Virus e mappe

Ogni cosa ha il suo rovescio e sappiamo bene che spesso quel che ci pareva male, si trasforma in bene ( e viceversa ).

Così riflettevo sulle riflessioni che il virus, che in questi giorni ci sta colpendo, ci può aiutare a fare.

La prima considerazione che “sento” e che “mi tocca ” è sul tempo.

In questa città di Milano non si vive più il frenetico ballo che ci eravamo imposti; dentro le vie vuote è tornato il silenzio e in questo nuovo passo di danza ogni cosa prende un inusitato aspetto, qualcosa mi riporta a quello che avevo conosciuto e amato nella mia infanzia, per le vie della allora mia città di provincia.

Non una folla di formiche transitanti vorticosamente da un posto all’altro, senza sguardo vicendevole, senza occasione d’incontro; ma l’incanto del vedere chiaramente la sagoma di una persona che cammina verso di me, al mio stesso lento passo;  la novità del sentire sull’asfalto il suo passo umano, umano come il rumore della gomma delle ruote delle poche macchine che ancora circolano e lo stridio ferruginoso dei tram.

Milano, città del “laurà” sta tirando il fiato. E’ da tempo che la sua voce urlava e chiedeva il nostro aiuto, ma noi no, niente da fare: qui o si fa Milano o si muore erano le sole parole che sapevamo dire.  E via, di corsa, su e giù come burattini ansimanti e infelici.

Ma alla fine sapete anche le cose si stancano. Proprio come noi che però ci siamo siamo dimenticati d’essere umani e mortali.

Le cose si parlano tra loro, loro che sanno l’inter-in-dipendenza di tutto. E così tirano fuori dal loro sacco cose che ci costringono a fare i conti con noi stessi, chè prima o poi s’han da fare.

Ma impariamo dalle cose? Impariamo dal passato ? Dai nostri avi e dai nostri morti ? Dai nostri virus?

In questo silenzio anche i monumenti che normalmente incontravamo sulla via hanno assunto volto umano. Il loro sguardo emerge vigoroso da un passato che ci eravamo scordati: il monumento ai caduti ha acceso la luce dei mille occhi di quei giovani sventrati dalle nostre continue inutili guerre e  le loro eterne voci cantano ancora l’inutilità di ogni scontro.

Questo tempo di Carnevale è finito, anche se a  Milano Ambrogio l’ha voluto prolungare sino al sabato, è oggi tempo di disubbidire restando fedeli alla nostra più profonda aspirazione di santità e alla necessaria Quaresima che non necessita di dogmi e leggi, ma di buon senso e di radicale metamorfosi.

Pare ironico e dissacrante il gesto, ma togliamocela la maschera !  Guardiamoci per quello che siamo diventati e riprendiamo a danzare nel ritmo dell’Essere, mettiamo in questione gli ultimi seimila anni di esperienza umana, chiediamoci se il progetto che l’homo historicus ha realizzato in tutti questi millenni sia l’unico progetto umano possibille o se non sia arrivato il momento di fare qualcosa di differente: una metanoia come dicono profeti e saggi.

Da che virus dobbiamo liberarci?   E se invece di debellarlo ci fermassimo per incontrarne il senso ?!

Comprendere finalmente che il senso dell’esistenza è altrove, che non viene meno se il resto – quello che ci viene indotto a desiderare, ma che non ci necessita – viene a mancare.  Riacquistare la capacità di concentrazione, quella capacità di stabilirsi nel proprio centro e di acquisire la pace. Pace che non è mai paradossalmente raggiungibile, ma solo vivibile qui e ora; in questo particolare momento in cui la Vita scorre dentro me e dentro ogni cosa che ci fa danzanti nel suo ritmo.

Il filosofo e matematico del 900, dal nome impronunciabile, Alfred Korzybski,  diceva che “la mappa non è il territorio”. E solo la Poesia della Szymborka può risvegliarci a questa verità, facendoci toccare con la parola poetica la realtà della Realtà che vive nel gioco, nella dimensione di libertà assolutamente gratuita, nella platonica follia, tutte opere che nulla tolgono alle cose del mondo, solo ci aiutano a relativizzarle in nome dell’armonia inesauribie del reale.

Piatta come il tavolo

sul quale è posata

Sotto – nulla si muove,

nè cerca uno sbocco.

Sopra – il mio fiato umano

non crea vortici d’aria

e lascia tranquilla

la sua intera superficie.

Bassopiani e vallate sono sempre verdi,

altopiani e montagne sono gialli e marrone,

oceani e mari – di un azzurro amico

sui margini sdruciti.

Qui tutto è piccolo, vicino, alla portata.

Con la punta dell’unghia posso schiacciare i vulcani,

accarezzare i poli senza guanti grossi,

posso con un’occhiata

abbracciare ogni deserto

insieme al fiume che sta lì accanto.

Segnalano le selve alcuni alberelli

tra i quali è ben difficile smarrirsi.

A est e ovest, sopra e sotto

l’equatore, un assoluto

silenzio sparso come semi,

ma in ogni seme nero

la gente vive.

Fosse comuni e improvvise rovine

sono assenti in questo quadro.

I confini s’intravedono appena

quasi esitanti – esserci o non esserci ?

Amo le mappe perchè dicono bugie.

Perchè sbarrano il passo a verità aggressive.

perchè con indulgenza e buonumore

sul tavolo mi dispiegano un mondo

che non è di questo mondo.

( La mappa – Basta così – Wislawa Szymborska – Piccola Biblioteca Adelphi 637 )

di Patrizia Gioia

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