I voti che mancano all’appello

Passata la bufera elettorale, siamo tornati al copione iniziale. Quello in cui i due vice-premier procedono di comune accordo contro i loro due principali nemici: l’aritmetica e l’Unione europea. A Tria che, vittima dei suoi cinquant’anni di esperienza, sosteneva che i mini-bot non funzionano, Salvini ha risposto sbrigativo di trovare un’altra soluzione. Un po’ come certi parenti isterici che, di fronte al chirurgo sconsolato che gli comunica che il paziente è deceduto, gli ordinassero di resuscitarlo. La differenza è che, per molti elettori, l’economia – come per Salvini – è diventata la scienza del possibile. Anzi, dell’impossibile. Basta volerlo con determinazione, e l’intendenza dei conti pubblici seguirà. Non è il caso, però, di sorridere con sussiego di questa convinzione, ampiamente consolidata nelle masse, come farebbe volentieri Calenda. E come continuano a fare molti opinionisti à la page. Perché, se si dovesse arrivare alla stretta dello scontro con l’Unione, le soluzioni sono soltanto due. O i gialloverdi fanno un passo indietro, o si rivolgono al giudizio del popolo.

Nel primo caso, Conte si tiene pronto per inciarmare un compromesso. Ed è probabile che, dietro le quinte, già ci stia lavorando, di concerto col Quirinale e la BCE, i due attori con le spalle forti e la testa sulle spalle per farlo. Ma se, invece, complice la confusione e i troppi fronti aperti, la situazione sfuggisse di mano, la domanda fondamentale torna a essere cosa ne pensano gli elettori. E, almeno per il momento, gli elettori sono in maggioranza dalla parte di Lega e Cinquestelle. È questo il rebus che l’opposizione deve provare a risolvere, invece di trastullarsi con l’ipotesi che sia Bruxelles a cavarla dall’impaccio. Già è successo una volta con Monti, e sappiamo come è andata a finire.

Al momento, numeri alla mano, ci sono – direbbe il grande Totò – due totali diversi, a seconda di quale somma si fa. Se si sommano i voti espressi, c’è poco da farsi illusioni. L’opposizione è minoritaria e, soprattutto, molto più divisa di quanto siano oggi i gialloverdi. Si può continuare a discettare delle possibili prospettive di un partito centrista moderato, cui punterebbero le speranze dell’ala renziana del Pd e di quella di Forza Italia non ancora transumata alla Lega. Ma – da vent’anni che se ne parla – ancora non si intravede la leadership e il modello organizzativo con cui dovrebbe scendere in campo. Senza contare che, in larga misura, finirebbe col drenare consensi ai poveri Zingaretti e Berlusconi, che già ne sono abbastanza a corto. E il totale dell’opposizione – secondo il principe De Curtis – cambierebbe di poco o niente.

Tutt’altra somma ci sarebbe se, invece, guardassimo ai due grandi assenti della scena politica italiana. Dal lato della domanda, gli astenuti, gli elettori rimasti a casa, che alle ultime europee assommano a quasi la metà del totale. E, dal lato dell’offerta, l’area di gran lunga più dinamica degli ultimi anni in Europa, l’ecologismo che in Germania ha raccolto oltre il 20%, diventando il secondo partito e in odore di cancelleria, e in Francia è arrivato terzo con il 13. Ciò che colpisce di questo movimento, è il suo appeal trasversale e pragmatico, e lo straordinario sostegno che sta raccogliendo tra i giovani. La generazione Greta, quella che ancora non ha il diritto di voto ma che, nei prossimi anni, avrà in mano il destino dell’Europa e di molti governi nazionali, ha appena cominciato a mobilitarsi. E, se opportunamente intercettata, potrebbe diventare un fiume in piena.

Al centro delle richieste dei giovani, ci sono due grandi temi. Un futuro sostenibile per il pianeta – visto che loro ci vivranno a lungo – e la centralità della formazione – visto che l’innovazione tecnologica costringerà tutti a un aggiornamento continuo. Sono due temi del tutto marginali nei programmi dei partiti attuali, al governo come all’opposizione. Tutti ne parlano – abbastanza a vanvera – ma per nessuno hanno la priorità e la cogenza per farne una bandiera ideologica. Aggiungi che, su questi temi, in Europa come negli Stati uniti, si stanno sviluppando nuove leadership – prevalentemente femminili – che sfruttano al meglio le risorse di comunicazione massiva della rete, e si capisce come la vera sfida per l’alternativa al governo non la giocheranno i partiti che oggi siedono in parlamento.

Alexandra Ocasio-Cortez, la giovanissima deputata del Bronx e un anno fa un’illustre sconosciuta, oggi ha tre milioni di follower, uno in più di Nancy Pelosi, speaker della Camera e in politica da mezzo secolo. Nuove leadership cresceranno, più prima che poi, anche in Italia. In un’era di cambiamenti rapidissimi, quelli cui abbiamo assistito sono soltanto l’inizio.

(“Il Mattino”, 10 giugno 2019).

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