Vecchi notabili e microchip

Nel guazzabuglio politico-giudiziario che ha terremotato la Puglia, la risposta facile è quella data da Massimo D’Alema. Una volta comandavano i partiti. E la corruzione – che c’era anche allora – era tenuta sotto controllo dalle segreterie che, a Roma e in provincia, sorvegliavano sui propri affiliati. Lo scambio di favori – quando c’era – seguiva logiche para-istituzionali. Il sistema si chiamava clientelismo, e la vecchia Dc ci ha costruito un pezzo di modernizzazione italiana. Chi se lo fosse dimenticato, può andarsi a rivedere «Quo vado», un capolavoro sociologico di come funzionasse il Belpaese.

Ora che i partiti a malapena controllano l’elezione dei propri segretari, il potere delle periferie è in libera uscita. E sindaci e governatori, che dovrebbero vigilare su consiglieri e assessori, sono troppo occupati a vincere le elezioni, prima. E dopo, a fare funzionare macchine amministrative che sono, nella gran parte dei casi, un colabrodo. Insieme ai partiti, infatti, se ne sta venendo a pezzi anche lo Stato (leggere il libro-intervista di Alessandra Sardoni a Sabino Cassese sulle strutture del potere).

Però – se vogliamo consolarci – sappiamo che potrebbe andare peggio. Anzi, molto probabilmente, andrà peggio. Grazie all’intelligenza artificiale, i microchip si stanno sostituendo al microvoto. E invece dello scambio di favori, avremo gli scambi di opinioni. Manipolate attraverso una sapiente programmazione algoritmica. C’è stato, nei giorni scorsi, un convegno sul microtargeting organizzato dalle università di Urbino e di Catania. Il fenomeno è diventato – tardivamente – di dominio pubblico quando è scoppiato lo scandalo di Cambridge Analytica, la società che aveva trafugato i dati dei profili social di svariati milioni di elettori. Utilizzandoli per favorire la vittoria alle presidenziali di Trump.

Da allora – meritoriamente – si sono moltiplicati gli studi su come le campagne elettorali siano sempre più condizionate dalla manipolazione occulta degli orientamenti degli ignari utenti delle maggiori piattaforme. E il problema delle fake news, e delle varie raffinate tecniche con cui gli spin doctor si infiltrano nelle web communties, è diventato uno dei principali fronti di combattimento, come dimostrano le analisi della comunicazione in giro per il pianeta, dai siti pro-Bolsonaro in Brasile a quelli pro-Putin in est-Europa.

Guardando ai precedenti storici delle cronache di questi giorni, si potrebbe essere tentati di concludere che non è cambiato granché. Ieri – e oggi – il microvoto si conquistava di persona porta a porta, spesso anche in modo del tutto onesto, girando per le case a convincere della bontà delle proprie idee. Oggi si usa l’elettronica, risparmiando tempo e fatica. L’importante, in entrambi i casi, sarebbe che non ci scappi la fatidica dazione di danaro (o altra utilità in natura). Questa conclusione, però, può – forse – accontentare la magistratura. Ma, per le sorti della democrazia, stiamo assistendo ad una svolta epocale.

Il vecchio voto microclientelare è limitato a circuiti locali, può spostare risorse anche consistenti e cambiare – come ha cambiato – la natura del ceto politico che pullula alla periferia del sistema. Ma resta un fenomeno – per nostra fortuna – marginale rispetto ai luoghi istituzionali in cui si giocano le partite più importanti sul futuro – il benessere e la sicurezza – di un paese. E il fatto che il fenomeno cammini ancora con le scarpe e le mazzette è la migliore garanzia dei confini che non riesce a valicare.

Il microtargeting, invece, si muove ad una velocità quantica. E ha una gestione ipercentralizzata. Cambia rapidissimamente linguaggi e metodi di penetrazione. Cristopher Cepernich ha illustrato il processo di «tiktokizzazione» che ha, nel giro di meno di due anni, mutato i rapporti di forza tra le diverse piattaforme, imponendo codici semantici e di diffusione estranei a Instagram, Twitter e Facebook. Certo, per fare funzionare queste invisibili macchine artificiali, occorrono professionalità sofisticate e una buona dose di quattrini. Il vantaggio – per chi le governa – è che, una volta impostate, volano alla velocità della luce e in uno spazio-tempo globale. Per risvegliare l’opinione pubblica, forse è il caso che Checco Zalone faccia un film sui micronotabli digitali.

di Mauro Calise.

(“Il Mattino”, 15 aprile 2024)

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