La Montedison, l’Atochem e lo smaltimento di rifiuti

Ringraziamo Renza Manzone per l’opera preziosa che sta facendo… E’ un po’ come se Guido fosse ancora con noi…

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Con una gentile lettera Lino Balza ci fa sapere che le acque del pozzo interno dello Zuccherificio di Spinetta Marengo non sono utilizzabili per uso potabile per la presenza di cromo, titanio, fosforo, cloro provenienti dal vicino stabilimento Montedison. Lo comprovano analisi effettuate dalla dottoressa Lucia Rini, capo chimico dello Zuccherificio dal 1948 al 1972 in base alle quali le acque risultano così inquinate da non poter essere nemmeno più impiegate per la lavorazione dello zucchero. E’ un dato che ignoravamo e che spiega quali furono i reali motivi che portarono al trasferimento fuori provincia della nostra produzione saccarifera con ripercussioni assai negative sia economiche che occupazionali. E’ questa l’ulteriore riprova di come un’industria ambientalmente mal gestita, possa trasformarsi in una calamità per i territori che la ospitano.

Ma questo non è certo fatto nuovo per l’Alessandrino. Se dovessimo calcolare le diseconomie provocate a livello sanitario, agricolo, turistico ed industriale dai tre stabilimenti Montedison posti sul Bormida, eseguendo un elementare calcolo di costi e benefici, difficilmente il bilancio sarebbe positivo. L’industrializzazione è stata ed è il principale momento di progresso economico e quindi di emancipazione sociale e politica della storia dell’uomo ma, nel momento in cui questo ruolo si ribalta, viene meno la sua stessa ragione di esistere. Allo stesso modo diviene fattore frenante la presenza di un’industrializzazione, anche tecnicamente avanzata e commercialmente positiva, ma ancora rozza e primordiale nella sua essenza più profonda.

Alessandria, forse più di ogni altra zona d’Italia, sta pagando le conseguenze di una presenza di industrie a cui non ha fatto seguito la crescita ed il diffondersi di una paritetica cultura scientifica ed industriale, sia a livello di proprietà che di strutture di controllo politico, sanitario e sindacale. Stiamo pagando con disoccupazione ed arretramento un antico e complesso intreccio di complicità e cecità culturali cresciuto e cristallizzatosi nel tempo nelle strutture amministrative, nei partiti, resi sempre più opachi e non distinguibili uno dall’altro da un’eguale paralisi operativa e da una paritaria incapacità di dare risposta alle più elementari esigenze di un moderno paese industriale.

Ogni giorno ne abbiamo ulteriore conferma. Non è certo per rispetto alla libertà d’impresa ed alla libera iniziativa che nessuno è intervenuto sul recente passaggio alla francese Atochem di parte della Montedison di Spinetta, se non facendo proprie le “veline” degli uffici stampa delle ditte stesse. C’è stata solo una dichiarazione al “Piccolo”di un sindacalista in cui si afferma:” Con due multinazionali che controllano il mercato mondiale, Spinetta Marengo può dormire sonni tranquilli”. Stiamo solo attenti che non diventi il sonno eterno della morte. Secondo il contratto stipulato dalle due aziende, il reparto perossidi con 70 addetti passerà sotto il controllo mantenendo immutati occupazione, salari e normative.

Fin qui niente da dire. C’è però una piccola quanto determinante clausola di cui varrebbe la pena di parlare. La Montedison, pur rinunciando alla produzione dei perossidi, si impegna a smaltire, sempre a Spinetta Marengo, i rifiuti tossici che ne derivano. In altre parole, la Montedison muta la propria ragione sociale trasformandosi da “industria chimica” in “smaltitore di rifiuti industriali in conto terzi”.

Questo, ci permettiamo di dirlo, non è cosa da poco. La Atochem non è una piccola azienda di settore, ma un colosso di proprietà dello stato francese con diramazioni e stabilimenti in Europa e nel mondo con conseguente produzione di rifiuti elevatissima. In base al contratto e alle vigenti leggi che permettono i libero trasferimento da un impianto al’altro di una stessa industria dei rifiuti prodotti, potrebbe smaltirli interamente a Spinetta. E non è detto che non lo faccia.

Da informazioni riservate da noi raccolte, che indubbiamente potrebbero essere approfondite da chi, molto più di noi, avrebbe la possibilità di farlo, risulta che i francesi non fossero tanto interessati all’acquisto delle strutture produttive del perossido, tecnicamente niente di particolare, quanto alla possibilità di eliminare in loco i loro rifiuti. Per smaltirli nell’atmosfera verrebbero utilizzati proprio quei “diffusori” che nell’ultimo inverno provocarono artificiali nevicate attorno allo stabilimento di Spinetta.

In merito un dato interesssante. Dopo che i giornali alessandrini resero note le vere cause delle “nevicate” la Montedison ha smesso di diffondere nell’atmosfera rifiuti contenenti acqua, limitandosi a farlo con quelli gassosi non in grado di provocare precipitazioni facilmente identificabili. E’ questa la prova che l’informazione giornalistica può anche contribuire alla tutela della salute dei cittadini.

Guido Manzone (*Aydin)

IL PICCOLO 10-11-1990

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