E le sinistre stanno a guardare

     – 1. L’autorevole Roberto Perotti – su La Repubblica del 29/5 – ha proposto una valutazione un po’ controcorrente dell’operato di Mattarella. Il suo veto al ministro dell’economia del governo gialloverde sarebbe stato un atto avventato, poiché non potrà che favorire enormemente le chance elettorali del populismo sovranista. Unitamente a queste considerazioni, Perotti sostiene che, notoriamente, Lega e M5S sono sempre stati per l’uscita dall’Euro – per cui Savona avrebbe dovuto essere messo in conto – ma che, una volta al governo, forse non avrebbero osato portare fino in fondo i loro propositi. E qualora lo avessero fatto sarebbero stati bloccati dalla loro stessa base elettorale, poco amante delle avventure che mettano a rischio i quattrini. Inoltre, in generale, il contrasto a una politica di uscita dall’Euro dovrebbe avvenire per via democratica e non attraverso censure istituzionali. L’intervento di Mattarella, insomma, avrebbe finito soltanto per sostituirsi, inutilmente e dannosamente, alla totale vacuità e inadeguatezza del fronte anti populista del nostro Paese.

     – 2. Il ragionamento in generale non fa una grinza, anche se a nostro giudizio pecca decisamente di ottimismo circa la base elettorale dei due partiti sovranisti e populisti. Le posizioni del tipo «Lasciamoli governare, saranno gli italiani a giudicare» implica comunque che i prevedibili disastri li pagherebbero tutti. Perotti pare sottovalutare il fatto che solo la diffusione della notizia del “Piano B” dell’entourage di Savona abbia contribuito a raddoppiare lo spread. Se guardiamo poi alla dinamica effettiva dei fatti va ribadito che, nonostante quel che stanno sostenendo gli arrabbiati, Mattarella non ha impedito la formazione del governo gialloverde, ha solo fatto eccezione su un nome particolarmente controverso e i motivi sono stati da lui ampiamente spiegati. Il fatto che Salvini non abbia ceduto su una motivata richiesta di mettere da parte un nominativo vuol solo dire una cosa: che ha ritenuto vantaggiosa per sé la strada delle nuove elezioni. Solo Di Maio pare non lo abbia ancora capito.

     – 3. Tuttavia ha ragione Perotti quando sostiene che, con il Piano B e il veto di Mattarella, la questione Euro è tornata alla ribalta nella politica italiana. La controversia insoluta sul nome del ministro dell’economia ha mostrato quale fosse la vera posta in gioco dietro al governo gialloverde che stava per nascere. Il programma di governo, elaborato e sottoscritto dai due contractor, comportava un evidente sforamento di tutti i limiti di spesa, tanto che è stato accusato dai benpensanti di essere un libro dei sogni. Fare la flat-tax, eliminare la legge Fornero, istituire il reddito di cittadinanza e quant’altro avrebbero comportato un inevitabile conflitto con l’Europa. La qual cosa, a sua volta, se non sanata, avrebbe comportato l’uscita dall’Euro, con tutte le conseguenze immaginabili. Insomma, il patto di governo tra Di Maio e Salvini portava con sé, nei fatti, la clausola nascosta del conflitto con l’Europa e dell’eventuale uscita dall’Euro. Non era, il loro, un libro dei sogni. Si poteva realizzare ma uscendo dall’Euro e, certo, pagandone poi tutte le conseguenze. Va notato che – sempre secondo il piano B prospettato dall’entourage di Savona – per uscire dall’Euro con successo bisognerebbe farlo senza dirlo prima, in un fine settimana (sic!), alla faccia della democrazia. Cercare a tutti i costi di mettere Savona al governo, in effetti, è stato proprio come se l’avessero detto prima. E le reazioni ci sono state. Con il debito pubblico che abbiamo, anche solo mettere in giro simili storie è effettivamente da irresponsabili. Questo deve aver pensato Mattarella.

     – 4. Del problema Euro non si era tuttavia mai parlato nella recente campagna elettorale. Questo silenzio è stato dovuto non solo al fatto che del Piano B non si deve parlare perché sia efficace ma anche al fatto che l’insofferenza nei confronti dell’Euro e dell’Europa è diffusa, anche e soprattutto, presso il popolo della sinistra. Difendere l’Europa e l’Euro non è mai stato popolare a sinistra, per cui anche da quelle parti si è preferito rimuovere la questione. Oggi, tuttavia, tutti quei “keynesiani” di sinistra che hanno sempre squalificato l’Europa si sono fatalmente incontrati in modo trasversale con il populismo sovranista. L’idea comune è che – sovranamente – l’indebitamento può crescere in maniera illimitata, anche per un paese come l’Italia che ha già un debito enorme. La novità ora è che la politica del debito è proposta e perseguita fino alle logiche e inevitabili conseguenze e cioè fino alla rottura con l’Euro e l’Europa. Savona del resto non è mai stato uno di destra. Così, quasi senza accorgercene, tra una battuta e l’altra contro la Germania e contro Bruxelles, siamo stati messi di fronte all’ipotesi di una nostra Brexit, fin dentro alla bozza del programma di governo.

     Accadrà così per lo meno che le prossime elezioni di settembre avranno come argomento fondamentale, sia a destra sia a sinistra, la vera questione e cioè l’entità mostruosa del nostro debito, la nostra permanenza o meno nell’Euro e i nostri rapporti con l’Europa. Avremo, insomma, il tanto sospirato e temuto referendum sulla moneta unica. Con il piccolo inconveniente che gli investitori non staranno certo ad aspettare i risultati. In termini di livello del dibattito politico economico ci troviamo più o meno precipitati allo stadio della Grecia di qualche anno fa. Dopo tutte le psichedeliche fughe nella postpolitica, forse un drammatico bagno di realtà era proprio inevitabile. Seppure non è detto che servirà a qualcosa.

     – 5. Se c’è una cosa che questa crisi ha mostrato con chiarezza – oltre a palesare il sovranismo anti Euro di Salvini – è l’inconsistenza ondivaga del M5S. Non avendo alcun serio retroterra di cultura politica i Cinque Stelle hanno tentato di tutto pur di andare al governo, rivolgendosi indifferentemente alla destra come alla sinistra. Il loro orgoglio supremo è di essere pratici e collocati oltre le ideologie. Messi a confronto con una forza come la Lega, che elettoralmente vale la metà di loro ma che ha una cultura politica ben caratterizzata, hanno tuttavia ceduto buona parte dei loro slogan e dei loro principi e si sono assuefatti al progetto sovranista. Sbaglia chi pensa che in tal modo il M5S abbia mostrato la propria «vera natura». La vera natura del M5S proprio non c’è perché nella loro cultura politica ci sono solo elenchi di cose disparate da fare per “cambiare” il Paese. E gli elenchi in buona misura si possono fare e disfare, come le liste della spesa, con un click, come su Facebook o sulla piattaforma Rousseau. A seconda dei compagni di strada che ci si ritrova.

     – 6. Questa ormai accertata caratteristica del M5S rende, a posteriori, ancora più grave il rifiuto ormai consumato del PD e di LeU di aprire una trattativa con il M5S, quando era possibile. Il PD e LeU non hanno saputo fare l’unica cosa realistica che avrebbero potuto fare e cioè quello di aprire una trattativa con il M5S per costruire un programma di governo e per trovare una formula di governo adeguata. Oggi, invece del fallito governo gialloverde, avrebbe potuto esserci un governo con a capo un personaggio scelto di comune accordo tra PD, LeU e M5S, con un certo numero di ministri (con magari qualche ministero significativo) assegnati alla sinistra. E con il beneplacito di Mattarella. Il programma sarebbe stato certamente diverso da quello salviniano, anche se sarebbe stato necessario qualche compromesso. Del resto chi ha governato con Berlusconi e ha preso i voti di Verdini non può fare troppo lo schizzinoso sui compromessi. L’avere gettato Di Maio nelle braccia di Salvini («Governino loro, se ne sono capaci!») è stato un errore capitale che la sinistra italiana pagherà carissimo, proprio a partire dalle prossime elezioni. Detto per inciso: c’è ancora una finestra di pochi giorni prima dello scioglimento delle Camere. Se il PD non fosse sulla luna, correrebbe a parlare con Di Maio per tentare una formula in extremis, magari un governo M5S con appoggio esterno del PD e di LeU. Purtroppo la logica non abita più qui.

     – 7. I prossimi passi che ci attendono sono quelli di un governo del Presidente, a nome Cottarelli, che non otterrà certamente la fiducia delle Camere (almeno a sentire le dichiarazioni odierne dei vari leader) e che, quindi, avrà il solo scopo di traghettare il Paese a nuove elezioni, presumibilmente in autunno (si vocifera addirittura a settembre o a luglio, se lo spread non ci darà tregua). Si può, in altri termini, considerare che ormai sia stata aperta la campagna elettorale (forse non s’era mai davvero conclusa). Presumibilmente le elezioni si terranno con il rosatellum, poiché difficilmente si troverà un accordo per cambiarlo. Anche se non possiamo escludere qualche colpo di mano, da parte di qualche fatua e improvvisata maggioranza parlamentare, che riesca a ritoccare la legge elettorale a proprio uso e consumo. E qui potremmo aspettarci di tutto. Va segnalato, per i pochi che credono ancora nelle forme della democrazia, che cambiare la legge elettorale a pochi giorni dal voto sarebbe un comportamento assolutamente contrario a ogni buon senso e ai principi stessi della democrazia. È una prassi che andrebbe proibita per legge.

     – 8. Nonostante la vicinanza delle elezioni, è presto per prevedere quali saranno gli schieramenti elettorali in campo. Quel che è accaduto in questo ultimo periodo lascerà dei segni indelebili ed è probabile che si apra un periodo di significativi rimescolamenti. Non è chiaro se la coalizione del Centro destra si ricomporrà, anche se avrebbe nuove chance di crescita, col rientro in politica di Berlusconi e con il successo personale di Salvini. Ma non è neppure esclusa la possibilità di una nuova coalizione tra M5S e Lega, che probabilmente avrebbe anch’essa grandi possibilità di successo elettorale, unendo il populismo nordista con quello sudista. In ogni caso, le cose per la sinistra si mettono piuttosto male.

     Se gli schieramenti e le coalizioni rimarranno le stesse (nonostante la attuale ruggine tra Salvini e Berlusconi) le nuove elezioni saranno percepite, giustamente, dall’elettorato come un secondo turno tra i primi due vincitori delle scorse elezioni. Insomma, se la giocheranno tra Salvini e di Maio (tenendosi per buona magari la possibilità di ripetere lo scherzetto trasversale del “governo del cambiamento”). In casi come questi sarebbe assurdo votare per chi arriverà terzo o quarto (cioè la coalizione guidata dal PD) e per chi non ha alcuna disponibilità a fare un governo almeno con uno dei primi due.

      Qualora invece nascesse una coalizione M5S e Lega (magari sull’onda di una mobilitazione contro il Presidente della Repubblica) si configurerebbe nel nostro Paese un rischio esattamente simile a quello corso dalla Francia più o meno un anno fa. L’Istituto Cattaneo ha calcolato che una coalizione tra Lega e M5S potrebbe vincere quasi tutti i seggi uninominali. In Francia si riuscì tuttavia a trovare un personaggio come Emmanuel Macron, abbastanza a destra (cioè capace di raccogliere un ampio consenso) ma dichiaratamente anti populista. In quel caso la sinistra ha finito per spaccarsi tra chi ha scelto di votare utilmente per Macron contro la destra lepenista e chi ha scelto invece un meno utile voto di testimonianza. Ai francesi (e all’Europa) è andata bene, anche se la sinistra è andata in pezzi. Non è detto che vada altrettanto bene da noi. Non abbiamo oggi un Macron degno di questo nome. A meno che qualcuno non pensi a Berlusconi o a Renzi.

     – 9. Nonostante le sue dichiarazioni di appoggio al Presidente della Repubblica, il più danneggiato dalla mossa rigorosa di Mattarella (o, se si preferisce, dal gran rifiuto di Salvini) è stato e sarà senz’altro il PD. Il PD di Martina – che era così contento di poter fare l’opposizione «senza sconti» per cinque anni – si troverà invece a dover rinviare il Congresso (così non sapremo mai «perché abbiamo perso le elezioni») e a condurre una campagna elettorale in condizioni di estrema debolezza. I dirigenti del PD credevano ormai di avere tutto il tempo per mettere a posto le loro questioncelle di potere interno e invece dovranno affrontare la più disperata campagna elettorale della loro storia.

     In ogni caso il PD, per sperare di combinare qualcosa alle elezioni dovrebbe a questo punto proporre un’alternativa di governo tutta sua. E questo significa, elettoralmente, mettere in piedi una coalizione così ampia che possa avere qualche realistica speranza di governare. Con il M5S non s’è voluto e non si vorrà andare, per veto esplicito di Renzi. Con Berlusconi – se questo rompesse con Salvini – i voti presumibili non basterebbero neppure (a parte l’impresentabilità del personaggio). Anche un’assai improbabile coalizione vago – europeista, da Berlusconi fino a LeU, contro Salvini e M5S uniti, se la vedrebbe molto brutta. C’è da dire poi che non è neppure sicura un’alleanza elettorale tra il PD e LeU (dati i rancori personali e le pulsioni identitarie mai sopite che continuano a dividere le due formazioni). Del resto MDP voleva la sconfitta di Renzi e l’ha proprio avuta. Solo che ha tirato in mezzo tutta la sinistra. D’Alema sarà contento. Ma anche gli altri non sono da meno: vi ricordate gli appassionati dibattiti, che oggi paiono del tutto lunari, su Pisapia, se doveva essere lui o no federare la sinistra?

     – 10. Al quadro politico, già di per sé disastroso, va aggiunto il fatto che la nuova campagna elettorale si farà intorno a temi che in quella precedente – come si diceva – erano stati accuratamente messi da parte un po’ da tutti. Temi che per la sinistra sono però sempre stati terribilmente divisivi. Temi come la difesa delle istituzioni (la Presidenza della Repubblica, in primis), la nostra permanenza in Europa, gli immigrati, la sovranità nazionale nei confronti di Bruxelles e la sovranità monetaria, il nostro colossale debito, lo spread e gli istituti di rating, i criteri della tassazione, i tagli della spesa e i criteri da adottare nella ridistribuzione della ricchezza (il welfare, tra cui il reddito di cittadinanza o di inclusione che sia). La sinistra sarà costretta a difendere a spada tratta un’Europa e un Euro pieni di limiti e di difetti, senza neppure avere un piano credibile per superarli. Sono questi tutti temi tremendamente importanti, sempre messi da parte e nascosti dalle pratiche spicciole. Guarda caso, però, sono tutti temi intorno ai quali la sinistra non ha mai saputo costruire – in tutti questi anni – una cultura politica comune e diffusa. Ormai è divenuto chiaro a tutti che per avere la flat – tax (tanto cara al popolo del Nord) e per avere il reddito di cittadinanza (tanto caro al popolo del Sud) bisogna per forza mandare al diavolo l’Euro e l’Europa. E non ci sono davvero tante probabilità che la massa degli elettori stia dalla parte dell’Euro e dell’Europa. Nonostante l’ottimismo di Perotti.

 

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