenza di loro proprietà liberandoci per sempre dal ricatto dello spead.

2) Emissione diretta da parte del MEF di biglietti di Stato ( Statonote o moneta positiva non a debito ) al fine di rispondere ad ogni esigenza della spesa non coperta dalle entrate fiscali.

I primi 100 miliardi ricavabili da questi  primi 2 punti del programma sarebbero spesi per rinforzare il sistema sanitario nazionale e per distribuire immediatamente un reddito personale di solidarietà a tutti i cittadini residenti che ne facciano richiesta, impegnando il governo a istituire una piattaforma elettronica pubblica dei pagamenti.

La seconda fase in cui Governo e parlamento dovranno impegnarsi congiuntamente a fondo, riassunta nei successivi 3 punti, dovrà riguardare misure strutturali a favore di tutti basate su un piano strategico d’ investimenti produttivi per almeno 250 miliardi di euro per rilanciare l’economia nazionale in vista di obiettivi economici coordinati e condivisi di medio -lungo termine.

Per questi obiettivi altri 3 punti o fonti innovative strategiche di finanziamento sono richiesti.

3) Una completa ripubblicizzazione di istituti finanziari quali Cassa Depositi e Prestiti e utilizzazione immediata in quanto tale di Medio Credito Centrale. Lo scopo sarebbe una loro immediata  ricapitalizzazione e  subordinazione diretta al governo e più precisamente al Ministero Economia e Finanze per proteggere il risparmio e sorreggere questo piano di investimenti pubblici. Per fare questo sono necessari alcuni passaggi giuridici sul cui dettaglio rimandiamo all’esposizione nell’ apposito allegato del Piano sul sito internautico ad esso dedicato.  Ci limitiamo a ricordare qui che i passaggi  in questione  dovrebbero servire a superare  le gabole giuridiche  che hanno impedito la ripubblicizzazione completa  degli istituti di credito italiani, come invece non è avvenuto per le banche omologhe tedesche e francesi, ad es. Ciò dovrebbe avvenire  approfittando  anche dello stato  di sospensione delle regole europee del patto di stabilità e del divieto degli aiuti di Stato.

Attraverso tale completa ripubblicizzazione di banche nazionali il governo può:  accedere a liquidità ingente a tassi convenienti presso la BCE ( come è previsto dal TFUE per tutti gli istituti creditizi, privati e pubblici), rendere la sua azione efficace nelle politiche economiche nazionali, restaurare quei servizi pubblici essenziali per cittadini, famiglie e imprese, «destrutturati» dalle scellerate politiche di spending rewiew degli ultimi decenni. Si possono inoltre prevedere forme di partecipazione diretta alla proprietà e alla cogestione  popolare diffusa nelle aziende pubbliche che erogano servizi per assicurarne il controllo e il contenimento dei costi( un azionariato costituito naturalmente da piccoli azionisti).

4) Moltiplicare le forme di agevolazione fiscale rendendole mezzi di scambio tra tutti i cittadini residenti. Queste forme di agevolazione comprendono già detrazioni fiscali, crediti, sconti collocate su una piattaforma informatica pubblica presso l’Agenzia delle entrate. Questa piattaforma andrebbe implementata e resa più fluida nel suo uso come prevedono disegni di legge già depositati in parlamento ( Certificati di credito fiscale – CCF– e SIRE).

5) I Conti di Risparmio ( CDR)  pubblici, volontari e con somme trasferibili su piattaforma elettronica presso il MEF, aperti a tutti i residenti.

Questa misura consente di creare un sistema pubblico di pagamenti interni particolarmente utile in una situazione di emergenza come quella attuale per erogare con immediatezza un reddito personale di solidarietà. Sarebbero  inoltre facilitate la tutela  e la fluida circolazione nel mercato domestico del risparmio italiano. Si potrebbero ridurre gli oneri passivi sul debito pubblico, riducendone la dimensione complessiva e aumentando  la detenzione dei titoli da parte dei residenti italiani. Infine si potrebbe sostituire una buona parte degli attuali titoli fluttuanti sui mercati internazionali con gli Euro raccolti attraverso i Conti di Risparmio pubblico.

Con tutte le misure previste dai 5 punti del piano (  titoli di Stato di solidarietà,  biglietti di Stato,  banche pubbliche,  circolazione delle agevolazioni fiscali e  CDR) si potranno spendere almeno ulteriori 250 miliardi con i seguenti obiettivi:

1) Creare lavoro per tutti; 2) Acquisire aziende strategiche al patrimonio pubblico, essenziali per i servizi forniti alla comunità nazionale ( sanità, credito, energia, trasporti, ricerca, formazione e informazione, telecomunicazioni); 3) sostenere le piccole e medie imprese private; 4) rafforzare il mercato interno e riorientare la produzione. Tra gli investimenti pubblici di riappropriazione e rafforzamento delle aziende strategiche  così come sull’ riorientamento alla produzione interna, potrebbero sicuramente essere contemplati progetti di riassetto idrogeologico del territorio e politiche di investimenti a finalità ecologica o ambientale.

Abbiamo qui presentato in estrema sintesi e in modo schematico la proposta di un piano di salvezza nazionale dell’economia italiana. Chi volesse approfondire ed entrare maggiormente nei dettagli può consultare direttamente il sito internet ad esso appositamente dedicato.

Questo piano è totalmente alternativo come visione di macroeconomia, di economia monetaria e di filosofia morale, rispetto al modello ordoliberista impostoci dall’Unione europea e assecondato dalla nostra classe politica.

In questi giorni si è celebrato il 75 ° anniversario della liberazione dal nazifascismo. Oggi siamo alle prese con la necessità di una nuova liberazione da un nuovo giogo, un giogo non più politico- militare ma politico-economico, ma al pari del precedente anche quest’ultimo tra i suoi strumenti ha la propaganda e l’ideologia. Per liberarci da questo nuovo giogo è dunque necessaria una presa di coscienza critica dello Status quo, una emancipazione dalla forma di pensiero unico dominante, il pensiero neo liberista. Si tratta dunque di una battaglia politica  ma anche e prima di tutto culturale, per liberarci dalle nuove catene di schiavitù, dalla  nuova «caverna  di schiavitù»  in cui ci troviamo rinserrati, prima di tutto a livello mentale, come ci suggerisce il perenne insegnamento della metafora della caverna platonica.

Nicola Boidi

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