Mank

Critico sociale pungente e sceneggiatore alcolizzato, Mankiewicz è alle prese con l’ultimazione della sceneggiatura di Quarto potere per Orson Welles. Il nuovo, ambizioso progetto cinematografico diretto dal candidato all’Oscar David Fincher debutta su Netflix a partire dal 4 dicembre, ed è il film statunitense con la miglior scrittura dell’anno.

Dopo 6 anni, Fincher ritorna dietro la macchina da presa per raccontare la triste parabola discendente dello sceneggiatore della Hollywood dei tempi d’oro Herman J. Mankiewicz (uno strepitoso e gigioneggiante Gary Oldman) non è soltanto un prodigio di tecnica e maestranze cinematografiche, ma è una lettera d’amore al vero protagonista del progetto Mank: il giornalista e scrittore Jack Fincher, padre del regista David e autore della sceneggiatura di questo lungometraggio, ultimata nei primi anni ’90 ma mai portata sul grande schermo dal figlio; fino ad oggi.
Perché prima di essere caustico film biografico di precisione chirurgica di regia e scrittura, Mank è soprattutto invettiva autobiografica di papà Jack, che introietta la sua triste parabola di aspirante sceneggiatore cinematografico ad Hollywood: non solo il progetto sul rise and fall di Herman J. Mankiewicz (co-autore della sceneggiatura del capolavoro Quarto Potere di Orson Welles) è specchio di un talento che non ce la fa a sfondare in un mondo cinico e pre-fabbricato come le imponenti scenografie dei film che realizza, ma è un lucido e amaro ritratto di un sistema economico-artistico che, come era una volta, è ancora oggi.
Inutile tacciare il nuovo film di David Fincher di eccessiva freddezza e distacco partecipativo ed emotivo, al regista interessa poco soddisfare il palato basico dello spettatore mediano; dietro alla straordinaria patina di capolavoro tecnico del film (fotografia, scenografia, costumi e montaggio su tutti li rivedremo agli Oscar), c’è un bisogno più atavico ed intimo di quanto non appaia alla prima, rutilante visione: quello di ricordare con sguardo amaro e cinico che Hollywood non è mai cambiata veramente, come l’America che la nutre e la tiene viva.
In sostanza, con una parte centrale faticosa da seguire, Mank è il film più personale di David Fincher non solo per Fincher padre ma anche per l’omaggio a Hollywood degli anni ‘30 e ‘40; Tutto il film vive sotto il respiro di Orson Welles e del suo capolavoro Quarto Potere, ma vi sono anche delle immagini iconiche che richiamano film in apparenza scollegati. Per esempio la figura dello scrittore bloccato a letto con l’angoscia di finire il film e i problemi personali dietro la porta, per non parlare dell’alcolismo, piaga principale del personaggio, ci riportano inevitabilmente a Misery e al suo Paul Sheldon. Un’altra immagine iconica è quella della writing room degli sceneggiatori che somiglia più a una sala da piano bar o da casinò, in cui si gioca a carta e si perde il tempo con le scommesse invece di lavorare. Ebbene questa scenetta ludica ricorda per esempio Prima Pagina di Billy Wilder e in generale tutto il repertorio del regista di A qualcuno piace caldo.
Comunque grazie a MANK, leggendo molte altre recensioni, è anche molto bello che si ritorni a parlare su un capolavoro che fatto la storia del cinema come “QUARTO POTERE” di Orson Welles.
Riccardo Coloris

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