Il voto europeo tra leader e partiti

Con l’incombere delle elezioni europee, siamo tornati al nodo antico che aggroviglia la politica italiana. Quanto spazio possono prendersi i leader senza che i partiti si ribellino? Stavolta di fronte a questo bivio si ritrovano due donne, con tutte le complicazioni del caso. Per la Premier, la scelta è più facile. Il problema della candidatura è stravincere, rendendo ancora più complicati i rapporti con gli alleati. Ma non rischia certo la poltrona. La segretaria del Pd, invece, si gioca il tutto per tutto.

Si stanno facendo più insistenti le voci – in buona o cattiva fede – che le consigliano di defilarsi. In questo modo accontenterebbe la componente femminile del partito, che, per la regola dell’alternanza, potrebbe essere penalizzata da Schlein capolista in tutte le circoscrizioni. Verrebbe incontro a chi – come Romano Prodi – difende giustamente il rispetto delle regole democratiche, che imporrebbero agli eletti di lavorare a tempo pieno per l’Europa, un impegno che sia Meloni che Schlein non potrebbero certo rispettare. E, soprattutto, tranquillizzerebbe quanti – amici o nemici interni – pensano che si tratti di un passo troppo audace – e lacerante – per la tenuta del proprio partito.

Perché allora, con tante buone ragioni contro, la segretaria Pd dovrebbe insistere nel suo proposito di candidarsi? Ci sono almeno tre motivi, che in queste settimane Schlein starà attentamente compulsando. Il primo è che la sua conquista del partito è arrivata attraverso un percorso anomalo. Molti – soprattutto gli sconfitti – continuano a rimproverarle di essersi impadronita del Pd dall’esterno, grazie a un meccanismo delle primarie che faceva votare anche i non-iscritti. Un buon risultato alle Europee sancirebbe una legittimazione sul campo che più conta, i voti. Tanto più che i sondaggi sembrano concordi nell’assegnare alcuni punti in più nel caso ci fosse una leader ben riconoscibile a tirare la volata al partito. Candidandosi, Schlein farebbe un favore a se stessa e anche al Pd.

Il secondo motivo riguarda il controllo dell’apparato. Schlein è consapevole che occorre tempo perché la nuova concezione della politica di cui è portatrice attecchisca nella base di centrosinistra. E lo sanno anche i suoi avversari. Per questo sono pronti a cogliere l’occasione di un risultato deludente per provare a sbalzarla di sella, senza lasciare che la segretaria continui a tenere in mano il boccino troppo a lungo. Per la medesima ragione, a Schlein converrebbe mettere a tacere dubbi e intrighi e prendere decisamente in mano le redini del rinnovamento interno. Infine, c’è la sfida coi Cinquestelle. Al momento, sono tutti consapevoli che nei confronti di Meloni non c’è partita. Ma un sorpasso del partito di Conte con la segretaria in panchina verrebbe visto come una sua responsabilità. Rendendo molto più semplice tramare per una sostituzione.

Il dilemma di Schlein si riassume nelle parole di Concita De Gregorio su Repubblica: «Vincere con tracotanza o perdere con stile». E non v’è dubbio che varcare un simile Rubicone, se non è facile per un uomo, per una donna – in questo paese – è quasi impossibile. Alla fine, come sempre quando è in ballo la leadership, a decidere sarà il temperamento. La fiducia in se stessa e la forza della convinzione nelle proprie idee. Non è un fattore sufficiente a vincere. Sulla scena internazionale e italiana abbiamo assistito in questi anni ai più clamorosi capitomboli di leader troppo sicuri di sé. Ma, alla fine, sarà l’elemento decisivo nella scelta della segretaria Pd. Se perdere con stile ascoltando le sirene del proprio partito. O provare a vincere con tracotanza, come avviene nelle democrazie occidentali da trent’anni. Tranne che nella sinistra italiana.

di Mauro Calise.

(“Il Mattino, 15 gennaio 2024”)

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