Draghi al tagliando dei partiti

È passato appena un mese e mezzo dall’insediamento di Draghi, ma il premier sta già prendendo le misure ai suoi interlocutori partitici.  È un mestiere che conosce bene, lavorare armato di dati, e fare parlare solo quelli. Sapendo che la politica si nutre in genere di altra materia, più simile a quella dei sogni di shakespeariana memoria. Ma che la crisi della pandemia ha ribaltato – almeno per ora – l’ordine delle priorità, e dell’agenda. Tempi grami per gli ideologismi. Sono le policy, le politiche concrete a fare la differenza, è questo che i cittadini vogliono. Vaccini, innanzitutto, per tutti. E poi un salto di qualità nella erogazione dei cosiddetti ristori. Il che significa decisioni rapide, e implementazione veloce intervenendo sugli snodi più critici delle amministrazioni preposte. In pratica, il compito di Draghi, in questa fase, è di portare quanto è più possibile il sistema di gestione dell’intervento pubblico dai canali di spartizione partitica a quelli dell’efficienza aziendale.

Certo, tra il dire e il fare c’è in mezzo il mare di una delle burocrazie più sgangherate di Europa. E questo Draghi lo sa benissimo, visto che nel Belpaese è cresciuto e si è fatto le ossa. Ed è improbabile che stia coltivando soverchie illusioni su quanto – nei mesi che ha a disposizione – riuscirà a modificare una macchina forgiata all’insegna di Quo vado. Ma proprio per non finire nel pantano, farà affidamento su due leve capaci di rispondere più prontamente ai suoi indirizzi. La prima – come si è visto al commissariato straordinario – utilizzando lo stato centrale come surroga delle inefficienze delle amministrazioni periferiche. La seconda prediligendo politiche ad ampio impatto ma che non richiedono attuazioni farraginose. Badando a ciò che si può ottenere limitandosi a modificare un’aliquota o prorogando un meccanismo già in essere, e tenendosi il più possibile lontano da quel ginepraio di leggine, con codicilli e norme attuative, che sono il pane quotidiano dei partiti per proteggere questa o quella clientela.

Questo approccio iperpragmatico susciterà inevitabilmente malcontento tra i banchi parlamentari. E qualche avvisaglia è già arrivata dalle prime polemiche leghiste, con Salvini che vuole presidiare alcune bandiere ideologiche con cui, in passato, mieteva consensi. È probabile che, col passare del tempo, i mugugni saliranno di tono. E visto che per i prossimi mesi l’esito della missione di Draghi resterà, inevitabilmente, incerto, il supporto, molto più che dai partiti, dovrà venire direttamente dai cittadini. A favore del Premier – oltre all’immagine prestigiosa che ancora non è stata scalfita – gioca il quadro sociale del paese, molto meno deteriorato di quanto la cronaca drammatica di quest’anno farebbe presumere.

Con una sintesi degna della migliore sociologia italiana, Dario Di Vico ha tracciato ieri, sul Corriere, la geografia del disagio pandemico, per categorie occupazionali. Nel girone dei non penalizzati dal Covid ci sono 28 milioni di Italiani, mentre sono meno della metà – 11,3 milioni – coloro che sono stati colpiti più o meno pesantemente nel reddito e nella perdita del lavoro. Come mai queste due metà del paese, con destini così divergenti, non si sono radicalizzate in due blocchi anche politicamente contrapposti? La risposta della ricerca del Censis alla base di questi dati è che i nuclei familiari allargati, da sempre un patrimonio italiano, hanno fatto da camera socioeconomica di compensazione. Nella maggioranza delle famiglie convivono un pensionato e un operaio in cassa integrazione, una dipendente pubblica e un piccolo commerciante che ha dovuto chiudere bottega.

In questo passaggio tormentato della nostra storia, al plateale sfilacciamento partitico sta facendo da contrappeso silenzioso il tessuto dei legami primari. Con un saldo positivo sul fronte dei risparmi privati, che hanno visto nell’ultimo anno i depositi bancari aumentare di oltre 70 miliardi di euro. A vedere la bottiglia mezzo vuota, mai è stato così palese lo scollamento tra il paese reale e i suoi rappresentanti ufficiali. A volerla vedere mezzo piena, per un leader che sappia interpretare e colmare questo divario si apre una prateria.

di Mauro Calise.

(“Il Mattino”, 29 marzo 2021).

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