Veltroni Rutelli Renzi: dalla catastrofe politica al… secondo mestiere!

Non avevo nessuna intenzione di farlo, anzi: ma, com’è come non è, sabato sera ho finito per ritrovarmi, spinto dall’imperscrutabile masochismo che talora mi pervade oscuro, sulla Nove a sorbirmi (integralmente!) la prima delle quattro -quattro!!- puntate previste della Firenze secondo me (meglio: secondo Me!!!) di Matteo Renzi. Perseverare nelle prossime tre settimane, rovinandosi oltretutto le festività, sarebbe veramente diabolico, ma tant’è, stavolta andata così.

La cosa che probabilmente mi ha impedito di “venire via” anzitempo dalla trasmissione credo sia stata proprio la protratta impossibilità di credere ai miei occhi e/o alle mie orecchie, confidando che da un momento all’altro, grazie anche alle interminabili tonnellate di pubblicità reiterativa che il canale di Cairo rovescia sui malcapitati seguaci, il maligno sortilegio che mi faceva indugiare ulteriormente potesse svanire. Non starò a cimentarmi in superflui tentativi di critica televisiva: tutto il poco che c’era da dire l’hanno impeccabilmente quanto facilmente enunciato, limitandomi alle mie personali letture quotidiane, Grasso sul “Corriere” come Dipollina per “Repubblica”, l’ex-Sovrintendente fiorentina Cristina Acidini (“La Stampa”) e soprattutto Crapis (“il manifesto”). Riporto integralmente, per comodità, il testo di quest’ultimo perché, pur nella comune brevità, gli hanno concesso più spazio e questo mi consente, condividendolo dalla prima all’ultima riga, di concludere il discorso completandolo: “Se c’era ancora qualche dubbio sulle caratteristiche pop- politiche di Matteo Renzi, è stato dissolto dalla sua comparsa in veste di conduttore nel documentario in onda sabato sera, per quattro puntate, su canale ‘Nove’ e dedicato ai luoghi e alle storie dell’arte fiorentina. Il conduttore più che l’arte sembra promuovere se stesso, con un talento innato che bisogna riconoscergli, anche se deve guardarsi, come sempre gli accade, dagli eccessi di cui al solito rimane vittima. Come anche in questo caso: eccesso di battute, piacioneria, riferimenti diretti e indiretti alla sua vicenda politica e familiare. Come per esempio insistere su un quadro del Botticelli, La Calunnia, presentato come assai moderno perché parlerebbe delle fake news, ma sottotraccia si capisce che pensa a babbo Tiziano.
Renzi e la tv sono una coppia indissolubile. Quando era al vertice del consenso è stata la sua arma più forte. Anche perché era proprio il piccolo schermo il mezzo in fondo più adatto ad esaltare molti dei connotati della sua comunicazione: gestualità, narcisismo, gag, abbigliamento. La sua stessa
leadership, sia l’ascesa che il declino, si sono costruiti soprattutto nei formati del piccolo schermo. Più ancora che con Berlusconi. In questo Renzi è stato un pioniere, e ha fatto indubbiamente da battistrada ai leader oggi al potere.
Tornando al programma, che Discovery ha messo in onda dopo il rifiuto di Mediaset, in un primo tempo interessata (
sic transeat gloria mundi!), l’ex premier in versione Alberto Angela, aveva come concorrente, in onda in contemporanea sulla Terza rete, un Augias impeccabile che raccontava Londra con un dire sontuoso. Senza mossette”.

Se Renzi “da battistrada ai leader oggi al potere” l’avesse fatto solo per questo risvolto, saremmo tutti davvero più sereni (sul serio, non nell’accezione renziana). Appurato comunque che in realtà, quanto ad scaltrezza televisiva Renzi, rispetto a Salvini (e alla sua guru mediatica Iva Garibaldi…) è un autentico poppante, che quando bigiava a scuola andava a Boboli e che ha una nostalgia da matti del suo ufficio da sindaco a Palazzo Vecchio (nella doppia accezione, stanza e ruolo: averci pensato prima, che bello sarebbe stato per lui e per noi!), possiamo procedere nel discorso.

Perché il vero tema di questo mio –insolitamente breve- non è Renzi, il Gran Demiurgo del governo gialloverde (e prima e dopo la consultazione del 4 marzo). Su questo nodo tornerò semmai quando me ne sarà venuta l’eventuale voglia, e avrò capito perché –assurdamente, sono il primo a riconoscerlo- il pur terrificante trio (con la –o…) Salvini-Di Maio-Conte mi fa meno paura di quanto non me ne facesse il Berlusconi-Bossi-Fini  (Libertà + Buongoverno: allora era neroverde) nel ’94. Gran Demiurgo soprattutto la sera immediata del post scrutinio, quando ineffabilmente dichiarò di dimettersi ma premettendo di non volersi togliere dai piedi per tutto il successivo mese, al fine di garantirsi che non si tentassero neppure abbozzi di dialogo coi 5 Stelle. E ancora di più la successiva domenica sera quando si presentò da Fazio –immagino visto sul teleschermo di casa dal povero segretario pro… modo di dire Martina allibito- per spiegare nella sua veste di senatore di Scandicci che coi grillini nisba a priori, manco parlarsi (anzi: pop corn a guardarli, come aveva anticipato il suo ineffabile compagno di merende -sen. anche lui: ospiti involontari entrambi dell’aborrita ma non abortita istituzione!- Marcucci). L’unica cosa ancor più stupefacente è l’esistenza (?) di un partito (??) del 17% che si lascia pietrificare praticamente per un anno da un suo semplice parlamentare iscritto senza abbozzare il neppur minimo tentativo di reazione e recupero (almeno… dei suoi assai numerosi  ex-elettori ingiallitisi!).

La cosa che mi interessa considerare un attimo è invece un’altra: l’accomunante attrattiva denotata degli ex-leaders PD trombati per lo spettacolo e la comunicazione. Walter Veltroni, quel geniale teorizzatore del “partito maggioritario” che gli diede modo di assestare nel 2008 una picconata mortale alla sinistra italiana –ma indirettamente anche a qualcosa di più… intimamente suo-, ci si è riproposto come romanziere (svariati titoli, ormai numerosi) e regista (due documentari in lungometraggio, Quando c’era Berlinguer, I bambini sanno; quattro in corto). Non come esploratore africano, a differenza di quanto aveva precedentemente assicurato, e in parecchi ci facevano assegnamento. Come Renzi, del resto, aveva ripetutamente promesso di “lasciare la politica” in caso di rovesci: gli scapaccioni elettorali non debbono ancora essere stati sufficientemente forti, perché si sta permettendo impunemente di tenere a macerare in un bagnomaria acido-dissolvente quel che resta del povero partito che non si esclude stia oltretutto a sua volta per lasciare. Rutelli, dopo l’a sua volta doppia batosta personale nelle urne -competitor di Berlusconi per la “premiership” nel 2001, e di Alemanno (Alemanno!!) per l’eventuale ri-sindacatura nel doppiamente fatale 2008- non ha trovato di meglio che andare a fare il Presidente dell’ANICA (che per chi non lo sapesse è la Confindustria del cinema…) mentre la Signora Barbara signoreggia nelle ore di grande ascolto sulle reti appunto berlusconiane, dalla Quatto alla Cinque.

I meriti di Veltroni, grazie a questa passione peraltro già giovanile, quasi infantile, furono straordinariamente evidenti quando, da direttore dell’”Unità” (1992-95: lontani i tempi dal futuro e recentemente fatto defungere quotidiano personale di Renzi, o dalla concupiscenza di acquisto recentemente manifestata da… Lele Mora!), oltre a uno straordinario rilancio diffusivo, praticò ideale innegabilmente geniali riguardo alla diffusione di film classici in vhs e di autentiche biblioteche di titoli fondamentali in allegato al quotidiano, inventando una consuetudine che gli editori generalizzarono e che, sia pure in una fase di inevitabile stanca dovuta a molteplici cause profonde, dura tuttora.

Ma parliamo dello scorso millennio. Nel quale anche Rutelli ha avuto, quando era di fatto e ufficialmente alla guida della Margherita confluente nel PD coi DS e altri, un qualche innegabile merito. Perché sia poi voluto uscire dal partito che aveva contribuito a fondare quando esso sembrava politicamente ancora ben in gara (soprattutto in verità grazie all’”esterno” Prodi: ricambiato con l’indimenticabile mattinata tra  cinema Capranica e… film della votazione a Montecitorio, su cui tutti zitti e mosca a un lustro di distanza) bisognerebbe chiederlo a lui. Perché poi abbia accettato di andare poi a presiedere l’Associazione  Nazionale Industrie Cinematografiche Audiovisive e Multimediali, ancora di più. Misteri e mestieri: della politica i primi; della vocazione a spettacolari –anche letteralmente- reincarnazioni i secondi.

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