Elogio della Padania

C’è una cultura a cui non si può rinunciare senza cadere nel sottosviluppo o, peggio ancora, senza provocare catastrofi di portata incalcolabile. E’ la cultura legata alle caratteristiche geografiche e all’economia di un territorio. Un olandese deve per forza sapere come si costruiscono le dighe onde impedire al mare di tornare a ricoprire gran parte del paese. Un egiziano deve conoscere le tecniche di regimentazione delle piene. Ove si sono dimenticate queste basilari conoscenze la storia ha camminato all’indietro. Come nello Yemen, oggi desertico e un tempo fertilissimo grazie a un sistema di dighe, o come è avvenuto nell’ Irak prima della scoperta del petrolio, in cui si perse anche il ricordo della mirabile regimentazione delle acque dell’Eufrate operata dal grande Nabucodonosor. Prima opera di ingegneria idraulica nella storia dell’uomo da cui discesero tutte le altre.

Per noi alessandrini la cultura di base è quella della bonifica, come lo è per il resto della Valle Padana di cui siamo parte integrante. Non c’è un solo metro della Padania che ancora conservi le proprie caratteristiche naturali originarie. Tutto è stato riprogettato nei secoli dall’intelligenza e dal lavoro dell’uomo. Se in quest’area, che produce il 75% del reddito italiano, con una concentrazione industriale e una produttività agricola tra le più elevate del mondo, dovesse perdersi tale cultura sarebbe una tragedia senza eguali. Già si vedono palesi sintomi della sua dimenticanza. Quanti sono gli alessandrini a sapere che il Tanaro, oltre a essere arginato, è stato deviato due volte., il Bormida tre, mentre gran parte della città vecchia è stata sopraelevata con un gigantesco riporto di terra per difenderla da ricorrenti alluvioni? Ne è testimone l’antica chiesa degli Umiliati, oggi officina, il cui attuale pavimento è stato rialzato di tre metri da quello originario , nonché Santa Maria di Castello, probabilmente ricostruita per analoghi motivi su uno strato di terra di riporto. Chi si è reso conto che la via che conduce a Spinetta è strada d’argine volutamente sopraelevata dalla campagna circostante formata da aree esondabili? In merito basta guardare la base del platano di Napoleone, lato campi. Ignorando questi dati riguardanti il nostro territorio diviene impossibile, o del tutto risibile, discutere di ecologia, di ambiente, programmazione territoriale, acqua, alluvioni, inquinamento e persino di piani regolatori. Ci chiediamo perché non si insegna con orgoglio e vanto ai bambini delle scuole la storia della grande bonifica padana, ritenuta in tutto il mondo una delle grandi conquiste in assoluto dell’ingegneria idraulica e della cultura tecnica italiana in particolare. Lavori che riguardano ben 3.500.000 ettari e durano da quasi 2000 anni. Cosa che non ha uguali nella storia.

A cominciarla fu Giulio Cesare, primo a rendersi conto del valore potenziale della Valle Padana, allora per lo più una grande palude, con terre emerse periodicamente coperte dalle piene del Po e dei suoi affluenti. Sotto il suo governo iniziarono arginature, prosciugamenti e opere di navigabilità fluviale. Si continuò a lavorare alla bonifica durante l’Impero, la sua decadenza, le invasioni longobarde e gotiche, le dominazioni bizantine e veneziane, i liberi comuni e le signorie, nonché i governatorati spagnoli, napoleonici, austriaci, il regno piemontese, l’Unità d’ Italia, il fascismo e il dopoguerra. Nei secoli sono stati costruiti migliaia di chilometri di argini, di scolmatori , di fossi, di canali, milioni di tonnellate di terra sono state scavate e rimosse, trasferite per lo più a mano, con gerle e carriole. Milioni di uomini vi hanno lavorato in condizioni di estremo disagio, tra il fango, le zanzare e la malaria. A ricordo delle epoche passate rimangono ballate, canzoni, romanzi, leggende, novelle, leggi e verbali di polizia da cui si deducono il pesante sfruttamento dei lavoratori, le loro ribellioni, le loro lotte. Le cronache narrano le tragedie capitate, le alluvioni, che in poche ore si riprendevano il lavoro di mesi e talvolta di anni. Questa è la storia della Padania, la storia dei padri da cui discendiamo, di un popolo formato dall’unione di varie razze e culture, ma nel suo insieme duro, instancabile nel perseguire i propri obiettivi, che mai ebbe l’impotente cultura di “gestire l’esistente”, ma quella nobile della vanga e della spada.

Le vecchie ballate padane, molte delle quali dedicate al Po, ci riportano a uomini che amavano le feste e la gioia di vivere, ma che al momento buono sapevano combattere. Uomini che hanno saputo vincere una sfida millenaria contro gli eccessi del grande fiume a cui peraltro sono coscienti di dovere ogni loro ricchezza.

Quando scriviamo a favore della forestazione non lo facciamo per amore estetico verso gli alberi, ma unicamente perché la loro presenza è irrinunciabile per la conservazione degli equilibri ambientali del nostro territorio, essendo stata prevista nei progetti di bonifica. Stesso discorso vale per la manutenzione dei corsi d’acqua, dei canali e dei fossi superficiali . Cosa capita quando ciò non avviene andate a chiederlo agli abitanti di Spinetta Marengo.

GUIDO MANZONE

IL PICCOLO 14 MAGGIO 1991

Ringraziamo Renza Manzone per l’opera preziosa che sta facendo… E’ un po’ come se Guido fosse ancora con noi…

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