Classi dirigenti e popolo

Credo sia utile fare cenno ad alcune delle discussioni che si svolgono all’interno della nostra rivista che ispirano riflessioni sulle condizioni politiche dell’oggi. I temi più dibattuti in Città Futura sono ultimamente sopratutto due: la ridefinizione della sinistra e del centrosinistra e la valutazione sulla durata delle destre e sulla loro incisività. Dalle risposte che si possono dare a questi temi si dipanano ulteriori questioni come i rami secondari sono generati e si tengono uniti al tronco principale.
La destra salviniana ha raggiunto certamente l’obiettivo di essere egemonica rispetto alla Forza Italia di Berlusconi e, inoltre, a ormai inghiottito la spinta qualunquista dei Cinque Stelle, in preda ad una crisi  strategica che non sanno gestire. Tutto questo porta a dire, a sinistra, che il dominio leghista durerà a lungo, e dunque, che siano disperate le possibilità di rivincita del giglio magico renziano, che ancora anelano ad un rapido declino dei vincenti di oggi. Con questo modo di vedere le cose sono d’accordo solo in parte. Non credo, infatti, in un lungo tratto egemonico della Lega nazionalista per gli ovvi motivi spiegati in un mio articolo pubblicato recentemente su questa rivista. La tattica domina al posto della strategia nella politica del Salvini e ciò non gli consente di dominare le contraddizioni territoriali e sociali che spezzano il paese, e inoltre, tali contraddizioni faranno esplodere nella stessa Lega gli elementi nazionali e ‘nordisti’ appena appiccicati insieme con il collante della propaganda del ‘ministro dell’angoscia’. Questo non vuol dire che Matteo Renzi può sperare in una facile rivalsa, come recentemente dichiarato dalla ‘tenera’ Maria Boschi ai giornali, ‘Toccherà di nuovo a noi’. Perché se declina un discorso demagogico, pentastellato o verde – Lega che sia, realisticamente sarà una nuova spinta demagogica, contenuta in inedite forme partitiche, che rapirà le masse e conquisterà l’ondeggiante e scostante consenso elettorale di domani. Il paese sarà comunque non governato e ingovernabile, in preda a demagoghi della politica dell’istante e del facile consenso, ma non tornerà ai populisti di ieri.
Anzi, temo che di fronte al disfacimento ormai totale della politica di massa dei partiti, con le difficoltà dei sindacati, la scarsa autorevolezza delle istituzioni e delle autorità morali, sarà facile che si producano, come reazione alla crisi del debito indotto da una Europa in preda ai deliri deflazionisti, spaccature politiche fra partiti sulle linee regionali sud – nord, in forme inedite e, temo, irrecuperabili.
Se ciò che scrivo qui sopra è frutto non di visione pessimistica e di miopia, ma contiene elementi non aggirabili della realtà, allora al fronte progressista non resta che promuovere forme partitiche solide e strutturate per durare e, ispirate esse, ad una politica di massa che ponga al centro i temi del disastro sociale che questo sistema economico ha provocato.
Si pongono, dunque, i temi di come si formano le classi dirigenti, visto il fatto che la sinistra dimostra ancora una certa capacità di mobilitazione, agita interamente da associazioni, come i sindacati e l’ANPI e dai movimenti cattolici più o meno vicini alla Chiesa. Ciò che manca rovinosamente è il partito, sopratutto un corpo funzionariale in grado di dirigere le masse verso alcuni obiettivi tatticamente e strategicamente scelti e opportuni. Ritorna in mente al sottoscritto quel passo dei quaderni in cui Gramsci afferma come sia facile disgregare un esercito politico se prima si disperdono il corpo degli ufficiali, e quanto sia difficile ricostituire una guida al corpo grande di una compagine, militare o politica poco importa, data la strategicità della medesima.
Quando ero giovane lessi quel passo con un certo grado di scetticismo, visto che questo mi sembrava un po’ troppo intriso di organizzativismo e di una eccessiva analogia fra civile e militare.
Purtroppo ho dovuto con gli anni ricredermi. Avere un gruppo dirigente, il più possibile diffuso e coeso, è indispensabile perché grandi masse siano guidate e non disperse. Ciò è in fondo il tema del partito. Chi oggi si dirige verso l’impegno per ricostruire una classe dirigente politica progressista? Credo di poter indicare solo due realtà che possono fare ciò e una terza che però, anche per ragioni di funzioni e ruolo è chiaramente riluttante. Mi riferisco nel primo caso al mondo cattolico e a quello dell’alta finanza e dei giornali ‘grande – borghesi’; si tratta di mondi sociali che pur essendo minoranze hanno strutture, capacità
e retroterra culturale per predisporre classi dirigenti immediatamente politiche. Quello che resta da determinare è lo spazio di classe e di massa in cui si vuole trovare spazio ad una proposta, e qui le cose si fanno più complicate se si vuole avere in breve tempo consenso di elevato peso. E per la rappresentanza del mondo del lavoro, quale classe dirigente? Un vero partito dei lavoratori che ne rappresenti le ragioni non c’è più, e i lavoratori oggi votano e pensano ciò che votano e pensano altre classi sociali. Le capacità strutturali per ricostruire una classe dirigente le posseggono solo i sindacati, pur se essi sono riluttanti a fare ciò per l’ovvia separazione che mantengono e manterranno dai partiti. Già negli anni novanta molti sindacalisti si sono prestati alla politica attiva, tuttavia, allora, vi era una classe sindacale formata nelle lotte degli anni sessanta e non vi era stata una rottura così profonda fra voto politico e appartenenza associativa. Se si guarda altrove non si scorge nei partiti attuali capacità di ricostruire classi dirigenti, e questa è una delle ragioni del declino sia della sinistra antagonista che di quella che ha dato origine al PD.
Il tema dei quadri dirigenti non può essere separato dagli orientamenti culturali dell’azione politica e dalla discussione sulla tattica e sulle forme politiche. La sinistra antagonista è ormai definita all’interno di alcuni schemi ad essa peculiari; una aspirazione, non meglio precisata, alla trasformazione sociale da attuarsi con un salto storico immediato, una definizione dell’insediamento sociale ristretto a certe aree urbane, una forte antipatia per le forme organizzate strutturate e formalizzate. Ma la sinistra che ha ruotato attorno al PD che idea di forza progressista vuole affermare per il domani? Qui i temi sono aperti e la discussione tutta da fare, visto che non esiste formazione di classe dirigente senza che questa sia chiamata ad agire su un impianto culturale, su di una passione civile che interpreti e dia forma a i veri conflitti sociali agenti nell’oggi.
Non voglio, giunto a questo punto della riflessione, approfondire la questione, anche per ragioni di spazio e per il fatto che tutto ciò richiede una riflessione specifica. Mi limito tuttavia a segnalare quello che mi pare siano i due assi sui quali ruota fra il PD e il resto della sinistra, il dibattito sulla strategia e la visione del mondo della sinistra. Da una parte si nota una forte spinta alla riproposizione liberale della sinistra, imperniata sulla valorizzazione della libertà come libertà di mercato, e sulla esaltazione dell’uomo economico; dall’altra si intravede la necessità, se si prende ispirazione dalle ultime manifestazioni sindacali, di una sinistra che riscopra, rilanci la questione sociale, torni ad indagare l’alienazione come tema ineludibile della mancata emancipazione e liberazione dell’uomo moderno.
E tempo che la discussione sui temi sopra succintamente citati sia portata da chi si candida a costituirsi in nuova classe dirigente per la sinistra di domani e per il futuro del paese; è necessario tessere un nuovo filo del discorso e la nostra rivista può essere, piccola parte di un ambito più vasto, realtà utile a tale impresa collettiva.

Alessandria 23-06-2019 Filippo Orlando.

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