I tre giorni di “Orticola” ai Giardini Pubblici di Milano

Lontana gioventù ! Ti ritrovo

nelle gioie dell’orto,

negli anni del mio autunno,

con nostalgia, mi commuovi

con un ricordo dolce e doloroso

per il cuore che invecchia. ( Hermann Hesse, Ore nell’orto)

Un trifoglio  nano

Da quando ORTICOLA ha perduto quell’aria snob da “sciura milanesa”, l’aria che si respira è più fresca e naturale, il viso di chi espone è simile a quello di chi è venuto in visita, volti rubizzi, occhi come fessure, olfatto da profumieri.

(Qualche snob lo si vede ancora, ma si sgonfia subito e da solo).

La Lettera 22 della statua d’oro di Montanelli si è svegliata, come me, presto stamane; l’ascolto mentre Indro batte veloce sui suoi tasti, lo sguardo fisso, il piede che scalpita nell’andare incontro alla notizia.

Le campane della chiesa vicina suonano per il dì di Festa, come una volta mi viene da cantare “ domenica è sempre domenica “, la canzone più bella che io possa ricordare; s’apriva tutta la vita il sabato sera col Musichiere e andavo a letto con l’entusiasmo di un gatto che sa che presto gli spetta un manicaretto prelibato.

Ah! Che domeniche! Lo stesso odore che sento oggi qui, un misto del tramonto serale e acqua di fontana, un gorgoglio d’anima che ti fa venir voglia di catturare i pesci con le mani per dargli un bacio e rimetterli con delicatezza nella fontana.

Il sentiero serpeggia, un’oca di ferro mi si pone di fronte con un ritmo cigolante e si fa spontanea la mia ammirazione che, impaziente nelle piccole cose quotidiane, s’apre qui a un tempo eterno e fiammeggiante.

I miei denti si fanno robusti, azzanno una mela chiedendole perdono per così tanta non grazia; ma lei ride per questa mia bella immaginazione , “mi piace “ – mi dice – “essere azzannata così”, è la tua passione che lascerà nuovi semi .

“E bada” -continua- “bada senza tregua all’orto; meno bucato, meno cucina, ma che la tua mano non s’allontani dalla screpolata terra e la bagni come si bagna l’occhio quando piangi”.

Qui è come camminare nelle Sacre Scritture, tra la saggezza dei vecchi e quella della terra, mi si accompagna un sognatore, alza con un piccolo inchino il suo cappello di paglia e subito mi sopravanza come se andasse ad educare il mondo.

Vorrei proteggere tutto, tutto mi appare un sublime raccolto degno di un rito catartico. E la mia gioia non si contiene, si fa fina come una farina, si fa robusta come una corda, si fa indicibile come una rovina.

Esamino qualche rampicante che sconfina, due rose che fanno l’amore senza precauzione, una farfalla che s’appoggia gialla a un verde appena nato, che chiede con un filo di voce. “ ma di chi son figlio? E come mi chiamo?“ .

Si fa silenzio a questa domanda, tutto s’acquieta, anche il troppo sole, e nel silenzio una sottile voce come di zucchero fila poche parole: “sei un trifoglio nano, figlio di una lettera e di un cormorano”.

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